Formazione in medicina generale, firmato il decreto per lo scorrimento delle graduatorie

Firmato oggi il decreto che permetterà di estendere la validità delle graduatorie 2018-2021 del corso di formazione specifica in medicina generale e così di proseguire il loro scorrimento.

Il termine è prorogato fino al 15 novembre 2019 per consentire a ciascuna Regione e Provincia autonoma di assegnare, secondo l’ordine della graduatoria stessa, i posti che si siano resi vacanti per cancellazione, rinuncia, decadenza o altri motivi.

I giorni di corso persi devono essere recuperati e regolarmente retribuiti, nel rispetto del limite minimo di 4.800 ore e di 36 mesi.

Il ministro Giulia Grillo:" Non possiamo permettere che il grande sforzo per raddoppiare le borse sia vanificato lasciando centinaia di posti di formazione vuoti. Questa proroga è necessaria per fronteggiare i danni generati da un sistema di formazione post laurea miope e antiquato, all'origine non solo dell'imbuto che ostacola il percorso di formazione e accesso alla professione, ma anche della frustrazione di molti medici entrati in specializzazioni alle quali in realtà non ambivano.

Il mio Ministero sta continuando a lavorare con il MIUR per porre fine a tutto questo e rendere finalmente il processo formativo coerente, continuo e centrato sui contenuti più che sulla burocrazia".

Consulta il decreto ministeriale

Riduzione debito formativo per i professionisti sanitari presso zone colpite da eventi sismici negli anni 2016 e 2017

La Commissione nazionale per la formazione continua, nel corso della riunione del 25 luglio u.s., ha adottato la delibera (in allegato) in materia di riduzione debito formativo:

per i professionisti sanitari domiciliati o che svolgono la propria attività presso i comuni colpiti dagli eventi sismici degli anni 2016 e 2017, di cui al decreto legge 17 ottobre 2016, n.189, allegati 1,2 e 2-bis, corrisponde a quanto segue:

Antibiotico resistenza: il trasferimento dei pazienti da un ospedale all’altro aumenta la diffusione di ceppi di Klebsiella pneumoniae resistenti

 NEWS  Istituto Superiore di sanità 

Ricercatori dell’ISS firmano studio europeo pubblicato su Nature Microbiology

La diffusione di ceppi batterici resistenti in Europa avviene con il trasferimento dei pazienti da un ospedale all’altro. E’ questa la conclusione alla quale sono giunti i ricercatori europei, dopo aver condotto un ampio studio genomico su più di 1.700 ceppi batterici.

Allo studio europeo, pubblicato su Nature Microbiology, sulla diffusione della Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi in Europa hanno partecipato anche ricercatori italiani dell’Università di Firenze e dell’Istituto Superiore di Sanità.

Lo studio ha dimostrato che i ceppi resistenti ottenuti dallo stesso ospedale o da ospedali dello stesso Paese sono più simili tra di loro rispetto a ceppi provenienti da ospedali di Paesi diversi. I ricercatori hanno confermato l’importanza del meccanismo della produzione degli enzimi carbapenemasi nel determinare la resistenza e la appartenenza dei ceppi resistenti ad un piccolo numero di cloni cosiddetti “ad alto rischio”.

Pertanto studiare il movimento dei pazienti all’interno di un paese e individuare gli ospedali che fungono da “hub” può contribuire a focalizzare e migliorare il controllo della diffusione dei ceppi di Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi.

La Klebsiella pneumoniae, un batterio appartenente alla famiglia degli Enterobatteri che normalmente colonizza la cute, il tratto respiratorio e l’apparato gastrointestinale e che, come patogeno opportunista, può causare infezioni dell’apparato respiratorio, urinario e batteriemie, ha sviluppato nel corso del tempo resistenza a diverse classi di antibiotici, compresi i carbapenemi che rappresentano al momento farmaci di ultima risorsa per la cura delle infezioni invasive causate da Enterobatteri multiresistenti. L’Italia è il paese europeo nel quale il problema della resistenza ai carbapenemi in K. pneumoniae ha assunto le maggiori dimensioni, rappresentando una vera minaccia per la sanità pubblica. Ogni anno si registrano in Italia più di 2.000 casi di batteriemie da Klebsiella pneumoniae, secondo i dati della sorveglianza coordinata da ISS, che si verificano soprattutto in persone anziane ricoverate in reparti ad alto rischio quali i reparti di Terapia Intensiva. Limitare la diffusione delle infezioni trasmesse all’interno delle strutture sanitarie è una delle priorità del Piano Nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR) del Ministero della Salute, e uno degli indicatori previsti dal piano è proprio la diminuzione della percentuale dei ceppi di  Klebsielle pneumoniae resistenti ai carbapenemi.

link at https://www.iss.it/?p=4121

Stato-Regioni, soddisfazione del ministro Grillo per via libera a provvedimenti strategici per garantire equità di accesso alle cure

Riparto dei fondi per la riduzione delle liste di attesa, linee di indirizzo per pronto soccorso più efficienti e meno affollati, procedure aggiornate e trasparenti per la negoziazione del prezzo dei farmaci da parte dell’AIFA. Arriva oggi dalla Conferenza Stato-Regioni il via libera a provvedimenti destinati a migliorare in modo concreto l’accesso alle cure da parte dei cittadini.

Il ministro Giulia Grillo ha espresso la propria soddisfazione al termine della Conferenza Stato-Regioni: "Oggi sono molto contenta perché abbiamo portato a casa una serie di provvedimenti importantissimi. Dalle classificazioni d'urgenza nei pronto soccorso a tutta una serie di elementi per ridurre il sovraffollamento, come tempi certi di visita. Abbiamo determinato la ripartizione del fondo dei 400 milioni di euro per la riduzione dei tempi delle lista d'attesa e la digitalizzazione delle prenotazioni".

Riduzione delle liste di attesa, road map e riparto dei 400 milioni

Approvato in primo luogo  l’accordo sul decreto di riparto dei 400 milioni di euro, stanziati dalla Legge di bilancio 2019 (350 milioni) e dal D.L. 119/2018, convertito dalla Legge 136/2018 (50 milioni), al fine di ridurre i tempi di attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie.

Le risorse, che serviranno per il potenziamento dell’infrastruttura tecnologica e digitale dei Cup (Centro Unico di Prenotazione) saranno così ripartite per il triennio di riferimento. Il decreto traccia una road map per arrivare al 2021 al 100% delle strutture collegate al Cup digitale e le prenotazioni potranno essere fatte anche tramite APP.

Linee di indirizzo sul pronto soccorso

Inoltre approvato anche l’Accordo sulle "Linee di indirizzo nazionali sul Triage Intraospedaliero", "Linee di indirizzo nazionali sull’Osservazione Breve Intensiva" e "Linee di indirizzo nazionali per lo sviluppo del Piano di gestione del sovraffollamento in Pronto Soccorso".

Tra le novità di maggior rilievo: nel triage, introdotti codici numerici da 1 (il più grave) a 5, a cui le Regioni potranno associare un codice colore, per la definizione delle priorità, con tempi che vanno dall’accesso immediato per le emergenze a un tempo massimo di 240 minuti per le non urgenze; tempo massimo di 8 ore dalla presa in carico al triage alla conclusione della prestazione di pronto soccorso; nuovi standard strutturali e tempi massimi per l’osservazione breve intensiva (OBI); azioni per ridurre il sovraffollamento in pronto soccorso, tra cui il blocco dei ricoveri programmati; implementazione del "bed management", ossia l’utilizzo della risorsa "posto letto" mediante un puntuale e metodico governo delle fasi di ricovero e di dimissione.

Trasparenza del prezzo dei farmaci

Tra gli altri provvedimenti approvati questo 1° agosto, il decreto che cambia le procedure per la negoziazione del prezzo dei farmaci da parte di Aifa. La sua adozione risponde all’esigenza di introdurre criteri aggiornati e adeguati alla continua evoluzione della politica del farmaco, nonché conformi alla necessaria trasparenza.

Tra le novità, vi è l’accento posto sul valore terapeutico aggiunto che il medicinale deve assicurare in rapporto ai principali trattamenti con cui viene confrontato.

Inoltre, all’azienda sono richieste rassicurazioni sulla propria capacità produttiva e di gestione di possibili imprevisti, nonché di anticipare le attività che intende attuare per garantire l’adeguata fornitura del farmaco.

Allergan ritira dal mercato mondiale espansori tissutali e protesi mammarie macrotesturizzata “BIOCELL”

In data 24 luglio 2019 la ditta Allergan Limited ha annunciato il ritiro dal mercato mondiale degli espansori tissutali e delle protesi mammarie a superficie macrotesturizzata tipo “BIOCELL”.

La decisione segue il ritiro già avvenuto su tutto il territorio Europeo a dicembre 2018, in Canada a maggio 2019 e nei giorni scorsi anche su richiesta dell’ FDA.

L’organismo notificato GMED non ha rinnovato il marchio CE precedentemente rilasciato per gli espansori tissutali e le protesi mammarie a superficie testurizzata (Microcell e Biocell).  Pertanto già da dicembre 2018 nessuno di questi prodotti può essere commercializzato sul territorio europeo. Restano invece disponibili gli impianti mammari a superficie liscia.

Con l’occasione,  il Ministero ribadisce:

  • l’importanza, per i pazienti impiantati con qualsiasi tipo di protesi mammarie (sia a superficie liscia, che micro/macrotesturizzata o ricoperta in poliuretano) e fabbricata da qualsiasi ditta produttrice,  di effettuare i regolari controlli clinici di follow-up indicati dal proprio chirurgo e indicati con cadenza modulabile in base alla valutazione clinica del singolo soggetto (circolare n. 28346 del 16 maggio 2019)
  • l’importanza per tutti gli operatori sanitari di procedere con approfondimenti diagnostici in presenza di sintomatologia sospetta per Linfoma Anaplastico a Grandi Cellule, come indicato nel Percorso Diagnostico Terapeutico  Assistenziale (PDTA) (circolare n. 42050 del 16 luglio 2019)
  • l’importanza, per tutti gli operatori sanitari, in presenza di casi clinici confermati per Linfoma Anaplastico a Grandi Cellule, di indirizzare i pazienti nei centri di riferimento individuati sul territorio italiano e riportati nelle circolari n. 28346 del 16 maggio 2019 e n. 35027 del 14 giugno 2019
  • l’obbligo da parte degli operatori sanitari di somministrare ai pazienti che acconsentono di sottoposi all’intervento di impianto di una protesi mammaria, sia per ragioni estetiche che ricostruttive, il consenso informato, redatto dal tavolo di lavoro istituito presso il ministero della Salute, e diffuso con circolare n. 42050 del 16 luglio 2019.

link at http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3843

Sottoscritta l’Ipotesi di contratto collettivo nazionale dell'AREA SANITA'

Il 24 luglio 2019, Aran e sindacati rappresentativi hanno sottoscritto l’Ipotesi del contratto collettivo nazionale di lavoro per il triennio 2016-2018, per i circa 130.000 dirigenti medici, veterinari, sanitari e delle professioni sanitarie confluiti nella nuova Area dirigenziale della Sanità.

La firma di tale contratto giunge al termine di una complessa trattativa che ha visto impegnate le parti per un lungo periodo.

Il nuovo testo contrattuale regola in modo esaustivo i principali istituti contrattuali, molti dei quali adeguati ai numerosi interventi legislativi che si sono susseguiti negli ultimi anni. In particolare, è stata riformulata in modo completo la parte che riguarda le relazioni sindacali, anche partecipative, con una regolazione semplificata ed unitaria della materia. Si è proceduto anche all’attualizzazione ed alla riscrittura, in armonia con le nuove norme di legge, delle disposizioni concernenti la responsabilità disciplinare. Sono state, infine, ampliate ed innovate alcune tutele, ad esempio quelle concernenti le gravi patologie che necessitano di terapie salvavita, le misure in favore delle donne vittime di violenza, le ferie e i riposi solidali per i dirigenti che debbano assistere figli minori bisognosi di cure.

Il contratto si qualifica anche per l’attenzione riservata alla specialità di questa dirigenza, manifestatasi in modo più evidente nel nuovo sistema degli incarichi, volto a valorizzare la carriera dirigenziale, anche professionale, e nel relativo sistema di verifica e valutazione.

Sotto il profilo economico, l’Ipotesi contrattuale riconosce incrementi a regime del 3,48%, corrispondenti ad un beneficio medio complessivo di poco più di 190 Euro/mese, distribuito in modo equilibrato per la rivalutazione della parte fissa della retribuzione e delle risorse utilizzate in sede locale per la remunerazione delle condizioni di lavoro, dei risultati raggiunti e degli incarichi dirigenziali. In tale ambito, è stata operata una rivalutazione degli stipendi tabellari a regime di 125 Euro mese per tredici mensilità a cui si aggiungono gli ulteriori incrementi che hanno interessato la parte accessoria del salario, con una particolare attenzione agli istituti retributivi più direttamente correlati alla erogazione dei servizi (guardie mediche e retribuzione di risultato).

In attuazione del mandato negoziale ricevuto, il contratto realizza, infine, una ridefinizione strutturale del sistema dei fondi riducendoli a tre e semplificandone le modalità di costituzione ed utilizzo.

Il contratto diverrà efficace, a seguito della sua sottoscrizione definitiva, una volta concluso l’iter di verifica e controllo della compatibilità economico-finanziaria della Ipotesi di accordo, come previsto dalle norme vigenti.

link at https://www.aranagenzia.it/comunicati/9876-sottoscritta-lipotesi-di-contratto-collettivo-nazionale-dellarea-sanita-per-il-triennio-2019-2021.html

Tumori: studio ISS su nuovo farmaco in grado di “addormentare” le cellule neoplastiche.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Cell Death and Disease

Istituto Superiore Sanità , 23 luglio 2019

Un nuovo farmaco antitumorale in grado di neutralizzare le cellule cancerogene è stato creato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Università Alma Mater di Bologna e l’Università Cattolica, e i risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista Cell Death and Disease.
Lo studio, reso possibile grazie ai finanziamenti dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), descrive una nuova formulazione del farmaco fenretinide, che in passato aveva mostrato un promettente effetto antitumorale in fase preclinica ma che nell’uomo non aveva dato i risultati sperati a causa della sua scarsa biodisponibilità.

“La nuova formulazione, da noi battezzata Nanofenretinide – dice Ann Zeuner del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS e coordinatrice dello studio – è stata ottenuta attraverso un processo di nanoincapsulazione che rende la molecola solubile nei liquidi corporei e pertanto biodisponibile. I vantaggi del nuovo farmaco, che abbiamo sperimentato su una varietà di cellule tumorali tra cui colon, polmone, melanoma, sarcoma, mammella, ovaio e glioblastoma, oltre alla biodisponibilità sono il suo effetto ad ampio spettro e la sua apparente assenza di tossicità”.

Il farmaco sarebbe in grado di uccidere gran parte delle cellule tumorali e di imporre uno stato di quiescenza (o dormienza) alle cellule che riescono a sopravvivergli. La sua capacità di mantenere dormienti le cellule cancerogene, insieme alla sua scarsa tossicità, lo renderebbe adatto anche a terapie a lungo termine finalizzate ad evitare ricadute tumorali.

Il farmaco si trova ora in una fase precoce di sperimentazione e naturalmente saranno necessari altri esperimenti per confermare sia l’assenza di tossicità che l’efficacia sui pazienti.

link at https://www.iss.it/?p=4072

Protesi mammarie a superficie testurizzata e linfoma anaplastico a grandi cellule. Richiesta di parere in merito all' applicazione delle misure particolari di sorveglianza sanitaria.

Ministero delle salute Protesi mammarie a superficie testurizzata e linfoma anaplastico a grandi cellule. Richiesta di parere in merito all' applicazione delle misure particolari di sorveglianza sanitaria. LEGGI IL PARERE

https://www.giustizia-amministrativa.it/pareri-cds

Vaccinazioni pediatriche e dell’adolescente, le coperture vaccinali nel 2018

Sono cresciute nel 2018, le coperture vaccinali dei bambini e degli adolescenti in Italia rispetto al 2017.

Nella maggior parte delle Regioni la copertura a 24 mesi contro la polio (usata come indicatore per le vaccinazioni contenute nell’esavalente) supera la soglia minima raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità, pari al 95%, e due Regioni (Valle d'Aosta e P.A. Trento) sono prossime all’obiettivo, restano, tuttavia, quattro Regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche, Sicilia e Veneto) con una copertura sottosoglia e la P.A. Bolzano con una copertura (83,33) ancora ben lontana dal target. 
Continua a destare preoccupazione il mancato raggiungimento dell’obiettivo del 95% per la vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia, in tutte le fasce d’età considerate, nonostante il trend in aumento registrato.

È quanto risulta dai dati 2018, elaborati dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute. I dati saranno confrontati con quelli raccolti tramite l’Anagrafe nazionale vaccini per rilevare eventuali disallineamenti, non appena sarà stata completata l’acquisizione dei dati di tutte le Regioni, incluse le PP.AA. di Trento e Bolzano, al momento in ritardo con la trasmissione dei dati.

È infatti già attiva dall’aprile 2019 l’Anagrafe nazionale vaccinale, istituita con Decreto del ministero della Salute 17 settembre 2018, nella quale si sta procedendo anche al caricamento dei dati vaccinali storici relativi alle coorti di nascita a partire dall’anno 2000. A regime, l’Anagrafe nazionale conterrà la registrazione di tutte le vaccinazioni che saranno effettuate, anche nella popolazione adulta/anziana, proprio per poter calcolare, in maniera puntuale, le coperture vaccinali non solo nei bambini e negli adolescenti su specifiche coorti di età, come avviene adesso, ma anche per ulteriori coorti della popolazione.

L’Anagrafe nazionale è uno straordinario strumento per garantire la corretta valutazione delle coperture vaccinali, sia al fine di monitorare l’attuazione dei programmi vaccinali in atto su tutto il territorio nazionale, coerentemente con il Piano nazionale prevenzione vaccinale, sia di fornire informazioni agli organi nazionali, comunitari e internazionali nell’ambito dello svolgimento di funzioni e compiti correlati alla tutela della salute.

Per assicurare la piena attuazione su tutto il territorio nazionale, il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha firmato il decreto di riparto dei fondi per la raccolta dei dati da inserire nell'Anagrafe nazionale vaccini mediante le anagrafi vaccinali regionali: il provvedimento sarà presto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Le coperture

La copertura nazionale a 24 mesi (per i bambini nati nel 2016) nei confronti della polio raggiunge il 95% (95,09%), guadagnando un +0,48% rispetto al 2017, e con 14 Regioni che superano il 95% e 2 che vi si avvicinano (Vda e Trento). La copertura per la prima dose di vaccino contro il morbillo arriva solo al 93,22% (con un +1,38% rispetto all’anno precedente) a fronte del 95% necessario per eliminare la malattia, mentre la P.A. Bolzano ha una copertura inferiore al 90%.

Aumentano anche le coperture per le vaccinazioni anti-pneumococcica (+0,73%: 91,63% nel 2018 rispetto a 90,90% nel 2017) e anti-meningococcica C (+2,29%: 84,93% nel 2018 rispetto a 82,64% nel 2017).

Migliorate anche le coperture vaccinali nazionali a 36 mesi (relative ai bambini nati nell’anno 2015) e quelle a 48 mesi(bambini nati nel 2014), rilevate per verificare le attività di recupero nei bimbi inadempienti: l’anti-polio passa da 93,33% (dato a 24 mesi rilevato al 31 dicembre 2016) a 96,01% e l’anti-morbillo da 87,26% a 94,93%, con un guadagno rispettivamente del +2,68% e del +7,67%.

Per le coorti di nascita successive si registrano recuperi di copertura, anche se non si raggiunge l’obiettivo del 95%.

Riguardo alle vaccinazioni in età pre-scolare, generalmente somministrate a 5-6 anni (bambini nati nell’anno 2011), si registra un +2,01% per la quarta dose di anti-polio (90,71% nel 2018 rispetto a 88,69% nel 2017) e un +3,47% per la seconda dose (ciclo completo) di anti-morbillo (89,20% nel 2018 rispetto a 85,74% nel 2017).

Per le vaccinazioni eseguite entro gli 8 anni (bambini nati nel 2010) si registra un recupero: per fare un esempio, la copertura nei confronti della polio (quarta dose) guadagna un +3,49% arrivando a 92,18% e quella contro il morbillo (seconda dose) un +4,27% raggiungendo il 90,01% (rispetto al dato registrato al 31 dicembre 2017 nella stessa coorte).

Anche per le vaccinazioni effettuate nell’adolescenza (sedicenni, coorte 2002 e diciottenni, coorte 2000) si conferma un leggero miglioramento nelle coperture.

È necessario proseguire l’impegno, in termini di miglioramento dell’offerta e dell’accesso ai servizi, ma anche della capacità di rispondere alle istanze dei cittadini per dissolvere i dubbi sulla efficacia e sicurezza dei vaccini e sull’utilità e opportunità delle vaccinazioni.

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Parlamento, il ministro Grillo fa il punto di un anno di governo della sanità

Il ministro della Salute Giulia Grillo è intervenuta in audizione presso le Commissioni riunite Affari sociali di Camera e Senato, sull’attività del suo dicastero a un anno dall’insediamento il 17 luglio. Ecco alcuni passaggi del suo discorso.

Liste d'attesa

"Abbiamo aggiornato il Piano per il Governo delle Liste di Attesa che era fermo da 10 anni, e che è stato approvato dalle Regioni nel mese di febbraio e ora sta diventando realtà in tutto il Paese. Obiettivo primario è garantire un appropriato, equo e tempestivo accesso ai servizi sanitari anche attraverso l’applicazione di rigorosi criteri di appropriatezza, il rispetto delle classi di priorità, la trasparenza e l’accesso diffuso alle informazioni da parte dei cittadini sui loro diritti e doveri".

"Abbiamo stanziato nella legge di bilancio 2019 (al comma 510) 350 milioni di euro per il triennio 2019-21. Risorse a cui abbiamo aggiunto ulteriori 50 milioni, e presto invierò alla Conferenza Stato regioni la proposta di riparto. Questi 400 milioni saranno utilizzati dalle Regioni per migliorare le infrastrutture digitali dei Cup e degli altri servizi connessi al funzionamento delle liste d’attesa".

"Infine si è insediato proprio una settimana fa l’Osservatorio Nazionale sulle Liste di Attesa composto da rappresentanti del Ministero, dell’Agenas, delle Regioni, dell’Istituto Superiore di Sanità e dalle Organizzazioni civiche di tutela del diritto alla salute"

Personale

"Ho fatto dell’impegno a rimuovere l’anacronistico tetto di spesa per il personale che faceva riferimento al valore del 2004 (-1,4%)una mia battaglia personale. Ho lavorato per sbloccare il turn over, e ci siamo riusciti con il Decreto Calabria. Già oggi le Regioni, tutte, anche quelle più in difficoltà possono riavviare le assunzioni. Non è stato facile fare passare il principio, per me irrinunciabile, e su cui non ho desistito, di estendere la norma a tutte le Regioni, comprese quelle in Piano di rientro"

"Abbiamo aumentato le borse di specializzazione portandole a oltre 8.900: un record mai raggiunto. Di cui ben 8mila finanziate con risorse statali e le restanti regionali, erano 6.200 l’anno scorso, ne abiamo aggiunte 1.800 in più. Anche nelleborse di formazione della Medicina generale c’è stato un incremento arrivando a 2.093, con un incremento di 480 unità".

Fondo sanitario nazionale

"La Legge di Bilancio 2019 aumenta il Fondo sanitario nazionale di 4,5 miliardi nel triennio: importanti risorse incrementali al Fondo sanitario nazionale, che tengono in considerazione anche i rinnovi contrattuali della dirigenza medica per il triennio 2019-21. Proprio ieri il ministro dell’Economia Giovanni Tria, in audizione congiunta alle commissioni di Camera e Senato ha confermato che nella prossima legge di bilancio non ci saranno tagli per la sanità. Una dichiarazione che mi conforta econferma l’impegno del governo a non toccare le risorse per il nostro sistema. La sanità ha già dato".

Governance della farmaceutica e dei dispositivi medici

"Nella legge di Bilancio 2019, vi sono nuove regole per il calcolo del pagamento degli sforamenti ai tetti di spesa in ambito farmaceutico, il famigerato payback, con particolare riferimento agli acquisti diretti. Grazie all’interlocuzione costante che ho avviato al Ministero, le Regioni e l’industria del farmaco hanno trovato l’accordo che ha chiuso oltre sei anni di contenzioso sul payback, un passagio poi sancito nel Decreto Semplificazioni. Grazie alla collaborazione di tutti i soggetti coinvolti è stato possibile recuperare 2,4 miliardi di euro che finiranno a breve nelle casse delle Regioni, dopo aver trovato l’accordo sul riparto, e che eviteranno pesanti passivi di bilancio".

"È in dirittura di arrivo il documento che farà da base all’aggiornamento del Prontuario farmaceutico".

"Anche nel settore dei dispositivi medici abbiamo semplificato le norme sul payback e attivato le procedure per recuperare le risorse così come previsto dal Decreto Legge n. 78/2015. Nello specifico sono stati condivisi con Mef e Regioni due schemi di decreto di ripiano, uno per gli anni dal 2015 al 2018 e l’altro per il 2019. Nelle prossime settimane proseguiremo l’opera nella speranza che si possano ottenere risulti analoghi a quelli conseguiti nel settore dei farmaci. Non sarà semplice, ma ci stiamo lavorando con determinazione".

Ricerca

"Nella nostra prima legge di Bilancio (comma 543) abbiamo previsto incrementi pari a 45 milioni nel triennnio (10 nel 2019, 15 per il 2020, e 20 per il 2021) a cui vanno aggiunti 10 milioni per le CAR-T (per il 2019 e 2020) e altri 10 milioni per la prevenzione cardiovascolare.  Ho deciso di assegnare i fondi di gestione risparmiati dal Ministero alla Direzione della Ricerca. Ho voluto così dare un segnale ben preciso di attenzione alla ricerca come patrimonio per il futuro del nostro sistema sanitario".

"Un altro significativo risultato di questo primo anno di lavoro è l’approvazione del meccanismo della piramide dei ricercatori che permette di essere assunti, prima a tempo determinato e poi a tempo indeterminato, anche ai titolari di borsa di studio erogata dagli Irccs pubblici e gli Istituti zooprofilattici sperimentali a seguito di procedura selettiva pubblica. Nei 21 Irccs di diritto pubblico operano oltre 5mila, di cui circa la metà con contratti di lavoro atipici, privi di tutele da molti anni. Si tratta di professionisti con grandi competenze, con importante e qualificata produzione scientifica. Grazie alle nuove norme si mette fine al precariato anche per la ricerca sanitaria".

Vaccini

"In legge di Bilancio (comma 585) abbiamo previsto lo stanziamento di 2 milioni di euro per l'anno 2019 e poi 500mila euro a regime da mettere a disposizione delle Regioni per raccogliere in modo uniforme i dati mediante anagrafi vaccinali regionali. Ho firmato ieri il decreto di riparto delle risorse che presto sarà pubblicato in Gazzetta. L’anagrafe Nazionale vaccinale da qualche mese è realtà e permette alle anagrafi regionali di dialogare e aggiornare i dati sulle coperture vaccinali. Nelle settimane scorsa abbiamo completato l’aggiornamento del Piano nazionale di eliminazione del Morbillo e della Rosolia Congenita per colmare un altro ritardo presente nel nostro paese - ha proseguito Grill -. Infatti, per contrastare l’epidemia di morbillo ancora in corso nel nostro Paese, è necessario, oltre alla vaccinazione dei nuovi nati, offrire attivamente la vaccinazione ai giovani adulti ancora suscettibili e non vaccinati negli anni scorsi e questa offerta richiede uno sforzo organizzativo e comunicativo straordinario".  
"In Commissione al Senato si sta lavorando a una nuova legge e sono sicura che l’esame porterà ad un testo condiviso che superi la legge in vigore. Sono convinta che su questi grandi temi la parola spetti al Parlamento. Il ministro della Salute vigilerà affinché il nuovo provvedimento garantisca e tuteli la salute di tutti. A partire da quella dei più fragili".

Patto per la salute

"L’Intesa, non lo nascondo, avrebbe dovuto chiudersi entro il 31 marzo 2019 ma le interlocuzioni con le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano stanno proseguendo per arrivare ad un documento condiviso. Ho voluto aprire alle proposte degli stakeholder interessati una Maratona di ascolto e anche grazie ai contributi giunti dai tre giorni sono sicura che arriveremo a chiudere un Patto per la Salute che restituisca alla sanità una centralità nelle politiche del Paese", ha concluso Grillo. 

Due nuovi antibiotici efficaci contro i batteri multiresistenti

Lo studio, pubblicato su 'Plos Biology', potrebbe dare nuovo impulso alle ricerche per combattere la resistenza agli antibiotici in tutto il mondo. In particolare, i ricercatori di Inserm e Université de Rennes hanno recentemente identificato una nuova tossina batterica che hanno trasformato in potenti antibiotici, attivi contro vari batteri responsabili di infezioni umane Tweet 09 luglio 2019 Nuove potenti armi contro i super-bug. Non solo sono efficaci contro i batteri multi-resistenti Gram-positivi e negativi, ma sembrano anche non 'attivare' un meccanismo di resistenza quando vengono usati per trattare l'infezione, almeno nei topi. Queste sono le 'promesse' dei due nuovi antibiotici creati da Brice Felden e dal suo team presso l'Inserm e l'Université de Rennes, in collaborazione con un gruppo dell'Istituto di Chimica di Rennes (Iscr). Lo studio, pubblicato su 'Plos Biology', potrebbe dare nuovo impulso alle ricerche per combattere la resistenza agli antibiotici in tutto il mondo. In particolare, i ricercatori di Inserm e Université de Rennes hanno recentemente identificato una nuova tossina batterica che hanno trasformato in potenti antibiotici, attivi contro vari batteri responsabili di infezioni umane, sia Gram-positivi che negativi. "Tutto è iniziato con una scoperta fondamentale fatta nel 2011", spiega Brice Felden. "Ci siamo resi conto che una tossina prodotta dallo Staphylococcus aureus, il cui ruolo è quello di facilitare l'infezione, è anche in grado di uccidere altri batteri presenti nel nostro corpo.Quella che avevamo identificato era una molecola con proprietà tossiche e antibiotiche. Abbiamo pensato che se potevamo separare queste due attività, saremmo stati in grado di creare un nuovo antibiotico non tossico per il corpo, una sfida che abbiamo raccolto". In collaborazione con il team del chimico Michèle Baudy Floc'h, è stata sintetizzata una nuova famiglia di cosiddetti peptidomimetici. Come suggerisce il nome, questi peptidi sono ispirati ai peptidi batterici naturali, ma sono stati ridotti e modificati. - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Due-nuovi-antibiotici-efficaci-contro-i-batteri-multiresistenti-8fe723b0-fcc9-4cf4-987a-805c1b626069.html

Ministero della Salute Insediato l’Osservatorio liste d’attesa

All’incontro hanno preso parte i rappresentanti delle Regioni, di Agenas, dell'Istituto superiore di sanità, di Cittadinanzattiva e le Direzioni generali della Programmazione e dei Sistemi informativi del ministero. Il tavolo è presieduto dal direttore della Programmazione, Andrea Urbani.

Sarà presto definito il cronoprogramma operativo con l’indicazione dei tavoli di lavoro per monitorare il recepimento del Piano nazionale di gestione delle liste d’attesa a livello regionale.

“Siamo qui non solo per attivare un osservatorio operativo che possa concretamente vigilare sull’efficienza delle liste d’attesa, ma per lavorare affinché sia restituito ai cittadini un diritto a lungo negato: quello dei tempi certi per le cure e per le diagnosi - precisa il ministro - Tutte le risposte che questo gruppo di lavoro riuscirà a trovare, saranno risposte date ai cittadini che negli anni hanno perso fiducia e ai tanti che hanno smesso di curarsi. 
Ho sempre ribadito che il tema delle liste d’attesa rappresenta una priorità per la mia azione di Governo, il banco di prova dell’efficacia del sistema salute. Per questo vorrei che ciascuno dei presenti si sentisse investito di una responsabilità e chiamato a costruire un pezzetto del cambiamento. Perché insieme, dal confronto sulle buone pratiche e sulle criticità del sistema, potremo finalmente trovare un modello che funziona. L’obiettivo comune è restituire al Paese un modello più efficiente di sanità pubblica” - conclude Giulia Grillo.

Leggi il decreto di istituzione dell'Osservatorio Liste di attesa.

Specializzazioni mediche- decreto di distribuzione dei posti A.A. 2018/2019

Nota Prot. n. 617 Ufficio: MIUR 8 LUGLIO 2019 

VISTO il decreto direttoriale 2 maggio 2019 prot. n. 859 e s.m.i., recante  il “bando di ammissione dei medici alle scuole di specializzazione di area sanitaria per l’a.a. 2018/2019”, con il quale, nelle more della determinazione del contingente di medici specialisti da formare per l’a.a. 2018/2019 in rapporto al fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale ai sensi dell’articolo 35, comma 1 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, è stato bandito il concorso di ammissione dei medici alle scuole di specializzazione di area sanitaria per l’a.a. 2018/2019;
VISTO in particolare l’articolo 2, comma 1, del richiamato bando di concorso n. 859/2019, il quale prevede che : «Con uno o più provvedimenti successivi ed integrativi […] sono indicati, in rapporto alle determinazioni sui contingenti globali da formare ripartiti per tipologia di Scuola, i posti disponibili per ciascuna scuola di specializzazione attivata per l’a.a. 2018/2019 coperti con contratti finanziati con risorse statali, con contratti finanziati con risorse regionali, con contratti finanziati con risorse di altri enti pubblici e/o privati, nonché i posti riservati alle categorie di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 368/1999»;
VISTO l’Accordo tra il Governo e le Regioni e province autonome di Trento e Bolzano in data 21 giugno 2018 Rep. Atti 110/CSR, concernente la determinazione del fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale di medici specialisti da formare definito dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 368/1999, in 8.569 unità per l’a.a. 2017/2018, in 8.523 unità per l’a.a. 2018/2019 ed in 8.604 unità per l’a.a. 2019/2020;
VISTA la nota del 16 gennaio 2019 prot. n. 2450 con la quale il Ministero della Salute, al fine di provvedere per l’a.a. 2018/2019 alla determinazione del numero globale dei medici da formare per ciascuna tipologia di scuola di specializzazione, ha chiesto al Ministero dell’Economia e delle finanze «di conoscere le risorse messe a disposizione […] per il finanziamento dei contratti di formazione specialistica ivi comprese quelle rinvenienti dalla mancata assegnazione dei contratti da parte del Dicastero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca»;
VISTA la nota del 28 gennaio 2019 prot. n. 15566 con la quale il Ministero dell’Economia e delle finanze ha comunicato il livello complessivo del finanziamento per l’a.a. 2018/2019;
VISTA la nota del 31 gennaio 2019 prot. n. 6026, con la quale il Ministero della Salute ha chiesto di indicare «le effettive e complessive risorse finanziarie disponibili per l’a.a. 2018/2019 e, conseguentemente, il numero dei contratti di formazione medico specialistica a carico dello Stato, riferiti al primo anno di corso»;
VISTA la nota del 5 aprile 2019 prot. n. 12471 con la quale il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca ha comunicato l’ammontare della spesa necessaria per la copertura delle coorti di specializzandi già iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti e che risulteranno ancora attive nell’a.a. 2018/2019, tenuto conto sia  delle sospensioni sia delle economie, chiedendo «di conoscere il numero di contratti di formazione medica specialistica finanziabili per l’a.a. 2018/2019»;
VISTA la nota del 26 aprile 2019 prot. n. 22803, con la quale il Ministero della Salute ha chiesto al Ministero dell’Economia e delle finanze di conoscere il «livello complessivo di risorse da destinare al finanziamento dei contratti di formazione medica specialistica relative all’anno accademico 2018/2019, avuto particolare riguardo al numero di contratti attivabili per l’iscrizione al primo anno di corso delle Scuole di specializzazione»;
VISTA la nota del 17 maggio 2019, prot. 118461 con la quale il Ministero dell’Economia e delle finanze ha comunicato  che per l’a.a. 2018/2019  «risulta finanziariamente sostenibile l’ammissione al primo anno di formazione specialistica di n. 8.000 medici»;
VISTO il decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Istruzione dell’università e della ricerca e con il Ministro dell’Economia e finanze, in corso di perfezionamento, recante la determinazione del numero globale degli specialisti da formare per l’a.a. 2018/2019, per ciascuna tipologia di specializzazione, definito  in un numero pari a 8.000 unità;
VISTA le note del 24 aprile 2019 prot. n. 14445 e del 13 maggio 2019 prot. n. 16416, con le quali il MIUR ha chiesto alle Università di comunicare tramite caricamento in Banca Dati Offerta Formativa – SSM 2018/2019, gli eventuali contratti aggiuntivi rispetto a quelli finanziati con risorse statali e regionali,  derivanti da donazioni o finanziamenti di enti pubblici e/o privati, da attivare per l’a.a. 2018/2019 con riferimento alle diverse tipologie di Scuola riordinate ai sensi del Decreto ministeriale n.68/2015 e compatibilmente con la capacità recettiva delle stesse Scuole, precisando anche l’eventuale presenza di requisiti specifici richiesti dagli stessi Enti finanziatori
VISTE le proposte caricate in Banca dati dagli Atenei per l’a.a. 2018/2019 con riferimento ai contratti aggiuntivi derivanti da donazioni o finanziamenti di Enti pubblici e/o privati;
VISTA la nota 24 aprile 2019, prot. n. 14458 con cui il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca ha chiesto alle Regioni di volere  porre in essere gli adempimenti necessari alla deliberazione, in tempo utile per l’espletamento del concorso, dei contratti per la formazione medica specialistica da finanziare per l’a.a. 2018/2019, in aggiunta a quelli finanziati con risorse statali;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, recante “Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto Speciale per il Trentino - Alto Adige”, nonché le disposizioni concernenti le conoscenze linguistiche nell'ambito della formazione medica specialistica di cui alla legge della Provincia Autonoma di Bolzano 15 novembre 2002, n. 14 e al relativo regolamento emanato con decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano 7 gennaio 2008, n. 4;
VISTA la legge della provincia autonoma di Trento 6 febbraio 1991, n. 4 recante “Interventi volti ad agevolare la formazione di medici specialisti e di personale Infermieristico” e in particolare gli articoli 3 e 4, nonché le deliberazioni di Giunta provinciale n.1564/2013 e n. 1914/2017 e successive modificazioni;
VISTO il comma 1-bis dell'articolo 36, del d.lgs. n. 368/1999, in base al quale “sono fatte salve le disposizioni normative delle province autonome di Trento e di Bolzano relative all'assegnazione dei contratti di formazione specialistica finanziati dalle medesime province autonome attraverso convenzioni stipulate con le università”;
VISTA la legge della regione autonoma Valle d'Aosta 30 luglio 2017, n. 11, recante “Disposizioni in materia di formazione specialistica di medici, veterinari e odontoiatri e di laureati non medici di area sanitaria, nonché di formazione universitaria per le professioni sanitarie. Abrogazione delle leggi regionali 31 agosto 1991, n. 37 e 30 gennaio 1998 n. 6” - e in particolare gli articoli 2, 3 e 4 - con la quale la Regione ha disciplinato in un unico testo normativo gli interventi a sostegno della formazione universitaria e post universitaria in ambito sanitario provvedendo all’abrogazione della previgente normativa in materia con particolare riferimento alla legge regionale 30 gennaio 1998, n. 6, nonché all’articolo 15, comma 4, della legge regionale 15 dicembre 2006, n. 30;
VISTA la deliberazione n. 615/2019 con la quale la Giunta della regione autonoma Valle d’Aosta ha approvato il finanziamento con risorse proprie dei contratti di formazione specialistica di area sanitaria per l’a.a. 2018-2019;
VISTO l’art. 1, comma 5, della legge della regione Sardegna 31 marzo 1992, n. 5 recante “Contributo alle Università della Sardegna per l'istituzione di borse di studio per la frequenza delle scuole di specializzazione delle facoltà di medicina e chirurgia”, come integrato dapprima dall’art. 5, comma 46, della legge 23 maggio 2013, n. 12 e successivamente dalla legge regionale 7 maggio 2015 n. 9;
VISTA la deliberazione della Giunta regionale della regione autonoma Sardegna n. 39/2016 del 9 agosto 2017 e n. 53/26 del 28 novembre 2017;
VISTA la legge della regione autonoma Friuli Venezia  Giulia 11 agosto 2016, n. 14, in particolare l’art. 8 comma 61 il quale prevede che :«I contratti di formazione specialistica dei medici, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 luglio 2007 (Definizione schema tipo del contratto di formazione specialistica dei medici), finanziati dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sono riservati a favore di medici residenti sul territorio regionale da almeno tre anni alla data di scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso e il relativo finanziamento regionale resta attribuito alla stessa Università per l'intera durata del corso»;
VISTA la legge della regione autonoma Friuli Venezia  Giulia 28 dicembre 2017, n. 45, in particolare l’art. 9, commi dal 7 al 10;
VISTA la nota del 3 luglio 2019 prot. n. 13901 della Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità della regione autonoma Friuli Venezia Giulia con la quale è stata trasmessa l’indicazione delle scuole di specializzazione di area sanitaria delle Università degli Studi di Trieste e di Udine cui attribuire i contratti aggiuntivi a finanziamento regionale Friuli Venezia Giulia per l’a.a. 2018/2019 come da delibera della Giunta regionale del 21  giugno 2019 n. 1010;
VISTE le normative delle Regioni a statuto ordinario in materia di interventi volti ad agevolare la formazione di medici specialisti;
VISTE le comunicazioni con le quali le Regioni e le Province autonome hanno fornito le indicazioni richieste in ordine ai suddetti contratti aggiuntivi tesi a soddisfare loro specifiche esigenze;
VISTO l’Accordo governativo di collaborazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica di San Marino ed il Governo delle Repubblica Italiana del 21 marzo 2002;
VISTA la nota congiunta Governo della Repubblica di San Marino - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia del 5 giugno 2019/1718  d F.R. prot. n. 67634/RSM  e  10 giugno 2019 prot. n. 103108/UNIMORE;
VISTA la nota del 20 giugno 2019 prot. n. 3406 con la quale l’INPS ha comunicato il finanziamento di dieci  contratti di formazione medica specialistica per la tipologia di Scuola “Medicina Legale” da riservare  «ai figli ed orfani di dipendenti e pensionati della Pubblica Amministrazione iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali e di pensionati utenti della Gestione Dipendenti Pubblici»;
VISTO il decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66, recante “Codice dell'ordinamento militare”, e, in particolare, l’art. 757 in base al quale «per le esigenze di formazione specialistica dei medici, nell’ambito dei posti risultanti dalla programmazione di cui all’art.35, comma 1, del d.lgs. n.368/1999, è stabilita, d’intesa con il Ministero della Difesa, una riserva di posti complessivamente non superiore al 5% per le esigenze di formazione specialistica della sanità militare»;
VISTE le note dell’8 aprile 2019 prot. n. 62062, del 23 aprile 2019 prot. n. 70377 e la comunicazione del 4 luglio 2019, con le quali il Ministero della Difesa - Ispettorato Generale della Sanità Militare (IGESAN), a seguito della richiesta del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, ha comunicato, ai sensi del citato art. 757 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, le proprie esigenze di medici specialisti per l’a.a. 2018/2019, per l’ammissione con riserva ed in sovrannumero dei militari designati da parte dell'IGESAN, quale organismo di vertice sanitario dello Stato Maggiore della Difesa;
VISTO il comma 3, dell’art. 35, del d.lgs. n. 368/1999 nella parte in cui dispone che, nell'ambito dei posti risultanti dalla programmazione del fabbisogno globale di medici specialisti da formare, «è stabilita, d'intesa con il Ministero dell'Interno una riserva di posti complessivamente non superiore al cinque per cento per le esigenze della sanità della Polizia di Stato […]. La ripartizione tra le singole scuole dei posti riservati è effettuata con il decreto di cui al comma 2»;
VISTA la nota 23 aprile 2019 prot. n. 14211, con cui il Ministero dell’Interno, a seguito della richiesta del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, ha comunicato, ai sensi del citato comma 3 dell’articolo 35, del d.lgs. n. 368/1999, il numero dei posti in soprannumero da riservare per le esigenze della sanità della Polizia di Stato per l’a.a. 2018/2019;
TENUTO CONTO che per l’a.a. 2018/2019 il Ministero dell’Economia e delle finanze, a seguito della richiesta del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, non ha segnalato esigenze specifiche con riguardo alla riserva di posti per la Sanità della Guardia di Finanza;
VISTO il comma 5 dell'articolo 39, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, come sostituito dall'articolo 26, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 e dall’articolo 1, comma 6-bis, del decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271;
VISTA la legge 14 gennaio 1999, n. 4 recante “Disposizioni riguardanti il settore universitario e della ricerca scientifica, nonché il servizio di mensa nelle scuole” e, in particolare, l’art. 1, comma 7, in base al quale  «il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, d’intesa con i Ministeri degli Affari Esteri e della Sanità, previa verifica delle capacità ricettiva delle strutture universitarie e di quelle convenzionate con le università, può autorizzare le scuole di specializzazione in chirurgia e medicina ad ammettere in soprannumero, qualora abbiano superato le prove di ammissione, medici extracomunitari che siano destinatari per l’intera durata del corso, di borse di studio dei Governi dei rispettivi Paesi o di istituzioni italiane e straniere riconosciute idonee. Ai fini delle determinazioni di cui al presente comma si fa riferimento agli Accordi governativi, culturali e scientifici, ai Programmi esecutivi dei medesimi e ad apposite Intese tra università italiane ed università dei Paesi interessati»;
VISTO il comma 3 dell’art. 35, del d.lgs. n. 368/1999 in base al quale si dispone che, nell’ambito dei posti risultanti dalla programmazione del fabbisogno globale di medici specialisti da formare, «è stabilito, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, il numero dei posti da riservare ai medici stranieri provenienti dai Paesi in via di sviluppo. La ripartizione tra le singole scuole dei posti riservati è effettuata con il decreto di cui al comma 2»;
TENUTO CONTO che per l’a.a. 2018/2019 il Ministero degli Affari esteri e delle cooperazione internazionale, a seguito della richiesta del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, non ha segnalato esigenze specifiche con riguardo alla riserva di posti da destinare ai medici stranieri provenienti dai Paesi in via di sviluppo ai sensi del citato comma 3 dell’art. 35 del d.lgs. n.368/1999, nonché a medici extracomunitari destinatari per l’intera durata del corso di borse di studio dei Governi dei rispettivi Paesi o di istituzioni italiane e straniere riconosciute idonee ai sensi del comma 7 dell’art. 1 della legge n. 4/1999;
VISTO il comma 4 dell’articolo 35, del d.lgs. n. 368/1999, in base al quale «il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, su proposta del Ministro della sanità, può autorizzare, per specifiche esigenze del servizio sanitario nazionale, l'ammissione, alle scuole, nel limite di un dieci per cento in più del numero di cui al comma 1 e della capacità ricettiva delle singole scuole, di personale medico di ruolo, appartenente a specifiche categorie, in servizio in strutture sanitarie diverse da quelle inserite nella rete formativa della scuola»;
TENUTO CONTO del parere del Consiglio di Stato, Sezione II n. 5311/2005, secondo cui non possono essere ammessi a partecipare ai concorsi per l'ammissione alle Scuole di specializzazione mediche sui posti in soprannumero riservati, ex comma 4 dell’articolo 35, del d.lgs. n. 368/1999, al personale medico di ruolo del S.S.N. le seguenti categorie di medici: a)medici appartenenti a strutture convenzionate con l'Università;  b) medici dipendenti dell'INPS e dell'INAIL; c) medici dell'Emergenza territoriale, ai quali si applica l'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 9 marzo 2000, reso esecutivo dal decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2000, n. 270, per i quali l'articolo 4, comma 2, lettera f) del predetto d.P.R. n. 270/2008 prevede l'incompatibilità con l'iscrizione o la frequenza ai corsi di specializzazione di cui al decreto legislativo n. 368/1999;  d) medici per i quali è applicabile l'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 9 marzo 2008;
VISTA la sentenza del Consiglio di Stato n. 1183 del 19 marzo 2008, secondo la quale non può sussistere, ai fini dell’ammissione ai posti riservati delle Scuole di specializzazione, un discrimine quando il rapporto di lavoro sia costituito con una struttura privata operante per accreditamento nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, in quanto con l’accreditamento la struttura, in possesso di specifici requisiti preventivamente accertati, concorre nella gestione del servizio pubblico di assistenza e cura, nel rispetto delle scelte e per il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalla programmazione sanitaria;
VISTE  le note del 19 aprile 2019 prot. n. 22122 e del 29 maggio 2019 prot. n. 28116 con le quali il Ministero della Salute, alla luce dei riscontri ricevuti dalle Regioni e dalle Province autonome, ha comunicato, ai sensi del citato articolo 35, comma 4, del d.lgs. n.368/1999, le esigenze del SSN per l’a.a. 2018/2019 in ordine alle riserve di posti in soprannumero relative alla formazione di personale medico di ruolo e titolare di rapporto a tempo indeterminato con strutture pubbliche e private accreditate del Servizio Sanitario Nazionale, compatibilmente con la capacità recettiva delle Scuole;
CONSIDERATO che ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d.lgs. n.368/1999 il Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, acquisito il parere del Ministero della Salute, determina il numero dei posti da assegnare a ciascuna Scuola di specializzazione, accreditata ai sensi dell’articolo 43 decreto legislativo 17 agosto 1999, n.368, tenuto conto, tra l’altro, della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa della Scuola stessa;
VISTI gli esiti della procedura di accreditamento ai sensi dell’articolo 43 decreto legislativo 17 agosto 1999, n.368 avviata dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca con nota del 25 febbraio 2019 prot. n. 6248 che ha portato alla emanazione dei decreti direttoriali in data in data 3 e 4 luglio 2019 del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca di accreditamento delle Scuole di specializzazione per l’.a.a. 2018/2019;
RITENUTO di procedere all’assegnazione dei contratti tenendo anche conto della capacità ricettiva, dei volumi assistenziali e delle performanceassistenziali delle singole strutture nonché della consistenza e dei requisiti assistenziali delle reti formative delle singole Scuole di specializzazione;
RITENUTO di procedere tenendo conto, altresì, dei requisiti disciplinari riferiti alla docenza, con particolare riferimento ai settori scientifico-disciplinari specifici della tipologia di Scuola, nonché degli indicatori di performanceformativa di cui al summenzionato decreto n. 402/2017;
RAVVISATA l’opportunità di attivare le Scuole laddove, previa verifica del possesso dei requisiti di ciascuna Scuola, il contingente globale di contratti per singola tipologia di specializzazione sia tale da permettere una loro distribuzione  idonea all’attivazione di più scuole, anche al fine di ottimizzare l’organizzazione territoriale delle Scuole anche su base regionale e la copertura del relativo fabbisogno di medici, valorizzando altresì la scelta degli Atenei di attivare Scuole in collaborazione con altri Atenei al fine di assicurare una vantaggiosa utilizzazione delle risorse strutturali e del corpo docente, come previsto all’art. 3 comma 3 del decreto interministeriale 4 febbraio 2015, n. 68;
TENUTO CONTO, altresì, di quanto sottoscritto in sede di Accordo 21 giugno 2018  tra il Governo e le Regioni e province autonome di Trento e Bolzano nella parte in cui prevede che: «2.Con riferimento agli anni accademici 2018/-2019 e 2019/2020, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, le Regioni e le province autonome, nel rispetto delle reciproche attribuzioni comunque preordinate al raggiungimento del medesimo interesse pubblico, si impegnano ad identificare un percorso di costante confronto per la determinazione dei principi e dei criteri di riferimento da utilizzarsi per la definizione globale dei contratti di formazione medica specialistica da assegnare alle tipologie di specializzazioni nonché per la distribuzione dei contratti medesimi alle Scuole di specializzazione degli Atenei, salvaguardando in ogni caso la qualità della formazione di cui al decreto interministeriale 13 giugno 2017, n. 402»;
TENUTO CONTO, pertanto, che, a seguito di quanto condiviso con le regioni in attuazione del punto 2 dell’anzidetto Accordo 21 giugno 2018, nel procedere all’assegnazione dei contratti si è tenuto conto anche delle esigenze rappresentate in sede di Accordo da ciascuna Regione relativamente al proprio fabbisogno di personale espresso per singola tipologia di specializzazione,  ferma restando la salvaguardia della qualità della formazione di cui al Decreto interministeriale 13 giugno 2017 n. 402;
TENUTO CONTO che l’Offerta Formativa delle Università si rivolge all’intero territorio nazionale;
CONSIDERATA la necessità di provvedere ai sensi del comma 2, dell’art. 35 del d.lgs. n. 368/1999 ed in relazione al citato decreto del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca ed il Ministero dell’Economia e delle finanze relativo al contingente globale da formare ripartito per tipologia di specializzazione, alla ripartizione per l’a.a. 2018/2019, tra le diverse scuole
ACQUISITO il parere del Ministero della Salute;

D E C R E T A

Art. 1

  1. Per l’a.a. 2018/2019 i posti disponibili coperti con contratti finanziati con risorse statali, pari a 8000, sono distribuiti, per ciascuna scuola di specializzazione attivata per l’a.a.. 2018/2019, secondo quanto indicato nella tabella di cui all’Allegato 1, che costituisce parte integrante del presente decreto.
  2. Nel medesimo Allegato 1 sono altresì indicati i posti finanziati con risorse regionali, i posti finanziati con risorse di altri enti pubblici e/o privati,  nonché i posti riservati alle categorie di cui all’art. 35 del d.lgs. n.368/1999 e la loro distribuzione per ciascuna scuola di specializzazione attivata per l’a.a. 2018/2019.
  3. Fermo restando quanto disposto al successivo comma 4, i posti coperti con contratti aggiuntivi finanziati dalle regioni e delle Province autonome sono assegnati, in ordine di graduatoria, successivamente ai posti coperti con contratti finanziati dallo Stato. I posti coperti con contratti aggiuntivi finanziati da altri enti pubblici e/o privati sono assegnati, in ordine di graduatoria, successivamente ai posti coperti con contratti finanziati dallo Stato, dalle regioni e dalle Province autonome.
  4. I posti aggiuntivi che nell’Allegato 1 sono indicati come coperti con finanziamenti che prevedono il possesso di specifici requisiti richiesti dalle rispettive disposizioni di riferimento degli enti finanziatori,  sono assegnati, in ordine di graduatoria, ai candidati in possesso degli anzidetti requisiti. Con successivo decreto direttoriale integrativo del bando e del presente provvedimento sono indicati i requisiti richiesti di cui al presente comma 4. 

Art. 2

  1. I candidati che intendono concorrere per i posti finanziati con contratti aggiuntivi di cui al comma 4 dell’art. 1  per i quali sia previsto il possesso di requisiti ad hoc, dovranno altresì attestare il possesso dei suddetti requisiti specifici  - così come indicati nel successivo decreto direttoriale integrativo del bando e del presente provvedimento -  secondo le modalità e le tempistiche che verranno indicate nel sopra citato decreto direttoriale integrativo.

Art. 3

  1. Fermo quanto disposto all’art. 3 ed all’art. 4 del bando prot. n. 859/2019, tenuto conto di quanto comunicato dalle Amministrazioni interessate ai sensi della normativa vigente, per l’a.a. 2018/2019 la distribuzione dei posti riservati ed in sovrannumero alle categorie riservatarie di cui all’art. 3 del bando prot. n. 859/2019 è definita per ciascuna scuola di specializzazione attivata per l’a.a. 2018/2019  nella tabella di cui all’Allegato 1 che costituisce parte integrante del presente decreto.

Della pubblicazione del presente decreto sul sito istituzionale del MIUR sarà dato avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

IL MINISTRO
f.to Dott. Marco Bussetti

ALLEGATO N. 1 TABELLA POSTI PDF 

Procreazione medicalmente assistita, Relazione al Parlamento 2019

Poche variazioni rispetto alla situazione dell'anno precedente per quanto riguarda la fecondazione senza donazione di gameti, mentre si registra un incremento dei trattamenti con donazione di gameti (fecondazione eterologa). A tracciare il quadro sull'attuazione della Legge 40 del 2004 in materia di Procreazione medicalmente assistita (PMA), è la Relazione al Parlamento sulla PMA 2019, relativa all’attività di centri PMA nel 2017 e all’utilizzo dei finanziamenti nel 2018. Ecco i dati principali.

Più cicli nei centri pubblici e privati accreditati

Si conferma la tendenza secondo cui il maggior numero dei trattamenti di fecondazione assistita viene effettuato nei centri pubblici e privati convenzionati.

Infatti, nonostante i centri PMA privati siano in numero superiore a quelli pubblici (106 vs 67), nel privato si effettuano meno cicli di trattamento: il 35,3% dei centri è pubblico ed effettua il 37,4% dei cicli; l’8,9% è privato convenzionato ed effettua il 29,5% dei cicli; il 55,8% è privato ed effettua il 33,1% dei cicli.

Inoltre, un consistente numero di centri PMA svolge un numero ridotto di procedure nell’arco dell’anno: solo il 23,1% dei centri di II e III livello ha fatto più di 500 cicli, contro una media europea del 41,5%.

13.973 bambini nati da PMA

Considerando tutte le tecniche di PMA  - sia di I livello (inseminazione), che di II e III livello (fecondazione in vitro) con o senza donazione di gameti ‒ dal 2016 al 2017, aumentano le coppie trattate (da 77.522 a 78.366), i cicli effettuati (da 97.656 a 97.888) e i bambini nati vivi (da 13.582 a 13.973). L’aumento è da attribuirsi all’incremento dei cicli effettuati con tecniche di crioconservazione e dei cicli effettuati con donazione di gameti.

Rimangono per lo più invariati infatti i dati numerici delle coppie, dei cicli iniziati e dei nati per tutte le tecniche senza donazioni di gameti, sia da inseminazione semplice che da tecniche di II e III livello, mentre si registra un significativo aumento dell’applicazione delle tecniche con donazione di gameti: in totale aumentano le coppie (da 5.450 a 6.429, +18,0%), aumentano i cicli (da 6.247 a 7.514, +20,3%) e aumentano i nati (da 1.457 a 1.737, +19,2%).

Cicli con donazione di gameti: 7514

Dei 7.514 cicli con donazione di gameti, 1.582 cicli iniziati sono con donazione di seme, pari al 21,1%; 3.149 sono quelli con donazione di ovociti (freschi e congelati), pari al 41,9%; 2.783 sono quelli con embrioni, precedentemente formati da gameti donati e crioconservati, pari al 37,0%.

I cicli che hanno utilizzato seme donato importato per un fattore di infertilità maschile sono stati 1.304, pari al 82,4% di tutti i cicli effettuati con donazione di seme, mentre i cicli eseguiti con donazione di ovociti per un fattore di infertilità femminile sono stati 3.035, pari al 96,4% del totale dei cicli con donazione di ovociti.

In calo le gravidanze gemellari

Diminuiscono le gravidanze gemellari e anche le trigemine, queste ultime in linea con la media europea nonostante una persistente variabilità fra i centri. Rimane costante la percentuale di esiti negativi sulle gravidanze monitorate, per la fecondazione in vitro sia da fresco che da scongelamento.

Età delle pazienti, più alta se la PMA è con donazione di gameti

Il dato sull’età delle pazienti che accedono alle tecniche PMA evidenzia che rispetto al 2016 aumentano le donne con meno di 35 anni e le donne di età compresa tra i 35 ed i 39 anni, mentre diminuisce di quasi un punto percentuale la quota di pazienti con età maggiore o uguale a 40 anni. L’età media delle donne che si sottopongono a tecniche senza donazione di gameti a fresco è pari a 36,7 anni, valore più elevato rispetto alla media europea pari a 34.7 anni. Nella fecondazione con donazione di gameti l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (42,4 anni) e minore se la donazione è di seme (35,6). La maggiore età di chi accede ai cicli di donazione sembra indicare come questa tecnica sia scelta soprattutto per infertilità fisiologica, dovuta appunto all’età della donna e non per patologie specifiche.

Consulta la Relazione, inviata alle camere il 28 giugno 2019.link at http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3827

NOVITA' IN TEMA DI ASSUNZIONI DI MEDICI IN FORMAZIONE SPECIALISTICA

19 GIUGNO 2019 Il Senato ha approvato definitivamente il ddl n. 1315, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, recante misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanità

LEGGI IL TESTO UFFICIALE 

Il Capo II (articoli da 11 a 13) reca disposizioni urgenti in materia di personale e di nomine negli enti del Servizio sanitario nazionale, di formazione sanitaria, di carenza di farmaci e di riparto del fondo sanitario nazionale
 
Articolo 12: il comma 2 è sostituito dal seguente: « 2. All’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 547, le parole: “I medici in formazione specialistica iscritti all’ultimo anno del relativo corso” sono sostituite dalle seguenti: “I medici e i medici veterinari iscritti all’ultimo anno del corso di for- mazione specialistica nonché, qualora questo abbia durata quinquennale, al penultimo anno del relativo corso”; 
b) al comma 548, dopo le parole: “dei medici”, ovunque ricorrono, sono inserite le seguenti: “e dei medici veterinari”; 
c) dopo il comma 548 sono inseriti i seguenti:
“548-bis. Le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e nei limiti di spesa per il personale previsti dalla disciplina vigente, possono procedere fino al 31 dicembre 2021 all’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato con orario a tempo parziale in ragione delle esigenze formative, disciplinato dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, di coloro che sono utilmente collocati nella graduatoria di cui al comma 547, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea relativamente al possesso del titolo di formazione medica specialistica. Il contratto non può avere durata superiore alla durata residua del corso di formazione specialistica, fatti salvi i periodi di sospensione previsti dall’articolo 24, commi 5 e 6, primo periodo, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e può essere prorogato una sola volta fino al conseguimento del titolo di formazione medica specialistica e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi. L’interruzione definitiva del percorso di formazione specialistica comporta la risoluzione automatica del contratto di lavoro. I medici e i medici veterinari specializzandi assunti ai sensi del presente comma sono inquadrati con qualifica dirigenziale e al loro trattamento economico, proporzionato alla prestazione lavorativa resa e commisurato alle attività assistenziali svolte, si applicano le disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro del per- sonale della dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale. Essi svolgono attività assistenziali coerenti con il livello di competenze e di autonomia raggiunto e correlato all’ordinamento didattico di corso, alle attività professionalizzanti nonché al programma formativo seguito e all’anno di corso di studi superato. Gli specializzandi, per la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato, restano iscritti alla scuola di specializzazione universitaria e la formazione specialistica è a tempo parziale in conformità a quanto previsto dall’articolo 22 della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005. Con specifici accordi tra le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e le università interessate sono definite le modalità di svolgimento della formazione specialistica a tempo parziale e delle attività formative teoriche e pratiche previste dagli ordinamenti e regolamenti didattici della scuola di specializzazione universitaria. La formazione teorica compete alle università. La formazione pratica è svolta presso l’azienda sanitaria o l’ente d’inquadramento, purché accreditati ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo n. 368 del 1999, ovvero presso gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Nel suddetto periodo gli specializzandi non hanno diritto al cumulo del trattamento economico previsto dal contratto di formazione specialistica di cui agli articoli 37 e seguenti del decreto legislativo n. 368 del 1999, fermo restando che il trattamento economico attribuito, con oneri a proprio esclusivo carico, dall’azienda o dall’ente d’inquadramento, se inferiore a quello già previsto dal contratto di formazione specialistica, è rideterminato in misura pari a quest’ultimo. A decorrere dalla data del conseguimento del relativo titolo di formazione medica specialistica, coloro che sono assunti ai sensi del presente comma sono inquadrati a tempo indeterminato nell’ambito dei ruoli della dirigenza del Servizio sanitario nazionale ai sensi del comma 548.

E' STATA EMESSA L'IMPORTANTE ED ATTESA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI TRATTAMENTI SALVA VITA IN CASO DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

Il 5 aprile 2019, a Milano, durante il corso ecm SCUOLAMEDICI sulla sicurezza del paziente, vi abbiano  informato del giudizio di legittimità costituzionale pendente avanti la Corte sul tema dei trattamenti salva vita, il 13 giugno è stata depositata la sentenza della Corte che esclude l'illegittimità del dettato normativo ciò in quanto  il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario non reca con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita.  Ne parleremo, a breve, nel prossimo corso ecm. 

Corte costituzionale, 13 giugno 2019, n. 144

Sentenza 144/2019 (ECLI:IT:COST:2019:144)
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: LATTANZI - Redattore MODUGNO
Camera di Consiglio del 20/03/2019    Decisione  del 20/03/2019
Deposito del 13/06/2019   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 3, c. 4° e 5°, della legge 22/12/2017, n. 219.
Massime: 
Atti decisi: ord. 116/2018

SENTENZA N. 144

ANNO 2019


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), promosso dal Tribunale ordinario di Pavia, nel procedimento relativo a G. A., in qualità di amministratore di sostegno di A. T., con ordinanza del 24 marzo 2018, iscritta al n. 116 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici italiani di Pavia “Beato Contardo Ferrini”;

udito nella camera di consiglio del 20 marzo 2019 il Giudice relatore Franco Modugno.


Ritenuto in fatto

1.– Il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia, con ordinanza del 24 marzo 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (d’ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

1.1.– Il giudice rimettente premette che, in favore di A. T., è stato già nominato, sin dall’ottobre 2008, un amministratore di sostegno, cui allo stato non è attribuita né l’assistenza necessaria, né la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. La relazione clinica del 21 febbraio 2018, tuttavia, ha certificato che A. T. risulta attualmente «in stato vegetativo in esiti di stato di male epilettico in paziente affetto da ritardo mentale grave da sofferenza cerebrale perinatale in sindrome disformica [recte: dismorfica]» nonché «portatore di PEG». Il giudice a quo rileva che, pertanto, si rende necessario integrare il decreto di nomina, ai sensi dell’art. 407, comma 4, del codice civile, ai fini dell’individuazione dei poteri in ambito sanitario; in particolare – preso atto delle condizioni di salute, anche personalmente verificate – «si profila come indispensabile l’attribuzione della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, non residuando alcuna capacità in capo all’amministrato».

Ciò premesso, il giudice tutelare osserva che, entrato in vigore l’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017, è quest’ultimo articolo a disciplinare «le modalità di conferimento, all’amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri in ambito sanitario». Ne conseguirebbe che l’attribuzione all’amministratore di sostegno di detti poteri (nella specie, sotto forma di rappresentanza esclusiva) «ricomprende necessariamente il potere di rifiuto delle cure, ancorché si tratti di cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato»; l’amministratore di sostegno, pertanto, avrebbe «il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato» senza che tale potere possa essere «sindacato dall’autorità giudiziaria».

Il giudice rimettente riferisce, dunque, che è chiamato a fare applicazione del censurato art. 3, comma 5, dovendo decidere sull’attribuzione all’amministratore di sostegno di A. T. della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.

1.2.– Ai fini del giudizio sulla rilevanza, il giudice a quo reputa «logicamente preliminare» l’esegesi dell’art. 3, comma 5, della legge n. 219 del 2017, osservando, in particolare, che l’espressione «rifiuto delle cure», in considerazione della locuzione «in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento», non può non concernere anche i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita; altrimenti detto, il rifiuto delle cure può interessare «tutti i trattamenti sanitari astrattamente oggetto delle DAT».

Per escludere tale opzione ermeneutica – prosegue il giudice rimettente – potrebbe ipoteticamente farsi leva sull’espressione «cure proposte», sostenendo che i trattamenti necessari al mantenimento in vita non possano essere inquadrati in termini di cure, di talché il rifiuto non potrebbe riguardarli. Si tratterebbe, tuttavia, di un’interpretazione incompatibile sia con la ratio legis, volta a valorizzare la libertà di autodeterminazione anche nell’ipotesi di trattamenti sanitari di fine vita, sia «con l’acquisizione, tra i diritti inviolabili ex art. 2 Cost., di un diritto a decidere sui trattamenti di fine vita»: in quanto tale, essa appare al giudice rimettente non praticabile.

Lo stato d’incapacità, per altro verso, non potrebbe di per sé escludere il diritto a decidere sui trattamenti necessari al mantenimento in vita, poiché ciò determinerebbe la violazione degli artt. 2, 3 [recte: 13] e 32 Cost. L’incapace è, infatti, persona e «nessuna limitazione o disconoscimento dei suoi diritti si prospetterebbe come lecita»: deve pertanto essergli riconosciuto, e ricevere tutela, il diritto all’autodeterminazione e al rifiuto delle cure, potendo la condizione d’incapacità influire soltanto sulle modalità di esercizio del diritto.

Una volta appurata la possibilità che siano rifiutati anche i trattamenti necessari al mantenimento in vita, il giudice rimettente rileva che l’art. 3, comma 5, della legge n. 219 del 2017 prevede espressamente che, in caso di opposizione del medico all’interruzione delle cure, è possibile l’intervento del giudice tutelare, mentre deve ritenersi, a contrario, che detto intervento non sia possibile nel caso in cui il medico non si opponga.

1.3.– Il giudice tutelare precisa, poi, che la circostanza che il procedimento abbia natura di volontaria giurisdizione non esclude la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale. In tal senso deporrebbe la giurisprudenza costituzionale: vengono richiamate le sentenze n. 258 del 2017, n. 121 del 1974 e, in particolare, la n. 129 del 1957.

1.4.– Nell’argomentare in punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente esordisce ricordando che «[l]a libertà di rifiutare le cure presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque (anche) extra-giuridiche, quindi squisitamente soggettive» (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 3 marzo-20 aprile 2005, n. 8291). Ciò implica che in tale ambito vengono in rilievo «valutazioni personalissime», indissolubilmente legate al soggetto interessato e alle sue convinzioni, insuscettibili d’essere vagliate oggettivamente o in base al parametro del best interest (adottato invece dalla House of Lords inglese, decisione del 4 febbraio 1993, Airedale NHS Trust v. Bland).

La dichiarazione di rifiuto delle cure è costituita di due momenti essenziali: quello concernente la formazione dell’intimo convincimento, intrasferibile in capo a terzi, e quello rappresentato dalla manifestazione di volontà, cedibile invece ad altri. E poiché l’amministratore di sostegno non è investito di un potere incondizionato di disporre della salute della persona incapace (Corte di cassazione, sezione prima civile, 16 ottobre 2007, n. 21748), ne consegue che il rifiuto delle cure che egli manifesti deve essere la rappresentazione della volontà dell’interessato e dei suoi orientamenti esistenziali: l’amministratore non deve decidere né «al posto dell’incapace, né per l’incapace», perché il diritto personalissimo a rifiutare le cure è «la logica simmetria d[e]lla indisponibilità altrui e dell’intrasferibilità del diritto alla vita».

Il giudice a quo osserva, pertanto, che, affinché la decisione sul rifiuto delle cure sia espressione dell’interessato e non di chi lo rappresenta, questa deve risultare dalle DAT o, in assenza di queste, deve ricorrersi alla ricostruzione della volontà dell’incapace, per mezzo di «una pluralità di indici sintomatici, di elementi presuntivi, mediante l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura», in modo da assicurare che la «scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualità della vita proprio del rappresentante» (è novamente richiamata Cass., n. 21748 del 2007).

Secondo il rimettente, si tratterebbe di un processo di ricerca serio e complesso, il quale renderebbe «imprescindibile» l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale è il giudice, teso a tutelare il «carattere personalissimo e [la] speculare indisponibilità altrui del diritto di rifiuto delle cure e del diritto alla vita». Se si consentisse all’amministratore di sostegno di ricostruire autonomamente la volontà dell’interessato, «si sentenzierebbe il concreto annichilimento della natura personalissima del diritto a decidere sulla propria vita», poiché si configurerebbe «surrettiziamente» il potere dell’amministratore di assumere la propria volontà a fondamento del rifiuto delle cure.

Conseguentemente, sarebbe incostituzionale l’attribuzione all’amministratore di sostegno, determinata dalle disposizioni censurate, «di un potere di natura potenzialmente incondizionata e assoluta attinente la vita e la morte, di un dominio ipoteticamente totale, di un’autentica facoltà di etero-determinazione».

L’«insanabile contrasto» sarebbe, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost. Il diritto a rifiutare le cure troverebbe fondamento in tali norme costituzionali e dovrebbe considerarsi inviolabile, con la conseguenza che sarebbe negata ad altri la possibilità di violarlo; il suo essere diritto «intrinsecamente correlato al singolo interessato» escluderebbe che il momento della formazione della volontà possa essere delegato a terzi, pena un suo inesorabile disconoscimento. Le modalità d’esercizio di rifiuto delle cure previste dalle disposizioni censurate sarebbero, pertanto, «radicalmente inidonee a salvaguardare compiutamente la natura eminentemente soggettiva del diritto in questione», negandone l’essenza personalissima e determinandone la violazione.

Non varrebbe a superare il vulnus la possibilità d’intervento del giudice, in caso di rifiuto opposto dal medico all’interruzione dei trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita dell’interessato: si tratterebbe innegabilmente di un intervento giudiziale «meramente ipotetico ed accidentale», subordinato all’eventuale esistenza di un dissidio tra rappresentante e medico. Né, ancora, potrebbe opporsi che, a ben vedere, le norme censurate attribuiscono la valutazione finale circa il rifiuto delle cure al medico, il quale potrebbe effettuare un controllo sulle determinazioni dell’amministratore di sostegno: si tratterebbe, infatti, pur sempre di una valutazione medica «imperniata su canoni obiettivi di “appropriatezza” e “necessità”», che disconoscono la natura personalissima e soggettiva del diritto di rifiutare le cure, non avendo il medico, d’altra parte, la possibilità di ricostruire la volontà dell’interessato e di accertare la conformità a quest’ultima della decisione del rappresentante.

Le norme censurate sarebbero, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto manifestamente irragionevoli. La loro applicazione, infatti, determinerebbe «un’incoerenza di ingiustificabile significanza all’interno dell’architettura di sistema delineata dall’istituto dell’amministrazione di sostegno»: ciò perché, se ai sensi dell’art. 411 cod. civ. è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento degli atti indicati agli artt. 374 e 375 cod. civ., attinenti alla sfera patrimoniale, sarebbe irrazionale non prevedere analoga autorizzazione per manifestare il rifiuto delle cure, «sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona», in quanto in tal modo l’ordinamento appresterebbe a interessi d’ordine patrimoniale una salvaguardia superiore a quella riconosciuta ai richiamati diritti fondamentali. Inoltre, a conferma dell’incongruenza interna al sistema dell’amministrazione di sostegno, il giudice a quo osserva come la giurisprudenza (è richiamato il decreto del Tribunale ordinario di Cagliari, 15 giugno 2010) riconosca la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare perché il rappresentante avanzi la domanda di separazione, atto personalissimo, mentre le disposizioni censurate non prevedono l’intervento giudiziale per autorizzare l’atto personalissimo del rifiuto delle cure, «coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle implicazioni certamente superiori».

Quale ulteriore profilo di irragionevolezza, il rimettente osserva che, se la legge n. 219 del 2017 è tutta fondata «sull’intento di valorizzare ed accordare centralità alle manifestazioni di volontà dei singoli», tanto da prevedere formalità e procedure per la loro espressione, non si comprende perché venga meno «la più elementare attenzione» per tale elemento volontaristico, non prevedendosi, quando si tratti di soggetti incapaci, meccanismo alcuno di tutela o controllo.

1.5.– Il giudice tutelare di Pavia, infine, chiede alla Corte – ove venissero accolte le questioni di legittimità costituzionale – di dichiarare l’illegittimità costituzionale in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), delle disposizioni impugnate anche nella parte in cui prevedono che il rappresentante legale della persona interdetta oppure inabilitata, in assenza delle DAT, o il rappresentante legale del minore possano rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque sia, non fondate.

2.1.– L’interveniente rileva, innanzitutto, che il giudice a quo – oltre a non avere mosso censure in relazione a ciascuno dei parametri costituzionali evocati, il che costituirebbe autonoma ragione d’inammissibilità per difetto di motivazione – non ha argomentato circa l’impossibilità di interpretare le disposizioni censurate in senso conforme a Costituzione, come invece richiesto dalla giurisprudenza costituzionale «univoca e ormai consolidata». Interpretazione conforme a Costituzione che, a suo avviso, sarebbe invece possibile.

Succintamente ricostruita la recente disciplina in materia di consenso informato e di DAT, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che i diritti ivi riconosciuti devono essere garantiti anche a chi non è più in grado di opporre il rifiuto alle cure ma che, quando ne era capace, aveva chiaramente manifestato volontà in tale senso. In tale prospettiva, si pone in evidenza che gli artt. 357 e 424 cod. civ. individuano nel tutore il soggetto interlocutore dei medici con riferimento ai trattamenti sanitari, mentre gli artt. 404 e seguenti cod. civ. sanciscono il potere di cura del disabile anche in capo all’amministratore di sostegno, secondo i poteri conferitigli con il decreto di nomina: al diritto di ogni persona di «manifestare validamente la propria volontà in merito all’accettazione o al rifiuto dei possibili trattamenti sanitari» conseguirebbe l’obbligo per il rappresentante legale di dare corso a tale volontà.

Si tratterebbe di approdi che trovano conferma, oltre che nel diritto internazionale (si richiama l’art. 6 della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata e resa esecutiva con la legge 28 marzo 2001, n. 145, di seguito: Convenzione di Oviedo), nella giurisprudenza della Corte di cassazione (oltre alla già richiamata sentenza n. 21748 del 2007, sono citate Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza 15 gennaio 1997, n. 364, e sentenza 25 novembre 1994, n. 10014). In particolare, la giurisprudenza di legittimità avrebbe precisato che il tutore deve agire nell’esclusivo interesse dell’incapace, ricostruendone la volontà «tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche» (Cass., n. 21748 del 2007, citata).

Una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate dovrebbe, pertanto, portare a ritenere che, essendo il diritto alla salute un diritto personalissimo, la rappresentanza legale «non trasferisce sul tutore e sull’amministratore di sostegno un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza». D’altra parte, l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017 espressamente prevede che l’amministratore di sostegno deve tenere conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere, quando la nomina comprenda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario: circostanza, questa, che implicherebbe un vaglio specifico da parte del giudice.

Molteplici sarebbero, pertanto, gli elementi che depongono per una possibile interpretazione conforme delle disposizioni censurate o, comunque sia, per l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale: l’obbligo per il rappresentante, nel rifiutare le cure, di agire nell’interesse dell’incapace, ricostruendone la volontà; la valutazione del medico, in base alle sue competenze, sulla natura necessaria e appropriata delle cure; l’intervento del giudice in caso di opposizione del medico e su ricorso di qualsiasi soggetto interessato laddove l’amministratore di sostegno non abbia tenuto nella dovuta considerazione la volontà del beneficiario.

2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa, poi, inammissibile, o altrimenti infondata, la richiesta del giudice a quo di estendere in via conseguenziale la dichiarazione d’illegittimità costituzionale ad altre norme parimente poste dalle disposizioni censurate.

Osserva l’interveniente che questa Corte, con la sentenza n. 138 del 2009, ha affermato che l’art. 27, seconda parte, della legge n. 87 del 1953 non sottrae il rimettente dall’onere di motivare in ordine alle ragioni «che lo inducono a sospettare dell’esistenza dell’illegittimità costituzionale» di ciascuna delle disposizioni legislative che viene a censurare: onere cui l’odierno rimettente non avrebbe adempiuto.

3.– Hanno depositato un comune atto di intervento nel giudizio le associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani – Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Contardo Ferrini”, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano accolte.

3.1.– In punto di legittimazione all’intervento, la difesa delle associazioni afferma che, in considerazione degli scopi sociali, sarebbe evidente il concreto interesse delle intervenienti «a portare il proprio contributo e ad interloquire» dinanzi a questa Corte. Il «prevalente interesse etico» sottostante le questioni di legittimità costituzionale dovrebbe consentire una più larga partecipazione di associazioni «espressioni della società civile» nel giudizio costituzionale, a maggior ragione in considerazione del «carattere giusnaturalistico delle moderne costituzioni occidentali», le quali, compresa la Costituzione italiana, rimanderebbero a un ordinamento che «precede» quello della legge statale e che «trova il suo più solido e profondo fondamento nell’ordine naturale delle cose, vale a dire nel diritto naturale».

3.2.– Nel merito, le intervenienti osservano come, in base alla giurisprudenza di legittimità e a quanto disposto nella Convenzione di Oviedo, dovrebbe escludersi la possibilità di sacrificare la salute o il bene supremo della vita di persona incapace di dare consenso, «in assenza di eventi ineluttabili quali una malattia che non possa essere contrastata se non incorrendo nell’accanimento terapeutico». La disposizione censurata, pertanto, favorirebbe «gli abusi, con rifiuto delle cure e conseguente soppressione di pazienti incapaci» per interessi che possono essere i più diversi, estranei al best interest del malato.

3.3.– Ripercorsi i dubbi, condivisi, di legittimità costituzionale del giudice a quo, le intervenienti osservano che l’«inadeguatezza» della normativa censurata persisterebbe anche nel caso in cui questa Corte ritenesse possibile l’interruzione delle cure solo una volta ricostruita, per opera del giudice tutelare, la volontà dell’incapace: sarebbe evidente, infatti, «il carattere di fictio iuris di una tale metodologia», irrispettosa della «reale e ipoteticamente diversa volontà che il paziente potrebbe esprimere attualmente, da sé, se ne fosse in grado».

A parere delle intervenienti, infatti, un valido consenso o rifiuto delle cure «non può insorgere anteriormente al verificarsi del quadro patologico rispetto al quale si pone la necessità di dare l’informativa». Il problema della valutazione della persistenza del rifiuto delle cure, dunque, esisterebbe e permarrebbe, secondo questa prospettiva, anche in caso di DAT «proprio per la naturale volatilità della volontà delle persone rispetto ai fatti ed alle stagioni della vita»: funzione del giudice tutelare, pertanto, dovrebbe essere, in ogni caso, quella di autorizzare terapie che non costituiscano accanimento terapeutico e che salvaguardino, in ossequio al principio di precauzione, i beni della salute e della vita.

3.4.– La difesa delle intervenienti dà altresì conto di una nota dell’associazione di Pavia, che ritiene utile riportare nella «esatta consistenza testuale», nella quale vengono delineati ulteriori aspetti di illegittimità costituzionale.

Si afferma, in particolare, che la possibilità per l’amministratore di sostegno, anche se in presenza di DAT, di rifiutare o interrompere l’alimentazione, l’idratazione o la ventilazione artificiale sarebbe in contrasto con la dignità umana (art. 2 Cost.), con il diritto alla salute (perché l’art. 32 Cost. si riferisce ai trattamenti sanitari ed è dibattuta la possibilità di ricomprendervi gli anzidetti trattamenti), con l’art. 3 Cost. (perché la legge n. 219 del 2017 equipara irragionevolmente terapie mediche e trattamenti di mero sostegno vitale). L’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017, poi, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché, consentendo all’amministratore di sostegno di dover solo tenere conto della volontà del soggetto amministrato in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere, lederebbe il diritto personalissimo alla vita e alla salute che solo il titolare può esercitare (art. 2 Cost.) ed equiparerebbe irragionevolmente chi è totalmente incapace e chi, anche solo parzialmente, può invece manifestare la propria volontà (artt. 3 e 32 Cost.). Sono rappresentati, infine, vizi di costituzionalità ritenuti ancora più radicali, dubitandosi della legittimità costituzionale della privazione di trattamenti sanitari salvavita, siano o no presenti le DAT.


Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (d’ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

Secondo il giudice rimettente, le norme censurate si porrebbero in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost., in quanto sarebbe necessario che, in assenza delle DAT, la volontà di esercitare il diritto inviolabile e personalissimo di rifiutare le cure, che troverebbe fondamento in tali norme costituzionali, sia ricostruita in modo da salvaguardare la natura soggettiva del diritto medesimo: salvaguardia che sarebbe garantita solo con l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale è il giudice.

Le disposizioni censurate, poi, si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto plurimi profili. Innanzitutto, poiché nell’amministrazione di sostegno, ai sensi dell’art. 411 del codice civile, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento degli atti, attinenti alla sfera patrimoniale, indicati agli artt. 374 e 375 del medesimo codice, sarebbe irragionevole che analoga autorizzazione non sia prevista per il rifiuto delle cure, «sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona». In secondo luogo, dal momento che secondo la giurisprudenza è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare perché il rappresentante avanzi la domanda di separazione coniugale, sarebbe costituzionalmente illegittimo che non sia invece previsto l’intervento giudiziale per autorizzare il rifiuto delle cure, del pari atto personalissimo «coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle implicazioni certamente superiori». Infine, sarebbe irragionevole che, se si tratta di soggetti incapaci, non venga apprestata «la più elementare attenzione» per la loro volontà, non prevedendosi meccanismo alcuno di tutela o controllo, quando invece la legge n. 219 del 2017 è tutta fondata «sull’intento di valorizzare ed accordare centralità all[e] manifestazioni di volontà dei singoli», tanto da prevedere formalità e procedure per la loro espressione.

2.– Deve essere preliminarmente dichiarato inammissibile l’intervento delle associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Contardo Ferrini”.

2.1.– Al giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale possono partecipare, secondo quanto previsto dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e dall’art. 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, le parti del giudizio a quo e, secondo che sia censurata una norma di legge statale o di legge regionale, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Presidente della Giunta regionale. Il richiamato art. 4 delle Norme integrative prevede, altresì, la possibilità di derogare a tale regola, ferma restando la competenza di questa Corte a giudicare sull’ammissibilità degli interventi di altri soggetti: secondo la costante giurisprudenza, tali interventi sono ammissibili, senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità, soltanto quando i terzi siano «titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura» (ex plurimis, sentenze n. 98 e n. 13 del 2019, n. 217, e n. 180 del 2018; nello stesso senso, sentenza n. 213 del 2018).

Nel caso di specie le associazioni intervenienti – le quali hanno, altresì, dedotto questioni di legittimità costituzionale ulteriori rispetto all’ordinanza di rimessione, per ciò solo inammissibili – non possono essere considerate titolari di un tale interesse qualificato, posto che l’odierno giudizio di legittimità costituzionale non è destinato a produrre, nei loro confronti, effetti immediati, neppure indiretti. Esse, infatti, non vantano una posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata dalla decisione di questa Corte sulle norme oggetto di censura, ma soltanto un generico interesse connesso al perseguimento dei loro scopi statutari.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, perché il rimettente non avrebbe prospettato «specifiche censure con riguardo a ciascun parametro costituzionale richiamato», con conseguente difetto di motivazione.

3.1.– L’eccezione è palesemente destituita di fondamento.

Il giudice rimettente, evocando a parametro congiuntamente gli artt. 2, 13 e 32 Cost., ha in tutta evidenza ritenuto che l’addizione richiesta a questa Corte sarebbe imposta dal combinato disposto di tali norme costituzionali. Del resto, non solo la giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto che il principio del consenso informato trova fondamento proprio nelle norme costituzionali ora in discorso (sentenza n. 438 del 2008 e ordinanza n. 207 del 2018), ma è la stessa legge n. 219 del 2017 a definirsi funzionale alla tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona, nel rispetto, tra gli altri, dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost.

Autonomamente e adeguatamente motivate, poi, sono le censure in riferimento all’art. 3 Cost.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale anche sotto un ulteriore profilo: il giudice rimettente non avrebbe «argomentato in ordine all’impossibilità di dare alle disposizioni impugnate un’interpretazione conforme a Costituzione».

4.1.– L’eccezione non è fondata.

Il giudice tutelare di Pavia si è diffuso ampiamente sull’interpretazione delle disposizioni censurate, soffermandosi in particolare sul significato da attribuire alla locuzione «rifiuto delle cure», la quale ricomprenderebbe, alla luce della ratio legis e del diritto costituzionale all’autodeterminazione, anche il rifiuto delle cure necessarie al mantenimento in vita; non solo, il giudice a quo ha espressamente escluso di poter interpretare detta locuzione come non comprensiva del rifiuto di tali cure. L’iter argomentativo della ordinanza di rimessione si fonda, dunque, su una seria e approfondita attività ermeneutica concernente la disposizione censurata, conclusasi con un’attribuzione a quest’ultima di un significato normativo che al giudice rimettente appare in contrasto con gli evocati parametri costituzionali.

Il giudice a quo, dunque, ha implicitamente escluso, all’esito dell’attività interpretativa posta in essere, di poter ricavare dalle disposizioni oggetto di censura norme conformi a Costituzione. Se, poi, l’esito dell’attività esegetica del giudice rimettente sia condivisibile, o no, è profilo che attiene al merito, e non più all’ammissibilità, delle questioni di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 78 e n. 12 del 2019, n. 132 e n. 15 del 2018, n. 69, n. 53 e n. 42 del 2017, n. 221 del 2015).

5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.

Il giudice tutelare rimettente (legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale: da ultimo, sentenza n. 258 del 2017) impernia i dubbi di costituzionalità sul seguente assunto: in ragione di quanto previsto dalle disposizioni censurate, l’amministratore di sostegno, al quale, in assenza delle DAT, sia stata affidata la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, ha per ciò solo, sempre e comunque, anche il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza del beneficiario, senza che il giudice tutelare possa diversamente decidere e senza bisogno di un’autorizzazione di quest’ultimo per manifestare al medico il rifiuto delle cure.

Si tratta di un presupposto interpretativo erroneo.

5.1.– Deve innanzitutto osservarsi che la legge n. 219 del 2017, come si evince sin dal suo titolo, dà attuazione al principio del consenso informato nell’ambito della «relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico» (art. 1, comma 2).

Per quanto qui rileva, il principio – previsto da plurime norme internazionali pattizie, oltre che dall’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche – ha fondamento costituzionale negli artt. 2, 13 e 32 Cost. e svolge la «funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative» (sentenza n. 438 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 253 del 2009 e ordinanza n. 207 del 2018). In attuazione delle norme costituzionali, la legge n. 219 del 2017, pertanto, dopo aver sancito che «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge» (art. 1, comma 1), promuove e valorizza la relazione di cura e fiducia tra medico e paziente che proprio sul consenso informato deve basarsi (art. 1, comma 2), esplicita le informazioni che il paziente ha diritto di ricevere (art. 1, comma 3), stabilisce le modalità di espressione del consenso e del rifiuto di qualsivoglia trattamento sanitario, anche (ma non solo) necessario alla sopravvivenza (art. 1, commi 4 e 5), prevede l’obbligo per il medico di rispettare la volontà espressa dal paziente (art. 1, comma 6).

La legge n. 219 del 2017 ha poi introdotto, ovviamente in correlazione al diritto all’autodeterminazione in ambito terapeutico, l’istituto delle DAT, prevedendo che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di determinarsi, possa esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un «fiduciario», che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie (art. 4, comma 1). Il medico è tenuto al rispetto delle DAT (che devono essere redatte secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 6), potendo egli disattenderle, in accordo con il fiduciario, soltanto «qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita» (art. 4, comma 5).

5.1.1.– L’art. 3 della legge n. 219 del 2017 reca la disciplina – concernente tanto il consenso informato quanto le DAT – applicabile nel caso in cui il paziente sia non una persona (pienamente) capace di agire (art. 1, comma 5), ma una persona minore di età, interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di sostegno.

Le norme oggetto del presente giudizio di costituzionalità regolano, in particolare, quest’ultimo caso, stabilendo, da un lato, che, quando la nomina dell’amministratore di sostegno prevede l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, «il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere» (art. 3, comma 4); dall’altro, che, qualora non vi siano DAT, se l’amministratore di sostegno rifiuta le cure e il medico le reputa invece appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare, su ricorso dei soggetti legittimati a proporlo (art. 3, comma 5). Le norme censurate, dunque, sono volte a disciplinare casi particolari di espressione o di rifiuto del consenso informato, anche – ma non soltanto – laddove questo riguardi trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza.

Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, però, esse non hanno disciplinato «le modalità di conferimento, all’amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri in ambito sanitario», le quali, invece, restano regolate dagli artt. 404 e seguenti cod. civ., come introdotti dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali). Le norme oggetto dell’odierno sindacato di questa Corte, altrimenti detto, non disciplinano l’istituto dell’amministrazione di sostegno, ma regolano il caso in cui essa sia stata disposta per proteggere una persona che è sottoposta, o potrebbe essere sottoposta, a trattamenti sanitari e che, pertanto, deve esprimere o no il consenso informato a detti trattamenti.

L’esegesi dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017 deve essere condotta, pertanto, alla luce dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, richiamato dalle norme censurate: segnatamente, è in base alla disciplina codicistica che devono essere individuati i poteri spettanti al giudice tutelare al momento della nomina dell’amministratore di sostegno, i quali non sono affatto contemplati dalla richiamata legge n. 219 del 2017.

5.2.– Questa Corte, già all’indomani della legge n. 6 del 2004, rilevò che «l’ambito dei poteri dell’amministratore [è] puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto» (sentenze n. 51 del 2010 e n. 440 del 2005), secondo quanto previsto dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina, che deve contenere, tra le altre indicazioni, quelle concernenti l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero 3, cod. civ.), nonché la periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero 6, cod. civ.).

Più di recente, anche sulla scia dell’interpretazione e dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno da parte della giurisprudenza di legittimità, questa Corte ha osservato che tale istituto «si presenta come uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 27 settembre 2017, n. 22602)» (sentenza n. 114 del 2019). Esso consente al giudice tutelare «di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (in questo senso, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 maggio 2017, n. 11536; 26 ottobre 2011, n. 22332; 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584; ma si veda anche Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 settembre 2015, n. 17962)» (sentenza n. 114 del 2019).

L’amministrazione di sostegno è, insomma, un istituto duttile, che, proprio in ragione di ciò, può essere plasmato dal giudice sulle necessità del beneficiario, anche grazie all’agilità della relativa procedura applicativa (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 settembre 2015, n. 17962; 26 ottobre 2011, n. 22332; 1° marzo 2010, n. 4866; 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584). Con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, difatti, il giudice tutelare «si limita, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento» (sentenza n. 114 del 2019), perché è chiamato ad affidargli, nell’interesse del beneficiario, i necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento quest’ultimo sia ritenuto inidoneo (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 29 novembre 2006, n. 25366).

Attribuendo al giudice tutelare il compito di modellare l’amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e alle condizioni di vita del beneficiario, il legislatore ha inteso limitare «nella minore misura possibile» (sentenza n. 440 del 2005) la capacità di agire della persona disabile: il che marca nettamente la differenza con i tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, la cui applicazione attribuisce al soggetto uno status di incapacità, più o meno estesa, connessa a rigide conseguenze legislativamente predeterminate. Il maggior rispetto dell’autonomia e della dignità della persona disabile assicurata dall’amministrazione di sostegno è alla base di quelle recenti decisioni, anche di questa Corte, che hanno escluso si estendano a tali soggetti – in ragione d’una generalizzata applicazione, in via analogica, delle limitazioni dettate per l’interdetto o l’inabilitato – i divieti di contrarre matrimonio (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 maggio 2017, n. 11536) o di donare (sentenza n. 114 del 2019; Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460): il beneficiario di amministrazione di sostegno può sì essere privato della capacità di porre in essere tali atti personalissimi, quando ciò risponda alla tutela di suoi interessi, ma sempre che ciò sia espressamente disposto dal giudice tutelare – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o anche in una sua successiva revisione – con esplicita clausola ai sensi dell’art. 411, quarto comma, cod. civ.

È fuor di dubbio, infine, che possa ricorrersi all’amministrazione di sostegno anche laddove sussistano soltanto esigenze di «cura della persona» – come d’altra parte recitano gli artt. 405, quarto comma, e 408, primo comma, cod. civ. – in quanto esso non è istituto finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma è volto, più in generale, a soddisfarne i «bisogni» e le «aspirazioni» (art. 410, primo comma, cod. civ.), così garantendo adeguata protezione alle persone fragili, in relazione alle effettive esigenze di ciascuna (Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza 26 luglio 2018, n. 19866; sul ricorso all’amministrazione di sostegno per l’esercizio di scelte connesse al diritto alla salute, anche Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998).

5.3.– La ricostruzione del quadro normativo concernente l’amministrazione di sostegno, anche alla luce degli approdi della giurisprudenza di questa Corte e della Corte di cassazione, rivela l’erroneità del presupposto interpretativo su cui si fondano le questioni di legittimità costituzionale proposte dal giudice tutelare di Pavia.

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale.

Nella logica del sistema dell’amministrazione di sostegno è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario. Spetta al giudice, pertanto, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017. Tali misure di tutela, peraltro, non possono non essere dettate in base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario, dovendo il giudice tutelare affidare all’amministratore di sostegno poteri volti a prendersi cura del disabile, più o meno ampi in considerazione dello stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri, questi versa. La specifica valutazione del quadro clinico della persona, nell’ottica dell’attribuzione all’amministratore di poteri in ambito sanitario, tanto più deve essere effettuata allorché, in ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l’esigenza di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di sostegno vitale: in tali casi, infatti, viene a incidersi profondamente su «diritti soggettivi personalissimi» (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 7 giugno 2017, n. 14158; più di recente, anche Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998), sicché la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non può non essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato.

La ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, pertanto, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell’amministratore sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l’estensione nel solo interesse del disabile. L’adattamento dell’amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del disabile: il giudice tutelare, infatti, deve essere periodicamente aggiornato dall’amministratore circa le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero 6, cod. civ.), può modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte nel decreto di nomina (art. 407, quarto comma, cod. civ.), può essere chiamato a prendere gli opportuni provvedimenti – su ricorso del beneficiario, del pubblico ministero o degli altri soggetti di cui all’art. 406 cod. civ. – in caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza dell’amministratore nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste della persona disabile (art. 410, secondo comma, cod. civ.).

5.3.1.– L’esegesi dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017, tenuto conto dei principi che conformano l’amministrazione di sostegno, porta allora conclusivamente a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. Le norme censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile l’intervento delle associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Contardo Ferrini”;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dal giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2019.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

I chirurghi cardiotoracici del Monte Sinai di San Luca eseguono con successo la prima procedura di bypass coronarico al petto chiuso

10-giu-2019 


Monte Sinai I cardiochirurghi di San Luca eseguono con successo la prima procedura di bypass coronarico al torace chiuso 

Monte Sinai Heart è l'unico centro a New York che offre la chirurgia endoscopica specializzata

Per vedere un video su questa ricerca clicca qui: 
https://youtu.be/RBt_DoU0R7s

(New York, NY - 10 giugno 2019) - Il Monte Sinai Heart è diventato l'unico centro nello Stato di New York che offre un intervento chirurgico di bypass cardiaco senza incisioni importanti o tagli attraverso lo sterno. La procedura, nota come totalmente endoscopica di bypass arterioso coronarico o TECAB, viene eseguita utilizzando solo microincisioni e offre ai pazienti eleggibili un recupero molto più rapido e meno dolore, cicatrici e rischio di infezione.

Due importanti cardiochirurghi cardiotoracici del sistema sanitario Mount Sinai - John Puskas, MD e Gianluca Torregrossa, MD - hanno eseguito le prime due procedure TECAB del sistema durante la settimana del 28 maggio al Monte Sinai St. Luke's.

TECAB è un approccio altamente tecnico alla chirurgia di bypass delle arterie coronarie, che è la chirurgia cardiaca più comune nel paese. I suoi benefici includono anche l'assenza di spargimento delle costole e un ridotto rischio di ictus. "Siamo orgogliosi ed entusiasti di aver eseguito con successo questa procedura coronarica avanzata presso il Monte Sinai St Luke", afferma il dott. Puskas, presidente della chirurgia cardiovascolare sul Monte Sinai St. Luke, sul Monte Sinai Beth Israel e sul Monte Sinai West. "Ora possiamo offrire questa procedura meno dolorosa con un recupero più semplice per i pazienti con grave malattia coronarica".

"TECAB ci consente di evitare le principali incisioni al torace per i nostri pazienti, offrendo loro un netto miglioramento nel recupero postoperatorio", spiega il Dr. Torregrosa, Direttore associato di Chirurgia cardiaca robotica presso il Monte Sinai St. Luke's. "L'aspetto minimamente invasivo di questa procedura ci consente di massimizzare il beneficio dell'innesto di bypass delle arterie coronarie anche per quei pazienti che non sono candidati ideali per la chirurgia convenzionale."

Drs. Puskas e Torregrossa hanno eseguito gli interventi TECAB - un singolo bypass e un doppio bypass - attraverso quattro incisioni del buco della serratura (con la punta delle dita) lunghe meno di un centimetro. La chirurgia di bypass standard comporta una grande incisione sul torace che può essere lunga fino a dodici pollici. I chirurghi hanno posizionato strumenti robotici attraverso le microincisioni per raccogliere l'arteria mammaria. Quindi, hanno utilizzato un dispositivo automatico altamente specializzato per collegare l'arteria mammaria all'arteria coronaria sulla parete anteriore del cuore e hanno sparato 13 minuscole clip di acciaio inossidabile per tenere istantaneamente le arterie insieme con un alto grado di precisione. Nella procedura di bypass tradizionale, il chirurgo deve aprire il torace del paziente e cucire le arterie a mano.

Con TECAB, i pazienti possono tornare a casa da uno a quattro giorni dopo l'intervento e tornare alle normali attività solo una o due settimane dopo. I pazienti con bypass a petto aperto sono in genere in ospedale da una settimana a 10 giorni e non possono tornare alla piena attività per circa tre mesi.

"Questa è una procedura molto impegnativa dal punto di vista tecnico, con pochi chirurghi di bypass che hanno abbastanza abilità o formazione per impiegarlo. Il nostro team cardiaco è attrezzato per gestire procedure così complesse e avanzate e la nostra struttura modernizzata è dotata di un robot chirurgico all'avanguardia per assisterli ", afferma Arthur Gianelli, presidente del Monte Sinai St. Luke's. "Offrendo questa innovativa procedura di bypass a Mount Sinai St. Luke's, il nostro team balza in avanti nella chirurgia di bypass con arteria coronaria a New York e nel Nord-Est e siamo ben posizionati come uno dei migliori programmi cardiaci al mondo."

Molti pazienti con bypass possono qualificarsi per TECAB. I migliori candidati sono quelli con un numero limitato di blocchi sul lato sinistro del cuore che vogliono evitare un'operazione tradizionale. I chirurghi non possono eseguire TECAB su pazienti che hanno avuto un precedente intervento al cuore o esposizione a radioterapia del cancro vicino al torace.

Per ulteriori informazioni sul Monte Sinai Cuore visita San Luca questo link: https://www.mountsinai.org/locations/st-lukes/care/heart

Il cuore del Monte Sinai è uno dei 10 migliori ospedali della nazione in cardiologia / cardiochirurgia Il Mount Sinai Health System è il più grande sistema di consegna integrato di New York City, comprendente otto ospedali, una scuola medica leader e una vasta rete di pratiche ambulatoriali in tutta la grande regione di New York. La visione del Monte Sinai è quella di produrre la cura più sicura, la massima qualità, la massima soddisfazione, il miglior accesso e il miglior valore di qualsiasi sistema sanitario della nazione. Il sistema sanitario comprende circa 7.480 medici di base e specialistici; 11 centri di chirurgia ambulatoriale di joint-venture; oltre 410 pratiche ambulatoriali nei cinque distretti di New York, Westchester, Long Island e Florida; e 31 centri sanitari convenzionati. La Icahn School of Medicine è una delle tre scuole di medicina che si sono guadagnate distinzione in base a più indicatori: classificati tra i primi 20 di US News & World Report del  "Miglior scuole mediche", in linea con un  US News & World Report di  "Honor Roll" Ospedale, n ° 12 nella nazione per National Institutes of Health finanziamento, e tra le prime 10 istituzioni più innovative di ricerca secondo gli utenti di  la rivista Nature in the Nature Innovation Index . Ciò riflette un livello speciale di eccellenza nell'istruzione, nella pratica clinica e nella ricerca. Il Mount Sinai Hospital è classificato n. 18 su  US News & World Report's "Honor Roll" dei migliori ospedali statunitensi; è uno dei 20 principali ospedali della nazione in Gastroenterologia / Chirurgia GI, Geriatria, Nefrologia e Neurologia / Neurochirurgia, e tra i primi 50 in altre sei specialità nel numero 2018-2019 "Best Hospitals". L'ospedale per bambini Kravis di Mount Sinai è inoltre classificato a livello nazionale in cinque su dieci specialità pediatriche da  US News & World Report . La New York Eye and Ear Infirmary del Monte Sinai è classificata undicesima a livello nazionale per oftalmologia e 44 per orecchio, naso e gola. Il Monte Sinai Beth Israel, il Monte Sinai St. Luke's, il Monte Sinai West e il South Nassau Communities Hospital sono classificati a livello regionale.

Informazioni sul sistema sanitario Monte Sinai
Il Mount Sinai Health System è il più grande sistema di consegna integrato di New York City, comprendente otto ospedali, una scuola medica leader e una vasta rete di pratiche ambulatoriali in tutta la grande regione di New York. La visione del Monte Sinai è quella di produrre la cura più sicura, la massima qualità, la massima soddisfazione, il miglior accesso e il miglior valore di qualsiasi sistema sanitario della nazione. Il sistema sanitario comprende circa 7.480 medici di base e specialistici; 11 centri di chirurgia ambulatoriale di joint-venture; oltre 410 pratiche ambulatoriali nei cinque distretti di New York, Westchester, Long Island e Florida; e 31 centri sanitari convenzionati. La Icahn School of Medicine è una delle tre scuole di medicina che si sono guadagnate distinzione in base a più indicatori: classificati tra i primi 20 di US News & World Report del  "Miglior scuole mediche", in linea con un  US News & World Report di  "Honor Roll" Ospedale, n ° 12 nella nazione per National Institutes of Health finanziamento, e tra le prime 10 istituzioni più innovative di ricerca secondo gli utenti di  la rivista Nature in the Nature Innovation Index . Ciò riflette un livello speciale di eccellenza nell'istruzione, nella pratica clinica e nella ricerca. Il Mount Sinai Hospital è classificato n. 18 su  US News & World Report's "Honor Roll" dei migliori ospedali statunitensi; è uno dei 20 principali ospedali della nazione in Gastroenterologia / Chirurgia GI, Geriatria, Nefrologia e Neurologia / Neurochirurgia, e tra i primi 50 in altre sei specialità nel numero 2018-2019 "Best Hospitals". L'ospedale per bambini Kravis di Mount Sinai è inoltre classificato a livello nazionale in cinque su dieci specialità pediatriche da  US News & World Report . La New York Eye and Ear Infirmary del Monte Sinai è classificata undicesima a livello nazionale per oftalmologia e 44 per orecchio, naso e gola. Il Monte Sinai Beth Israel, il Monte Sinai St. Luke's, il Monte Sinai West e il South Nassau Communities Hospital sono classificati a livello regionale.

Per ulteriori informazioni, visitare il sito  http://www.mountsinai.org/ , o trovare Monte Sinai su Facebook Twitter Instagram e YouTube .

 PER IL RILASCIO IMMEDIATO

 Contatto:                 Ufficio stampa Ilana Nikravesh  Mount Sinai                                                    (212) 241-9200      Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

link at https://www.newswise.com/articles/mount-sinai-st-luke-s-cardiothoracic-surgeons-successfully-perform-first-closed-chest-coronary-bypass-procedure

Livelli essenziali di assistenza, attivo il servizio di richiesta di aggiornamento dei Lea

"Da oggi anche i cittadini e le associazioni dei pazienti potranno richiedere al ministero della Salute l’inclusione nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) di nuove prestazioni o servizi. La Commissione nazionale per l'aggiornamento dei Lea, presieduta dal ministero, fornirà una risposta, positiva o negativa. Una novità significativa che rende sempre più reale il dialogo con i cittadini e le associazioni". 

Così il ministro della Salute ha annunciato il nuovo servizio di richiesta di aggiornamento dei Lea, che da oggi diventa operativo sul portale ministeriale.

In particolare, la Commissione esaminerà non solo le richieste di inclusione nei Lea di nuove prestazioni o servizi, ma anche quelle di modifica o di esclusione di prestazioni o servizi già inclusi, come anche le richieste di nuove esenzioni per patologia o di modifica delle esistenti.

Potranno avanzare le richieste, seguendo una particolare procedura, non solo i cittadinie le associazioni dei pazienti, ma anche ad esempio le aziende sanitarie, i professionisti del Servizio sanitario nazionale o le aziende produttrici, come anche le Regioni e le Province autonome.

Per conoscere i dettagli e la procedura, consulta la pagina dedicata alla richiesta di aggiornamento dei Lea.

In Italia un milione di persone con demenza, 600mila con Alzheimer: task force all’ISS su prevenzione e diagnosi, coinvolti tutti i Centri e Dipartimenti

ISS, 3 giugno 2019

Il 4 giugno open day sulla malattia con 12 stand tematici e dibattiti sui fattori di rischio, terapie e percorsi assistenziali

Una mappa online dei servizi assistenziali, individuazione dei fattori di rischio, studi sui biomarker diagnostici, un progetto per identificare la malattia tra gli immigrati. Sono queste le azioni principali che l’Istituto Superiore di Sanità sta rafforzando per la prevenzione, la diagnosi, la ricerca e la gestione dei disturbi cognitivi, delle demenze e della malattia di Alzheimer.

Sono anche i temi di cui si parlerà durante l’open day “ISS e malattia di Alzheimer: prevenzione oltre la diagnosi” che si terrà domani, 4 giugno dalle 17.00 alle 21.00.

Nei giardini dell’ISS saranno organizzati dagli 11 Centri e Dipartimenti 12 stand tematici con cinque percorsi dedicati ai fattori di rischio e di prevenzione, terapie, biotecnologie, servizi per il cittadino, giochi e scienza. Questi stand saranno gestiti da ricercatori dell’ISS, medici, psicologi, terapisti, associazioni di volontari per presentare tematiche collegate alla diagnosi e alla prevenzione della malattia di Alzheimer con il coinvolgimento dei giovani dell’Alternanza Scuola-Lavoro.

Secondo i dati dell’Osservatorio Demenze dell’ISS in Italia un milione di persone sono affette da demenza, 600mila sono colpite da Alzheimer e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Colpisce in numero maggiore le donne.

“L’Istituto Superiore di Sanità – dice Nicola Vanacore coordinatore dell’Osservatorio Demenze dell’ISS finanziato dal Ministero della Salute – è in prima linea nel condurre e sostenere la ricerca e la trasferibilità immediata dei risultati alla pratica clinica corrente del sistema socio-sanitario del Paese. Per la prima volta tutti i Centri e Dipartimenti hanno offerto supporto sinergico per individuare i fattori di rischio collegati all’insorgenza della malattia, poiché è ormai noto che alcuni di questi fattori di rischio sono legati allo stile vita, come l’abitudine al fumo, l’alimentazione o l’attività fisica, e pertanto sono potenzialmente modificabili”.

L’open day vuole essere un momento di incontro e di confronto tra la comunità dei ricercatori e la cittadinanza per promuovere un nuovo approccio di sanità pubblica nell’affrontare una malattia che impatta nelle vite di centinaia di migliaia di persone e delle loro famiglie.

“L’obiettivo della giornata – dice Annamaria Confaloni, responsabile dell’open day e ricercatrice del Dipartimento di Neuroscienze – un nuovo rapporto tra le generazioni nella lotta allo stigma della malattia che ha un enorme impatto economico e sociale con un costo annuo stimato di 12 miliardi di euro. Questa malattia è ormai considerata da tutte gli organismi nazionali ed internazionali una vera e propria emergenza socio-sanitaria”.

“Grazie all’Osservatorio Demenze  – conclude Nicola Vanacore – l’ISS ha aggiornato la mappa online che offre un servizio pubblico a tutti i cittadini e gli operatori socio-sanitari riportando i Centri per la diagnosi (CDCD – centri per i disturbi cognitivi e demenza), i Centri Diurni e le strutture residenziali presenti in ogni provincia italiana. Tali servizi forniscono l’assistenza socio-sanitaria a tutti i pazienti ed ai loro familiari nell’intera storia naturale della malattia”.

Lotta all’Alzheimer, sinergia tra i ricercatori dell’ISS

Dalla ricerca di base allo studio delle mutazioni genetiche

L’attività di ricerca del Dipartimento Neuroscienze sulla malattia di Alzheimer e le altre demenze, si articola su vari piani. L’attività sperimentale riguarda lo studio dei meccanismi molecolari che modulano i processi neurodegenerativi e l’utilizzo di sostanze terapeutiche in grado di modificarli utilizzando sia modelli animali che cellulari. Queste attività vengono svolte in collaborazione con il Centro di riferimento Scienze Comportamentali e Salute Mentale e il Centro nazionale Ricerca e Valutazione Preclinica e Clinica dei Farmaci. Inoltre, grazie ad una attiva collaborazione con centri clinici nazionali ed internazionali per il reperimento dei campioni biologici, l’unità operativa è impegnata nella ricerca di nuovi possibili marcatori diagnostici e prognostici, con lo scopo di migliorare la caratterizzazione clinica dei pazienti.

Un ulteriore tema di indagine, riguarda l’individuazione delle variabili genetiche che causano o predispongono all’insorgenza delle forme familiari nella demenze di Alzheimer e Frontotemporale.

La collaborazione con il Centro di Riferimento di Medicina di Genere si è concentrata sulle differenze di genere nella ricerca di biomarcatori per le patologie neurodegenerative.

Infine, il gruppo collabora da anni con il Centro nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute nell’ambito dell’epidemiologia molecolare.

Osservatorio Demenze e riflettori sulla popolazione immigrata

Il gruppo di lavoro del Centro Nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute (CNaPPS) si occupa del sito dell’Osservatorio Demenze che da anni aggiorna la mappa online dei servizi assistenziali sul territorio. Partecipa al Piano Nazionale demenze per lo sviluppo di raccomandazioni etiche relative ai diritti, all’autonomia e alla dignità delle persone affette da demenza. I ricercatori ISS sono coinvolti, inoltre, nello studio “Interceptor” dell’Agenzia Italiana del Farmaco con l’obiettivo di identificare biomarker in grado di prevedere con maggiore precisione la conversione della diagnosi di deficit cognitivo lieve in malattia di Alzheimer dopo 2 o 3 anni di follow-up. II gruppo partecipa anche al progetto Immidem, il primo progetto dedicato in Italia alla prevalenza della demenza nella popolazione di immigrati e nelle minoranze etniche.

Influenza dell’ambiente

Il Dipartimento Ambiente e Salute promuove la ricerca per identificare i possibili fattori di rischio ambientali coinvolti nell’insorgenza delle demenze e approntare opportune strategie di prevenzione

Disturbi cognitivi e anziano fragile

Il Dipartimento malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento è in prima linea per la prevenzione dei disturbi cognitivi nell’ anziano fragile. E’ impegnato nello studio dei fattori protettivi e di rischio associati alle principali patologie e alterazioni funzionali età-correlate, tra cui il deterioramento cognitivo e la fragilità nell’anziano, al fine di individuare profili di rischio favorevoli al mantenimento dell’autosufficienza, per un invecchiamento attivo e in buone condizioni psico-fisiche e relazionali.

Attività assistite con animali

Il Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale (SCIC) si occupa di interventi innovativi in salute mentale per la promozione dell’invecchiamento in buona salute, anche attraverso la valutazione di biomarcatori e delle risposte comportamentali.

Attività fisica e riabilitazione

Il gruppo che si occupa di attività fisica e riabilitazione afferente al Dipartimento Malattie Cardiovascolari, Endocrino-metaboliche e Invecchiamento (MACA) è impegnato nell’analisi del movimento e biomeccanica dell’apparato locomotore anche su pazienti con malattia di Alzheimer o altre demenze.

Nuove tecnologie innovazione

Valutare i nuovi ausili tecnologici per la riabilitazione dell’anziano fragile. Questo l’obiettivo del Centro Nazionale Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica (TISP) che partecipa al progetto di Ricerca Finalizzata “High-end and Low-End Virtual Reality Systems for the Rehabilitation of Frailty in the Elderly” con il compito di valutare l’usabilità della tecnologia per la riabilitazione dell’anziano fragile con disturbi cognitivi e fisici, e di misurare l’aderenza terapeutica ai protocolli riabilitativi proposti.

Bioetica

Il declino cognitivo della persona con demenza presenta problemi anche a livello etico, deontologico e giuridico. Per questo L’Unità di Bioetica dell’ISS da anni si occupa di predisporre documenti di riferimento condivisi. L’Unità, infatti, collabora a diverse attività interne ed esterne all’ISS nell’ambito delle demenze, tra cui la partecipazione al Working Group on Ethical Issues di Alzheimer Europe (2009-2011), la partecipazione al Comitato Nazionale per la Bioetica e alla stesura dei relativi documenti, tra cui “Le demenze e la malattia di Alzheimer: considerazioni etiche” sugli gli aspetti etici e relativi al consenso informato. Attualmente l’Unità di Bioetica partecipa al gruppo di lavoro “Etica e demenze” del Ministero della Salute previsto dal piano nazionale per le demenze e alla Struttura di Missione Temporanea dell’ISS sulle demenze.

FONTE https://www.iss.it/?p=3774 

Approvato alla Conferenza Stato Regioni il primo Piano Nazionale di Medicina di Genere

L’impegno del Ministero della Salute e dell’ISS perchè le cure siano a misura di uomini e donne

ISS, 31 maggio 2019

Di Alessandra Carè, Direttore del Centro di Riferimento di medicina di genere

Il 30 maggio 2019 è una data molto importante che pone l’Italia all’avanguardia in Europa nel campo della Medicina di Genere.

Il Piano per  l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere sul territorio nazionale è stato infatti formalmente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, previsto dall’articolo 3 della Legge 3/2018. L’esigenza di questo nuovo punto di vista da includere in tutte le specialità mediche nasce dalla crescente consapevolezza delle differenze associate al genere, con il fine ultimo di garantire ad ogni persona, sia uomo che donna, la migliore cura, rafforzando ulteriormente il concetto di “centralità del paziente” e di “personalizzazione delle terapie”.

Con l’approvazione di tale Piano, per la prima volta in Italia viene inserito il concetto di “genere” nella medicina, al fine di garantire in modo omogeneo sul territorio nazionale la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale. Nell’era della Medicina personalizzata risulta quanto mai importante, anzi direi indispensabile, tenere conto delle numerose differenze osservate tra uomini e donne nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie.

Il Piano è nato dall’impegno congiunto del Ministero della Salute e del Centro di riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità con la collaborazione di un Tavolo tecnico-scientifico di esperti regionali in Medicina di Genere e dei referenti per la Medicina di Genere della rete degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico nonché di AIFA e AGENAS.

Oltre alla descrizione dello stato dell’arte della Medicina di Genere a livello nazionale e internazionale, il Piano, indica gli obiettivi strategici, gli attori coinvolti e le azioni previste per una reale applicazione di un approccio di genere in sanità nelle quattro aree d’intervento previste dalla legge, i) Percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, ii) Ricerca e innovazione, iii) Formazione, e iv) Comunicazione.

L’art.3 della legge 3/2018 prevede inoltre la costituzione presso l’Istituto Superiore di Sanità di un Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere con il compito di assicurare l’avvio, il mantenimento nel tempo e il monitoraggio delle azioni previste dal Piano, con lo scopo ultimo di fornire al Ministro della Salute i dati da presentare annualmente alle Camere. L’ISS è stato individuato quale ente vigilato titolare dell’Osservatorio e garante dell’attendibilità e appropriatezza dei dati rilevati, naturalmente con il coinvolgimento degli altri enti vigilati (AIFA, AGENAS, IRCCS) e con la consultazione della Commissione dei rappresentanti regionali.

In questo contesto, il Centro di riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità avrà un ruolo cruciale di promozione e coordinamento delle attività volte all’applicazione e diffusione della Medicina di Genere, con l’obiettivo di coinvolgere tutte le Regioni italiane in modo da assicurare la tutela della centralità della persona in egual misura su tutto il territorio nazionale.

Il Centro di riferimento per la Medicina di Genere, già impegnato direttamente nella promozione della ricerca sui meccanismi fisiopatologici responsabili delle differenze di genere e sugli effetti dello stile di vita e dell’ambiente sulla salute dell’uomo e della donna, si occuperà di formare e aggiornare gli operatori sanitari e di promuovere campagne di comunicazione e informazione rivolte ai cittadini per una corretta ed omogenea applicazione di un approccio genere-specifico.

In conclusione possiamo dire che è un risultato importante che richiederà un grande impegno da parte di tutti gli addetti poiché l’attuazione di questo Piano rappresenterà un obiettivo strategico per la nostra Sanità che, attraverso una medicina più aderente alle specifiche necessità di ciascuno, potrà essere più efficace ed economica.f

fonte https://www.iss.it/?p=3760

Trasparenza dei prezzi dei farmaci, ministro Grillo: "Data storica, sì dell’OMS alla nostra risoluzione

"Oggi è una data storica: il mondo intero ha creduto alla nostra proposta di risoluzione che rappresenta una sfida per una maggiore equità nell’accesso alle cure e ora gli Stati si impegnano ad adottare i princìpi che abbiamo portato avanti perché non vi siano più barriere al diritto alla salute".

Così il ministro della Salute Giulia Grillo ha commentato l’approvazione, arrivata oggi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), della risoluzione sulla trasparenza dei prezzi dei farmaci promossa dall’Italia con il supporto di altri 22 Stati.

"Fino ad oggi mettere in discussione i criteri dei prezzi dei medicinali è stato un tabù, ma adesso qualcosa è cambiato. La decisione dell’OMS apre una nuova rotta nei negoziati sui prezzi dei farmaci, ponendo un principio di trasparenza da cui non si torna indietro. Negoziare sulla base di informazioni più complete porterà a migliorare il dialogo con l’industria, ad avere un mercato più competitivo e innovativo e quindi a comprare più salute a parità di risorse", ha dichiarato il ministro.

La risoluzione è stata accolta dai 194 Paesi membri dell’OMS come una rivoluzione che aprirà scenari di maggiore equità nell’accesso alle cure. Per la prima volta e dopo un intenso lavoro, l’Italia ha catalizzato l’attenzione mondiale su un tema di rilevanza cruciale per la salute pubblica.

"Quando abbiamo iniziato lavorare al testo della risoluzione, pochissimi hanno creduto che saremmo arrivati fino in fondo. E molti ci hanno chiamato visionari, sognatori. Oggi però dico forte e chiaro che senza un sogno, senza una visione, nessun cambiamento è possibile. Mi piace festeggiare con le parole dell’economista Ezio Tarantelli: "L’utopia dei deboli è la paura dei forti". Il nostro impegno per la trasparenza è concreto e il successo della nostra risoluzione lo dimostra. Non era facile, non era scontato. Da oggi possiamo iniziare a parlare tutti un nuovo linguaggio. Finalmente nuovi standard per la trasparenza aiuteranno ogni Paese nella contrattazione dei prezzi dei farmaci: da quelli "di base" alle terapie più innovative che solo in pochi oggi possono permettersi. Lo scenario deve cambiare, il mondo chiede la rivoluzione della trasparenza perché tutti, anche i più poveri, possano avere diritto a curarsi e a dare un futuro diverso ai propri figli. Devo dire grazie al direttore generale di Aifa, Luca Li Bassi, che ha lavorato senza sosta in queste settimane per coinvolgere il maggior numero di Paesi e per promuovere una nuova cultura della trasparenza nelle politiche internazionali del farmaco. L’Italia si pone alla guida del cambiamento, non si torna indietro", ha concluso il ministro Grillo.

La risoluzione promossa dall’Italia dal titolo "Improving the transparency of markets for medicines, vaccines, and other health products" ha avuto come co-sponsor: Algeria, Andorra, Botswana, Brasile, Egitto, Eswatini, Grecia, India, Indonesia, Kenya, Luxembourg, Malesia, Malta, Portogallo, Federazione Russa, Serbia, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Sri Lanka, Uganda e Uruguay.

Nel testo si esortano gli Stati membri a migliorare la condivisione pubblica delle informazioni sui prezzi effettivi pagati dai governi e da altri acquirenti per i prodotti sanitari e una maggiore trasparenza sui brevetti farmaceutici, i risultati delle sperimentazioni cliniche e altri determinanti del prezzo in ogni fase della catena: dal laboratorio all’armadietto dei medicinali del paziente.

Per approfondire

Consulta:

  • il testo della risoluzione "Improving the transparency of markets for medicines, vaccines, and other health products"
  • il sito dell'OMS.

Data di pubblicazione: 28 maggio 2019, ultimo aggiornamento 28 maggio 2019

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3769

IL PATTO PER LA SALUTE 2019-2021

NEWS DAL MINISTERO DELLA SALUTE

Il Patto per la Salute è un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema.

AL LAVORO PER SCRIVERE IL PATTO PER LA SALUTE 2019-2021

Il ministro della Salute, Giulia Grillo, il 22 maggio 2019 ha convocato al ministero gli undici gruppi di lavoro incaricati di scrivere il Patto della salute 2019-2021, tenendo fede agli impegni assunti con le Regioni e in coerenza con la forte volontà di dare concretezza e rapidità ai lavori. Il nuovo testo definirà le politiche per la salute del prossimo triennio.

Gli undici gruppi di lavoro insediati sono i seguenti:

  • Lea e Piani di rientro
  • Risorse umane
  • Mobilità
  • Enti vigilati
  • Governance farmaceutica e dei dispositivi medici
  • Investimenti
  • Reti strutturali di assistenza territoriale sociosanitaria
  • Fondi integrativi
  • Modelli previsionali
  • Ricerca
  • Efficienza e appropriatezza utilizzo fattori produttivi

PATTO PER LA SALUTE 2014-2016

L'accordo tra lo Stato e le Regioni sul Patto per la salute per gli anni 2014-2016, siglato il 10 luglio 2014, cambia il sistema sanitario italiano e riguarda 60 milioni di cittadini. Ecco i punti principali:

  • La novità: dopo anni di tagli lineari le Regioni avranno certezza di budget, sara' possibile avviare una programmazione triennale. 
  • L'obiettivo è rendere il sistema sanitario sostenibile di fronte alle nuove sfide: l'invecchiamento della popolazione, l'arrivo dei nuovi farmaci sempre più efficaci ma costosi, la medicina personalizzata. 
  • Lotta agli sprechi e alle inefficienze, risparmi da reinvestire in salute.
  • Garantire a tutti l'accesso alle cure, ai farmaci e uno standard qualitativo di assistenza.
  • Aggiornare i Lea significa togliere prestazioni e cure ormai obsolete,  che comunque costano, e sostituirle con nuove e moderne cure piu'  efficaci per la cura delle malattie.
  • Viene aggiornato anche il nomenclatore per garantire ai cittadini protesi moderne: era fermo da quindici anni.
  • Il malato dal centro: l'umanizzazione delle cure e' il fulcro del nuovo Patto.
  • Si adeguano i Lea inserendovi tutte le malattie rare.
  • Riorganizzare gli ospedali, potenziare la medicina dei territorio significa creare una rete d'assistenza molto piu' efficiente e capillare ed evitare l'ingolfamento dei grandi ospedali.
  • Riorganizzare la medicina del territorio con ruoli da protagonisti per i medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e farmacie di servizio.

I precedenti Patti per la Salute

Triennio 2010-2012

Nella seduta del 3 dicembre 2009 è stato siglato tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano il Patto per la Salute 2010–2012.

Con il Patto per la Salute 2010-2012, lo Stato si impegna ad assicurare 104.614 milioni di euro per l’anno 2010 e 106.934 milioni di euro per l’anno 2011, un incremento del 2,8% per l’anno 2012. 

Viene poi ampliato lo spazio di programmabilità degli interventi previsti nel programma straordinario di investimenti di edilizia sanitaria, elevandolo dagli attuali 23 miliardi di euro, a 24 miliardi di euro, e sulla possibilità di utilizzare, per gli interventi di edilizia sanitaria, anche le risorse FAS di competenza regionale. 

Governo e Regioni si accordano inoltre sui settori strategici in cui operare allo scopo di qualificare i servizi sanitari regionali e di garantire maggiore soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, con un contestuale un maggior controllo della spesa:

  • riorganizzazione delle reti regionali di assistenza ospedaliera;
  • assistenza farmaceutica;
  • governo del personale;
  • qualificazione dell’assistenza specialistica;
  • meccanismi di regolazione del mercato e del rapporto pubblico privato;
  • accordi sulla mobilità interregionale;
  • assistenza territoriale e post acuta;
  • potenziamento dei procedimenti amministrativo contabili;
  • rilancio delle attività di prevenzione.

Vengono confermate le funzioni del Tavolo di verifica degli adempimenti e del Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza; viene inoltre istituita la Struttura di monitoraggio paritetica.

Relativamente all’assistenza farmaceutica e ai dispositivi medici, Governo e Regioni si impegnano a costituire un apposito tavolo che formuli una organica proposta entro 30 giorni, sulla base dei seguenti principi:

  1. definizione di modalità e strumenti per il governo dell’assistenza farmaceutica ospedaliera
  2. garanzia - da parte dell’AIFA – di mettere a disposizione delle Regioni dati analitici sui consumi farmaceutici;
  3. revisione dell’attuale disciplina del ricorso ai farmaci “off label"
  4. monitoraggio della spesa farmaceutica, al fine di formulare proposte per assicurare il rispetto dei tetti programmati.

Con riferimento ai pazienti anziani non autosufficienti, si conviene che:

  1. anche al fine di agevolare i processi di de-ospedalizzazione, nelle singole regioni e province autonome la dotazione di posti letto di residenzialità e delle strutture di semiresidenzialità e l’organizzazione dell’assistenza domiciliare per i pazienti anziani e altri soggetti non autosufficienti, sono oggetto di uno specifico atto di programmazione integrata, in coerenza con le linee prestazionali previste nel vigente DPCM di fissazione dei LEA;
  2. l’ammissione alle varie forme di assistenza residenziale e domiciliare è subordinata ad una valutazione multidimensionale effettuata con gli strumenti valutativi già concordati dalle Regioni con il Ministero, del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
  3. sono definitivamente attivati i flussi informativi relativi alle prestazioni di assistenza domiciliare e di assistenza residenziale afferenti al Nuovo sistema informatico sanitario (NSIS). La valorizzazione delle prestazioni registrate in tali flussi informativi deve coincidere con i valori riportati nel modello LA, relativi all’assistenza residenziale e domiciliare.

Quanto al monitoraggio e alla verifica dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), si conviene di aggiornare il provvedimento relativo al sistema di indicatori di garanzia nonché di utilizzare, nella fase intermedia, il set di indicatori già approvato per l’anno 2007 dal Comitato permanente per la verifica dei LEA, e di monitorare l’andamento degli stessi LEA in relazione alla definizione dei costi standard in attuazione del federalismo fiscale. 

Consulta:

Triennio 2007-2009

Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano concernente un nuovo Patto sulla salute.

Triennio 2005-2007

Intesa Stato-Regioni 23 marzo 2005, ai sensi dell'articolo 1, comma 173 della legge 30 dicembre 2004, n.311.

Triennio 2002-2004 e adeguamento 2001

Accordo tra Governo, Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano dell'8 agosto 2001 recante integrazioni e modifiche agli accordi sanciti il 3 agosto 2000 e il 22 marzo 2001 in materia sanitaria.

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1299&area=programmazioneSanitariaLea&menu=vuoto

Salute e disuguaglianze sociali: sfavorito chi non è abbiente, chi è poco istruito e chi vive al Sud

ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA', 16 maggio 2019

Non credono di godere buona salute 3 italiani su 10: una quota che sale al 43% fra le persone con molte difficoltà economiche e scende al 23% fra le persone senza tali difficoltà. E’ questa la fotografia scattata dalla Sorveglianza PASSI (Progressi per le Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) nel quadriennio 2015-2018, coordinata dall’ISS per le Regioni: nella salute percepita, nel benessere psicologico e nella qualità di vita, come pure nell’accesso alla prevenzione per la diagnosi precoce dei tumori e nell’adesione a misure di sicurezza per la prevenzione degli incidenti stradali, c’è sempre un chiaro gradiente a sfavore delle persone socialmente più vulnerabili per difficoltà economiche o per bassa istruzione (senza titolo di studio o al più con licenza elementare). A ciò si aggiungono le differenze territoriali e il gap Nord-Sud è sempre significativo a sfavore del Sud, dove è più alta la prevalenza di fumatori, sedentari, obesi, diabetici, ipertesi e persone che, in generale, non adottano stili di vita salutari.

“I dati della Sorveglianza PASSI aggiornati al 2018 – afferma Maria Masoccoresponsabile presso l’ISS del coordinamento nazionale PASSI – confermano e mettono ancora una volta in evidenza significative differenze sociali nella salute e nell’accesso alla prevenzione che si aggiungono alle differenze geografiche a svantaggio delle regioni del Sud e delle Isole, dove povertà e carenza nell’offerta di programmi di prevenzione e di servizi cura si concentrano. È dunque necessario continuare a porre l’attenzione su questi aspetti, con una lettura trasversale dei dati proprio in questa ottica, per programmare e ri-orientare adeguatamente le politiche di contrasto alle disuguaglianze in salute, verso azioni di sistema orientate all’equità, che rappresenta uno dei principi cardini del Piano Nazionale della Prevenzione”.

La salute e gli stili di vita

Il 30% degli italiani rifere di non godere di buona salute ma, se si esamina il campione delle persone con difficoltà, la percentuale sale al 43% e scende al 23% fra i più abbienti. Inoltre, il 6% soffre di sintomi depressivi, quota che sale al 14% fra le persone con maggiori difficoltà economiche e scende al 4% fra chi non ne ha. Anche la qualità di vita risulta compromessa e se gli intervistati riferiscono mediamente di essere stati male per problemi di salute fisica o psicologica mediamente 4,4 giorni nel mese precedente l’intervista, il numero medio di giorni in cattiva salute sale a 7 fra le persone con difficoltà economiche (vs 3,6 giorni fra chi non ha difficoltà economiche).

Differenze analoghe si osservano per livello di istruzione: fra le persone con un basso livello di istruzione il 55% riferisce cattive condizioni di salute (vs 20% dei laureati), il 12% sintomi depressivi (vs 4%) e il numero medio di giorni vissuti in cattiva salute per motivi fisici o psicologici è 7.1 in un mese (vs 3.8 riferiti da laureati).

Fra le persone socialmente vulnerabili per difficoltà economiche o bassa istruzione è anche maggiore la frequenza di stili di vita non salutari, come l’abitudine al tabagismo, la sedentarietà, lo scarso consumo di frutta e verdura, l’obesità o condizioni di rischio cardiovascolare come il diabete o l’ipertensione.

Fra le persone con molte difficoltà economiche il 34% fuma (vs 22% di chi non ha difficoltà economiche), il 46% è sedentario (vs 28%), il 9% consuma almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno (five a day), come raccomandato per una corretta e sana alimentazione (vs 11%); l’8% riferisce una diagnosi di diabete (vs il 3%), il 25% una diagnosi di ipertensione (vs il 18%). Analoghe sono le differenze per istruzione: fuma il 24% delle persone con bassa istruzione (vs 19% dei laureati), il 50% è sedentario (vs 26%), il 25% obeso (vs 6%); il 9% aderisce al five a day (vs 12%), il 16% riferisce una diagnosi di diabete (vs 2%) e il 43% una diagnosi di ipertensione (vs 13%).

Va precisato che tali differenze rimangono in molti casi significative, anche se in parte determinate dall’età degli intervistati, a sua volta correlata al livello di istruzione.

Fra i comportamenti non salutari, unica eccezione è quella del consumo alcolico a rischio per la salute, per quantità e modalità di assunzione, che resta prerogativa delle classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e alto livello di istruzione, residenti nel Nord e in particolare nel Nord-Est del Paese.

Le disuguaglianze sociali nella prevenzione dei tumori

I dati PASSI mostrano che le persone con istruzione più bassa, con maggiori difficoltà economiche e i cittadini stranieri si sottopongono meno frequentemente di altri ai test di diagnosi precoce dei tumori della mammella, del collo dell’utero e dell’intestino, che sono quelli per i quali il SSN offre programmi organizzati di screening a target specifici di popolazione.

Nel quadriennio 2015-2018, il 74% delle donne residenti in Italia di 50-69 anni si è sottoposto a mammografia preventiva, ma questa quota scende al 60% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs l’81% fra donne senza difficoltà economiche); al 64% tra le donne con bassa istruzione (vs il 81% fra le laureate); al 70% fra le donne di cittadinanza straniera (vs il 74% fra le cittadine italiane).

Analogamente accade per lo screening cervicale: l’80% delle donne di 24-64enni si sottopone a screening cervicale (Pap-test o HPV test) per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina; ma questa quota scende al 69% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs 85% fra le donne che non hanno difficoltà economiche) al 62% fra le donne meno istruite (vs 84% fra le laureate); al 75% fra le donne di cittadinanza straniera (vs 80% delle cittadine italiane).

Anche lo screening colorettale per la diagnosi precoce del tumore dell’intestino, molto meno diffuso degli altri due screening, presenta differenze sociali significative, in particolare per condizioni economiche: solo il 40% della popolazione target (uomini e donne di 50-69enni) ha eseguito la ricerca del sangue occulto nelle feci (test di screening colorettale maggiormente diffuso) ma questa quota scende al 26% fra le persone con molte difficoltà economiche (vs il 49% fra le persone senza difficoltà economiche); al 33% fra le persone meno istruite (vs 41% fra le laureate)

L’offerta attiva di programmi di screening organizzati, basati su un invito da parte della Aziende Sanitarie Locali e sull’offerta di un percorso di approfondimento assistenziale e terapeutico definito e gratuito, è la risposta del SSN per garantire un’adeguata copertura del test a chi ne ha necessità.

I dati PASSI mostrano chiaramente che le differenze per istruzione, condizioni economiche e cittadinanza nella partecipazione ai test di screening si riducono significativamente nell’ambito dei programmi organizzati offerti dalle Aziende Sanitarie Locali che rappresentano spesso l’unica opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori per le persone socialmente più svantaggiate.

Resta significativo il gradiente geografico Nord-Sud a sfavore delle Regioni meridionali determinato prevalentemente dalla minore offerta di programmi di screening organizzati in queste Regioni.

Nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati è ampia (Nord e Centro Italia) è maggiore la quota di persone che fa prevenzione nell’ambito dei programmi organizzati, rispetto alla quota di persone che lo fa per iniziativa spontanea; di contro, nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati non è ancora sufficiente e non raggiunge la totalità della popolazione target (come nel Sud Italia), la quota dello screening spontaneo è rilevante e talvolta maggiore, senza però riuscire a compensare la mancanza di offerta dei programmi organizzati, per cui il numero totale di persone che fa prevenzione (dentro o fuori i programmi organizzati) resta comunque più basso che nel resto del Paese.

Le disuguaglianze sociali nella prevenzione degli incidenti stradali

Anche l’uso dei dispositivi di sicurezza alla guida (il casco in moto o le cinture anteriori e posteriori in auto) risponde a differenze socio-culturali e le persone con difficoltà economiche o bassa istruzione ne fanno un uso meno frequente.

L’uso del casco in moto, sebbene consolidato, riferito come abitudine costante dal 96% degli intervistati che viaggiano in moto, è meno frequente fra le persone con molte difficoltà economiche (93%) e fra le persone con bassa istruzione (89%).

Analogamente accade per l’uso delle cinture anteriori in auto, riferito dall’85% come abitudine costante e che scende al 76% fra le persone con difficoltà economiche e al 78% fra i meno istruiti; le cinture posteriori, malgrado la normativa, restano ancora poco utilizzate e solo il 21% riferisce che le usa sempre quando viaggia in auto come passeggero, quota che scende al 16% fra le persone con difficoltà economiche e al 19% fra le persone con bassa istruzione. 

La Sorveglianza PASSI

PASSI  è un sistema di sorveglianza di popolazione disegnato sul modello della Behavioural Risk Factor Surveillance adottato negli Stati Uniti, e raccoglie in continuo informazioni sul profilo di salute della popolazione italiana di 18-69 annisui fattori di rischio comportamentali legati all’insorgenza delle malattie croniche (come il fumo, alcol, sedentarietà, scarso consumo di frutta e verdura, sovrappeso e obesità) e anche informazioni sull’adesione dei cittadini agli screening oncologici, alla vaccinazione antinfluenzale nei gruppi a rischio o l’adozione di misure di sicurezza individuali per la prevenzione degli incidenti stradali, degli infortuni in casa e molto altro.

La raccolta delle informazioni avviene tramite interviste telefoniche, effettuate nel corso di tutto l’anno da operatori delle ASL, a campioni rappresentativi per genere ed età della popolazione di 18-69enni del proprio bacino di utenza. Dal 2008 ad oggi, sono state raccolte, ogni anno, 35.000-37.000 interviste.

PASSI si caratterizza come strumento interno al SSN, in grado di produrre informazioni a livello di ASL e Regione.

E’ gestito dalle ASL che raccolgono i dati e ne utilizzano le informazioni per l’azione locale, coordinate dalle Regioni che definiscono le esigenze e le priorità conoscitive su prevenzione e salute pubblica, e si avvalgono del supporto tecnico-scientifico di un coordinamento centrale dell’ISS, con funzioni di indirizzo, sviluppo formazione e ricerca.

Il coordinamento centrale dell’ISS assicura rigore metodologico nella realizzazione dell’indagine, dalla definizione del piano di campionamento allo sviluppo delle procedure standardizzate di raccolta e analisi dei dati, degli strumenti di monitoraggio della qualità dei dati e delle performance, fino alla comunicazione e diffusione dei principali risultati a Regioni e ASL. 

La tempestività e la fruibilità di PASSI consentono di disporre entro il primo trimestre di ogni anno dei risultati aggiornati all’anno di raccolta precedente, a livello di pool, Regione e Asl.

Tutto viene pubblicato sul sito web dedicato a PASSI sul portale di Epicentro , dove i dati sono organizzati in 21 sezioni tematiche.https://www.iss.it/?p=3661

Bloccare una proteina per recuperare il declino cerebrale

Una molecola che si trova nei vasi sanguigni e interagisce con il sistema immunitario contribuisce all'invecchiamento del cervello. Uno studio ha dimostrato che bloccandola è possibile ridurre e recuperare i deficit mentali legati all'età 

di Simon Makin / Scientific American

Nel sangue degli anziani c'è qualcosa che fa male al cervello. Se il plasma di topi o esseri umani anziani viene infuso in topi giovani, ne peggiora la cognizione e gli indicatori biologici della salute cerebrale. Al contrario, il plasma di topi (o umani) giovani ringiovanisce il cervello vecchio.

Gran parte delle ricerche in questo ambito sono state condotte dal gruppo del neurobiologo Tony Wyss-Coray della Stanford University, che sta cercando di individuare quali potrebbero essere i componenti del sangue responsabili di quei peggioramenti.

Uno studio precedente aveva identificato una proteina, che diminuisce con l'età, che ha potenti effetti benefici. Quella proteina può passare dal sangue al cervello, ma Wyss-Coray si è chiesto in che modo certe molecole contenute nel sangue "parlino" al cervello. Devono interagire direttamente con le cellule cerebrali o possono comunicare in modo indiretto, attraverso la porta di accesso al cervello, la barriera ematoencefalica?

Bloccare una proteina per recuperare il declino cerebrale
La barriera ematoencefalica è una struttura formata dalle cellule endoteliali dei vasi cerebrali che ostacola il passaggio di sostanze dal sangue al tessuto nervoso. (© Science Photo LibraryAGF)
Per scoprirlo, nell'ultimo studio - pubblicato il 13 maggio su "Nature Medicine" - il team di Wyss-Coray ha provato un nuovo approccio,. "Abbiamo pensato che il modo più ovvio in cui il plasma interagisce con il cervello è attraverso i vasi sanguigni", dice Wyss-Coray. "Così, ci siamo concentrati sulle proteine che cambiano con l'età e che hanno qualcosa a che fare con la vascolarizzazione."

Fra queste è emersa una proteina che diventa più abbondante con l'età, VCAM1, che - come ha mostrato il team - sembra avere un ruolo chiave negli effetti del sangue invecchiato sul cervello. Misure biologiche e cognitive hanno indicato che 
il blocco di VCAM1 non solo impedisce al plasma vecchio di danneggiare il cervello dei topi giovani, ma può anche invertire i deficit nei topi anziani. Il lavoro ha importanti implicazioni per il declino cognitivo legato all'età e per le malattie cerebrali. "La disfunzione cognitiva associata all'invecchiamento è una delle nostre maggiori sfide biomediche, per la quale non abbiamo nessuna terapia medica efficace", dice Dena Dubal, neuroscienziata all'Università della California a San Francisco che non è stata coinvolta nello studio. "È una linea di indagine molto importante; ha implicazioni enormi."

VCAM1 (Vascular Cell Adhesion Molecule-1) è una proteina che sporge dalle cellule endoteliali che rivestono le pareti dei vasi sanguigni e che si aggancia alle cellule immunitarie circolanti (globuli bianchi, o leucociti): risponde alle lesioni o alle infezioni aumentandone il numero e innescando le reazioni immunitarie. Un enzima elimina VCAM1 dalle cellule endoteliali alla stessa velocità con cui viene prodotta, quindi la quantità totale di quelle proteine nelle cellule rimane abbastanza stabile ed è ben riflessa dalla sua quantità in circolazione.

Per prima cosa i ricercatori hanno controllato se l'aumento di VCAM1 circolante con l'età era accompagnato da una maggiore quantità di proteine legate alle cellule: è risultato che è così nel cinque per cento delle cellule endoteliali del cervello.

Hanno poi usato una tecnologia di sequenziamento genetico all'avanguardia, detta "a cellula singola", per controllare queste cellule rare, scoprendo che contengono molti recettori per le proteine pro-infiammatorie, note come citochine. "È come se queste cellule che esprimono VCAM1 fossero una sorta di sensore dell'ambiente del sangue", dice Wyss-Coray. I ricercatori volevano sapere se questo aumento di VCAM1 legato alle cellule si limitava ad accompagnare i segni dell'invecchiamento cerebrale, o se contribuiva a causare il danno.

Un segno che un cervello sta invecchiando è la diffusa attivazione delle cellule immunitarie, la microglia. Quando queste cellule spazzine, che di solito svolgono funzioni di routine, entrano in uno stato infiammatorio, rilasciano citochine e radicali liberi. "Quindi, non stanno pulendo casa, la stanno mettendo a soqquadro", dice Wyss-Coray. "La riempiono di spazzatura."

Un altro indicatore è un declino dell'attività legata alla formazione di nuove cellule cerebrali nell'ippocampo, una regione cerebrale coinvolta nella memoria e una delle poche regioni che si pensa siano in grado di produrre nuove cellule nell'età adulta.

Il team ha usato due tecniche per bloccare VCAM1: una cancella geneticamente la proteina dal cervello dei topi, l'altra prevede di iniettare un anticorpo che si lega a essa per impedire che si leghi a qualsiasi altra cosa. Entrambi i metodi hanno bloccato i segni di invecchiamento cerebrale nei topi giovani infusi con plasma vecchio e hanno invertito i livelli di marcatori nel cervello dei topi anziani.

I ricercatori hanno poi sottoposto i topi a test di apprendimento e di memoria. In uno - che richiedeva di ricordare quale fra diversi fori poteva essere attraversato in sicurezza - i topi anziani così trattati, una volta addestrati, si sono comportati come quelli giovani. "I topi anziani sembravano di nuovo giovani in termini di capacità di imparare e ricordare", dice Dubal. "E' notevole".

Bloccare una proteina per recuperare il declino cerebrale
Un neurone attaccato dalle cellule della microglia (© Science Photo Library / AGF)
L'ipotesi di lavoro dei ricercatori su questo fenomeno è che le citochine nel sangue invecchiato siano il primo innesco che induce le cellule endoteliali del cervello a produrre più VCAM1. Quando i leucociti si legano alla proteina, segnalano al cervello di attivare la microglia, che crea un ambiente infiammato che blocca le cellule staminali coinvolte nella formazione di nuovi neuroni. "Stanno mostrando che la barriera ematoencefalica non è statica, e può percepire i cambiamenti nel sangue, che poi segnala al cervello, dicendogli di diventare più infiammato", spiega Richard Daneman neurofarmacologo specialista della barriera ematoencefalica che lavora all'Università della California a San Diego.

Interrompere l'interazione dei leucociti con VCAM1 impedisce questa segnalazione e quindi protegge o addirittura inverte gli effetti del sangue vecchio. "Si ha davvero la sensazione che sia stato fatto un grande salto [non solo] nell'ambito della scienza di base, ma anche [nell'indicare] un nuovo percorso terapeutico per uno dei nostri problemi più devastanti", sostiene Dubal. I dettagli molecolari esatti di questo percorso devono ancora essere stabiliti, dice Wyss-Coray. "VCAM1 sta dando un segnale alla cellula o le cellule immunitarie stanno rilasciando fattori tossici?" si chiede. "Dobbiamo capire come funziona a livello molecolare."

Le terapie sviluppate sulla base di questi risultati non dovrebbero richiedere per forza l'attraversamento della barriera ematoencefalica. "Una delle nostre più grandi sfide è: come facciamo entrare i farmaci nel cervello in presenza di questo muro difensivo?", dice Dubal.

Ma VCAM1 è sul lato del sangue di quel muro. Uno svantaggio è che bloccare una componente del sistema immunitario potrebbe avere effetti collaterali. Un farmaco, il Tysabri, che si lega ai leucociti impedendo loro di attaccarsi al VCAM1, è già usato nella terapia della sclerosi multipla: poco dopo la sua approvazione sono sorti dei problemi perché alcuni pazienti, prima della sua somministrazione, ospitavano un virus che poi è dilagato. Ora i pazienti sono sottoposti a screening per questo virus. "Le terapie immunosoppressive non sono prive di rischi e richiedono attenzione", dice Dubal. "Ma in determinate circostanze si sono dimostrate molto efficaci."

Una possibilità sarebbe quella di ridurre l'attività di VCAM1 a livelli sani e giovanili, invece di bloccarla del tutto. "Se non blocchiamo direttamente le cellule immunitarie, ma ne regoliamo il bersaglio, forse possiamo essere più cauti, evitando di bloccare del tutto l'attivazione immunitaria in caso di lesioni", dice Wyss-Coray. "Ma questo deve essere ancora dimostrato." Ma possono esserci anche altri modi per intervenire, come arrestare i segnali che dicono al cervello di infiammarsi o impedire che VCAM1 aumenti, dice Daneman. "Comprendere l'intero percorso ci può consentire di limitare questi effetti collaterali."

In ogni caso, va ricordato che è ancora da capire se i risultati nei topi portino a terapie umane efficaci, ma ci sono motivi di ottimismo. Il plasma umano è stato usato anche nei topi. "Questo migliora la rilevanza per gli esseri umani - dice Dubal - e, come nei topi, negli esseri umani i livelli di VCAM nel sangue aumentano con l'invecchiamento. Non lo sapremo finché non lo testiamo, ma è davvero promettente." Il team sta progettando di testare un anticorpo VCAM1 in persone la cui cognizione diminuisce dopo un ictus, forse a causa di una risposta immunitaria. "Spero che sia possibile recuperare o prevenire alcuni di questi deficit cognitivi e recuperare la funzione dopo l'ictus", dice Wyss-Coray.

Esistono già numerosi anticorpi. "Anticorpi VCAM1 sono stati sviluppati da molte aziende farmaceutiche", dice Wyss-Coray. "Non li hanno più studiati una volta che [Tysabri] è stato approvato, ma possono essere resuscitati e testati. Potremmo introdurli nella pratica clinica in tempi abbastanza brevi, perché è un obiettivo accessibile e c'è un precedente nel prendere a bersaglio questo percorso."

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L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 14 maggio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. http://www.lescienze.it/mente-e-cervello/2019/05/18/news/bloccare_una_proteina_per_recuperare_il_declino_cerebrale-4408477/

Protesi mammarie testurizzate: le indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità

Protesi mammarie testurizzate: Giulia Grillo ”inviata circolare che recepisce le indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità”
MINISTERO DELLA SALUTE Comunicato n. 55 Data del comunicato 16 maggio 2019
Protesi mammarie testurizzate: Giulia Grillo ”inviata circolare che recepisce le indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità”
Via alla rete dei centri di riferimento per i pazienti
 Alla luce del parere fornito dal Consiglio superiore di sanità, il ministero della Salute ritiene che “non si ravvedono motivazioni sufficienti per raccomandare il ritiro dalla disponibilità commerciale delle protesi testurizzate – e che – non si pone indicazione alla rimozione della protesi liscia o testurizzata in assenza di sospetto clinico di BIA-ALCL”.
Sono queste le principali conclusioni presenti all’interno del parere effettuato dal CSS a seguito della richiesta pervenuta dal Ministro della Salute dopo il ritiro delle protesi mammarie testurizzate da parte dell’Autorità francese, nonché di un primo caso italiano di decesso per Linfoma anaplastico a grandi cellule in paziente impiantata con protesi mammarie testurizzate.
“Ringrazio – precisa il Ministro – tutti i membri del CSS e coloro che sono stati auditi dal gruppo di lavoro appositamente istituito, per aver messo a disposizione del Ministero un parere tecnico scientifico indipendente che affronta la questione delle protesi testurizzate e della correlazione con l’insorgenza del linfoma anaplastico a grandi cellule, dando un fondamentale supporto agli operatori della salute, alle società scientifiche, alle Regioni e agli organismi deputati alla vigilanza su questa delicata materia”.
Il Ministero, attraverso la circolare, oltre a mettere a disposizione il parere del CSS, conferma l’importanza di effettuare regolari controlli e raccomanda ancora una volta ai medici l’importanza della diagnosi precoce per garantire la salute   dei pazienti impiantati. Occorre infatti implementare una più efficace rete di informazione, prevenzione e controllo affinché i pazienti siano informati su tutti gli aspetti che riguardano l’impianto delle protesi. In proposito occorre sottolineare lo sforzo del ministero per mettere a disposizione di tutti gli operati il registro nazionale di patologia.
Si ricorda l’obbligo che il medico chirurgo ha di informare i pazienti o soggetti candidati a un impianto con protesi mammarie, per ragioni estetiche o ricostruttive, di tutti i benefici e potenziali rischi connessi all’utilizzo di tali dispositivi. Si ribadisce, inoltre, la necessità di informare i pazienti ed i soggetti del rapporto rischio-beneficio derivante da tale protesi.  Si conferma l’importanza di effettuare regolari controlli e raccomanda ancora una volta ai medici l’importanza della diagnosi precoce per garantire la salute dei pazienti impiantati.
Tra le raccomandazioni del Consiglio, infine, merita di essere ricordata anche l’individuazione dei centri di riferimenti di secondo livello – quelli che vengono interpellati in caso di necessità di una seconda opinione – che potranno offrire ai pazienti e agli operati dei vari territori tutto il supporto necessario (l’elenco è disponibile all’interno della circolare ministeriale).
In allegato parere del CSS e circolare completa della Direzione Generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico.
 
 

SCUOLAMEDICI CORSO ECM APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE PAZIENTE OBESO

ROMA Sabato 11 maggio 2019 grandissimo apprezzamento per l’ intervento sul tema dell’obesità del Dott.  Marcello Avallone Specialista in Chirurgia Generale,  diverse le figure professionali coinvolte: oltre al chirurgo generale, il biologo nutrizionista, lo psicologo, il medico di medicina generale, gli specialisti in scienza dell’alimentazione, gli endocrinologi. Un confronto multidisciplinare fra professionisti incentrato sul percorso di cura del paziente ponendo l’attenzione sulla persona, i suoi vissuti , il suo stile di vita, l’educazione alimentare, le valutazioni nutrizionali e psicologiche propedeutiche all’approccio chirurgico come miglioramento della qualità di vita del paziente obeso.foto dott avallone

Rivista Monitor 2018 - Agenas - Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali

monitor sito

Scarica Monitor n. 43

FOCUS ON • PROGRAMMA NAZIONALE ESITI

EDITORIALE - IL PNE TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

di Francesco Bevere

COME E PERCHÉ IL PROGRAMMA NAZIONALE ESITI È DIVENTATO STRUMENTO DI EQUITÀ NELLA SALUTE

di Mario Braga

INDICATORI PNE: ISTRUZIONI PER L’USO

di Marina Davoli, Alice Basiglini

TRA PRESENTE E FUTURO. VOLUME DI INTERVENTI ED ESITI DELLE CURE: RISULTATI ATTUALI E POSSIBILI EFFETTI DEL DM 70

di Andrea Piccioli

GLI INDICATORI DI ESITO E DI QUALITÀ NEL MONITORAGGIO DEI LEA

di Lucia Lispi

UNO SGUARDO OLTRE IL CONFINE: IL PROGRAMMA NAZIONALE ESITI NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

di Lamberto Manzoli, Maria Pia Fantini, Maria Elena Flacco, Cecilia Martellucci,

Antonella D’Alleva, Francesco Di Stanislao

AUDIT, UNO STRUMENTO AL SERVIZIO DELLA QUALITÀ DEI DATI

di Alice Basiglini

ESITI A PORTATA DI CITTADINO

di Maria Chiara Corti, Francesco Bortolan, Domenico Mantoan

REGIONE SICILIA, EFFETTO PNE: RIDUZIONE PARTI CESAREI E FRATTURA FEMORE

di Giovanna Fantaci, Giuseppe Murolo e Salvatore Scondotto

APPENDICE

GUIDA AL SITO PNE

http://www.agenas.it/archivio-monitor-2018

Rete oncologica. Via libera Conferenza Stato-Regioni. Bevere: “Una road map per equità, qualità e uniformità delle cure”


Individuazione delle strutture più adatte al trattamento a seconda della tipologia dei tumori, allocazione ottimale dei farmaci innovativi, costituzione di team interdisciplinari e mobili per condividere conoscenza e capacità tecniche, nonché campagne di informazione sulle opportunità offerte dall’organizzazione a rete. Sono alcuni dei punti nodali delle “Nuove linee guida organizzative e raccomandazioni per la rete oncologica ospedale-territorio”, delineate - così come previsto nel DM 70/2015 - dal Tavolo Istituzionale coordinato da AGENAS e composto da rappresentanti del Ministero della Salute, delle Regioni e PA, di AIFA, ISS e con il contributo di 27 Società Scientifiche di Settore.

«Oggi consegniamo al sistema sanitario un documento che ha la finalità di  garantire su tutto il territorio nazionale una precoce presa in carico del paziente oncologico ed equità di accesso alle cure, dalla prima diagnosi fino all’accompagnamento al fine vita»,  afferma Francesco Bevere, Direttore Generale di AGENAS, dopo il via libera della Conferenza Stato - Regioni.

«Punto di forza di questa road map è la valorizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, PDTA, elemento cruciale per superare quella frammentarietà del percorso di cura affinché non vi siano più pazienti disorientati e non adeguatamente informati nel passaggio da un setting assistenziale all’altro - continua Bevere -. La reputazione  del nostro SSN si misura anche dalla sua capacità di accompagnare il malato oncologico in tutto il percorso diagnostico e di assicurargli l’accesso alle migliori cure nel proprio territorio, vicino casa, circondato dall’affetto dei suoi familiari».

Infine, Alessandro Ghirardini, Dirigente Ufficio Revisione e monitoraggio delle reti cliniche e sviluppo organizzativo sottolinea: «l’importanza del sistema di coordinamento strategico che farà capo al Ministero della Salute  e che si avvarrà di un Osservatorio, istituito presso AGENAS con funzioni di analisi, misurazione e valutazione sullo stato di implementazione delle linee di indirizzo nei vari contesti regionali. L’Osservatorio per il monitoraggio e la valutazione delle Reti Oncologiche consentirà una fotografia dei progressi compiuti e delle eventuali carenze persistenti, consegnando ai cittadini una fonte di informazione di dati “in trasparenza” continuamente aggiornati».

http://www.agenas.it/primo-piano/rete-oncologica-stato-regioni-bevere-road-map-equita-qualita-uniformita-bevere

Nuove Linee guida 

Obesità infantile, un problema importante che si può combattere già dalla prima infanzia con l’allattamento al seno

ISS, 30 aprile 2019

Nonostante tutti gli sforzi fatti nei paesi della Regione Europea dell’OMS, tra i bambini la percentuale di obesità rimane alta: maggiore tra chi non è stato allattato al seno rispetto a chi lo è stato (16,8% vs 9,3%) e con picchi di obesità grave soprattutto tra i maschi, che in Italia toccano il 4,3%. E’ questo lo scenario fotografato da due studi, presentati nel corso dello European Congress on Obesity, che si sta svolgendo in questi giorni a Glasgow (Regno Unito), effettuati con i dati della Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) dell’OMS, a cui l’ISS partecipa con la sorveglianza OKkio alla SALUTE rappresentando l’Italia. L’indagine COSI per più di 10 anni ha misurato, in oltre 300 mila bambini ogni tre anni, il trend di sovrappeso e obesità tra gli alunni della scuola primaria (6-9 anni).

Il primo studio  ha rilevato tra i 21 paesi partecipanti (637 mila bimbi circa monitorati in tre raccolte dati) la presenza tra l’1% in Svezia e Moldavia e il 5,5% a Malta di bambini con obesità grave, cioè ad alto rischio di complicanze per la salute. La prevalenza di obesità severa, maggiore tra i maschi, varia significativamente da paese a paese e tocca le punte più alte nel Sud Europa.  In Italia, adottando le classificazioni OMS, la percentuale è pari a 4,3%, con una tendenza alla diminuzione negli anni.

Il secondo studio  mostra che tra i bambini allattati al seno per almeno sei mesi ci sono meno obesi rispetto ai piccoli che sono stati allattati al seno per meno di sei mesi e rispetto a quelli che non lo sono stati affatto. In media il tasso di obesità tra i bimbi non allattati al seno è pari al 16,8%, tra quelli allattati per meno di 6 mesi è del 13,2% e tra coloro che invece hanno preso il latte della mamma più a lungo diminuisce a 9,3%. Il fenomeno è stato osservato in 22 paesi che hanno partecipato alla quarta raccolta dati del COSI svoltasi tra il 2015 e il 2017 coinvolgendo più di 100 mila bambini.

“L’obesità nei bambini rappresenta uno dei principali problemi di sanità pubblica dei nostri tempi – afferma Angela Spinelli, Direttore del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute (ISS) – Si tratta senza dubbio di un fenomeno multifattoriale, con possibili gravi conseguenze a lungo termine sulla salute e sulla società intera. Come tale va affrontato prima di tutto attraverso la prevenzione, a cominciare dall’allattamento per poi proseguire con programmi e iniziative nei bambini e giovani che aiutino ad effettuare scelte salutari. Ma nel caso di obesità grave bisogna garantire anche i servizi per aiutare questi bambini e le loro famiglie a contrastarla. In Italia negli ultimi anni abbiamo osservato una lieve diminuzione del fenomeno ma è ancora una sfida aperta”.

Leggi il press release dell’OMS

https://www.iss.it/?p=3537

RECUPERO CREDITI ECM TRIENNIO 2014-2016

09/11/2018 - Nuove regole per recupero crediti e autoformazioneLa Commissione nazionale per la formazione continua, nel corso della riunione del 27 settembre u.s. ha adottato una delibera  finalizzata ad incentivare i professionisti sanitari nell’assolvimento del proprio percorso di aggiornamento continuo, puntando ad una maggiore semplificazione e chiarezza del sistema di regolamentazione dell’ECM.

Nello specifico, sono state approvate alcune modifiche che prevedono la possibilità per tutti i professionisti di poter recuperare i crediti relativi al triennio 2014-2016, nel caso non abbiano soddisfatto l'obbligo formativo individuale nello scorso triennio. È stato deliberato, inoltre, l’ampliamento della percentuale di crediti formativi acquisibili mediante autoformazione per il triennio 2017-2019 che passa dal 10 al 20%. 

 il testo della Delibera con il dettaglio dei provvedimenti adottati.

http://ape.agenas.it/comunicati/comunicati.aspx?ID=124

Delibera della CNFC relativa all'obbligo formativo nel triennio 2017-2019 per le professioni sanitarie di chimico, fisico e biologo

07/03/2019 La Commissione nazionale per la formazione continua, nella seduta del 25 ottobre 2018, ha adottato la presente deliberazione relativamente all'obbligo formativo, nel triennio 2017-2019, per le professioni sanitarie di chimico, fisico e biologo.

Si specifica che la presente delibera va ad integrare le disposizioni contenute nel "Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario"

LEGGI LA DELIBERA 

http://ape.agenas.it/comunicati/comunicati.aspx?ID=133

Assistenza odontoiatrica, indicazioni per la presa in carico del paziente con bisogni speciali

Il ministero della Salute ha realizzato le prime Indicazioni per la presa in carico del paziente con bisogni speciali che necessita di cure odontostomatologiche.

Obiettivo del documento è uniformare a livello nazionale una corretta presa in carico da parte del Servizio sanitario nazionale del paziente con disabilità che ha bisogno di cure odontoiatriche, in base al grado collaborazione e autonomia.

Il paziente con bisogni speciali è, infatti, colui che nell’operatività preventiva, diagnostica e terapeutica richiede tempi e modi diversi da quelli di routine. Quando in condizione di "non collaborazione" necessita anche della presenza di un ambiente operativo opportunamente attrezzato e di personale medico e assistenziale adeguatamente formato.

Redatto da un sottogruppo di lavoro, nell’ambito delle iniziative intraprese dal Gruppo tecnico sull'odontoiatria (istituito con D.M. 15 marzo 2018 e successive modifiche), il documento fornisce indicazioni sulla scorta della letteratura esistente in materia, dell’esperienza clinica degli esperti del settore e dell’applicazione in ambito odontostomatologico del modello di presa in carico del paziente con disabilità. 

Il documento è stato sottoposto al giudizio del Consiglio Superiore di Sanità, che ha espresso parere favorevole in merito ai contenuti tecnici e alla qualità metodologica utilizzata per la stesura dello stesso.

Consulta il documento Indicazioni per la presa in carico del paziente con bisogni speciali che necessita di cure odontostomatologiche

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3714

Dall'Agenzia del farmaco via libera alla chemioterapia orale 'continua'

Ok dell'Aifa alla rimborsabilitá del trattamento per i tumori solidi

Via libera alla chemioterapia orale a basse dosi e in continuo, sulla base della sua efficacia accertata ma anche della scarsa tossicità, della buona risposta immunitaria e dei pochi effetti collaterali. L'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), nell'ultimo aggiornamento della legge 648/96, ha infatti autorizzato la piena rimborsabilità di un medicinale usato nel trattamento, con somministrazione settimanale frazionata, dei tumori solidi dell'adulto. Si tratta, rilevano gli oncologi, di una vera e propria apertura alla cosiddetta chemioterapia metronomica, ovvero un'innovativa strategia che prevede una terapia orale a basse dosi con una frequenza che va dal quotidiano alle due/tre volte a settimana. Ad esempio, la cura del cancro al seno e al polmone con la molecola vinorelbine orale utilizzata in questo approccio terapeutico sarà dunque completamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

E' "una rivoluzione attesa da tempo, sia dai clinici che dai pazienti - afferma Marina Cazzaniga, Direttore del Centro di ricerca di Fase I-ASST Monza -. La Metronomica è una chemioterapia ampiamente diffusa nella pratica clinica ma oggi, supportata da numerosi dati di letteratura, entra a pieno titolo in decine di centri oncologici. Il recepimento da parte di Aifa rappresenta un enorme passo avanti". La terapia con vinorelbine orale metronomica, sottolinea inoltre Francesco Grossi, responsabile Oncologia Medica Fondazione IRCCS Ca' Granda, Ospedale Maggiore-Policlinico di Milano, "ci permette di offrire ai pazienti anziani o in condizioni generali non ottimali un trattamento efficace e poco tossico e consente in alcuni casi una prolungata stabilizzazione della malattia. In particolare ciò avviene in pazienti che hanno un tumore polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato".

L'efficacia di tale approccio è dimostrato in alcune forme di tumore al seno, polmone, linfomi, neoplasie pediatriche e in molti casi di tumori in stadio avanzato, e può portare alla cronicizzazione della malattia. Senza contare, rilevano gli esperti, "l'enorme risparmio economico che offre una terapia "a domicilio". 

http://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2019/04/16/tumori-da-aifa-via-libera-a-chemioterapia-orale-continua_5de4f8ed-baca-49c2-a82c-f1a13fb2c177.html

Il meccanismo antidepressivo della ketamina

Gli effetti antidepressivi di questa molecola sono legati alla sua capacità di ripristinare una serie di collegamenti attraverso le cosiddette spine dendritiche fra neuroni della corteccia prefrontale. La scoperta aiuterà a sviluppare nuovi approcci per il trattamento delle forme depressive resistenti agli attuali farmaci

L’azione antidepressiva esercitata dalla ketamina a opportuni dosaggi sarebbe legata alla capacità della sostanza di ripristinare la capacità dei neuroni di produrre spine dendritiche precedentemente perse. Le spine dendritiche sono piccole protuberanze sui dendriti, le ramificazioni dei neuroni destinate a ricevere i segnali dagli altri neuroni con cui sono in contatto. Lo studio, effettuato da ricercatori della Weill Cornell Medicine a New York e pubblicato su “Science”, aiuterà a sviluppare nuove strategie terapeutiche per i pazienti affetti da depressione resistente ai farmaci.

I trattamenti farmacologici contro la depressione oggi disponibili hanno un tempo di latenza elevato; fra l’inizio della terapia e il momenti in cui si manifesta un primo alleviamento dei sintomi passano dalle due alle tre settimane, un periodo che può essere particolarmente critico. Inoltre, quasi il 30 per cento dei pazienti con depressione risulta resistente ai trattamenti farmacologici.
Fra le sostanze attualmente allo studio per combattere questo disturbo e in particolare le forme resistenti, quella che ha maggiori probabilità di diventare disponibile in tempi relativamente brevi è la ketamina.

La ketamina è una sostanza inizialmente introdotta come anestetico, soprattutto in ambito veterinario e pediatrico, di cui una decina di anni fa sono stati rilevati, a dosaggi più bassi, effetti antidepressivi. Nel marzo scorso, addirittura, la statunitense Food and Drug Administration ha approvato uno spray nasale a base di ketamina per il trattamento della depressione resistente.

Il meccanismo d’azione di questa molecola – che ha il pregio di un’azione antidepressiva quasi immediata, ma con una durata dell’effetto piuttosto ridotta – è tuttavia 
in larga parte ancora sconosciuto. Quello che era noto in merito alla sua azione antidepressiva è il coinvolgimento di un neurotrasmettitore eccitatorio (che stimola cioè l’attivazione dei neuroni): il glutammato.

Ora Rachel N. Moda-Sava e colleghi hanno fatto un passo in avanti nella comprensione del meccanismo scoprendo che il comportamento depressivo indotto nei topi attraverso la somministrazione di cortisone era associato alla perdita di spine dendritiche sui neuroni nella corteccia prefrontale. La successiva somministrazione di ketamina ha poi permesso di osservare il ripristino, almeno parziale, delle spine dendritiche precedentemente scomparse e un buon alleviamento dei comportamenti depressivi. La scoperta è stata possibile grazie all’uso di sofisticate tecniche di osservazione microscopica in vivo dei neuroni della corteccia prefrontale.

Ora i ricercatori proseguiranno il loro studio per cercare di scoprire i processi molecolari coinvolti in questa azione, nella speranza di trovare il modo di allungare il periodo durante il quale la ketamina esercita i propri effetti positivi. (red)

Funzioni neuronali ripristinate a poche ore dalla morte

Una sofisticata procedura di perfusione del cervello di alcuni maiali iniziata quattro ore dopo il decesso ha mostrato che è possibile ripristinare alcune funzioni cellulari dei neuroni, anche se non c'è traccia di un'attività elettrica associabile a funzioni cerebrali superiori. Il risultato solleva però importanti questioni etiche, che andranno affrontate in un adeguato quadro di regolamentazione
 
Alcune attività cerebrali cellulari possono essere parzialmente ripristinate alcune ore dopo la morte. L'esperimento che lo ha dimostrato - condotto sul cervello di maiali - non ha però rilevato alcuna attività cerebrale elettrica globale associata a funzioni cerebrali di ordine superiore, come la percezione o la coscienza. La ricerca, realizzata da un gruppo di ricercatori di diverse università statunitensi nel quadro della NIH Brain Initiativ, e illustrata su "Nature", serve a studiare i modi per migliorare la sopravvivenza e ridurre i deficit neurologici dopo traumi, ictus e altri danni cerebrali, ma è destinata a sollevare questioni etiche.

La capacità dei ricercatori di studiare post mortem la dinamica funzionale di un cervello di grandi dimensioni, intatto e isolato, è ostacolata dalla morte cellulare, dalla coagulazione di piccoli vasi sanguigni e da altri processi tossici che degradano il tessuto in seguito alla carenza di sangue e ossigeno. Il cervello dei mammiferi è infatti molto sensibile alla diminuzione dei livelli di ossigeno, che si esaurisce molto rapidamente dopo brevi periodi di interruzione del flusso sanguigno, innescando i processi di morte neuronale e danni cerebrali irreparabili. D'altro canto, il congelamento e altri metodi di conservazione che bloccano i processi di degrado consentono solo analisi statiche microscopiche, biochimiche o strutturali.

Funzioni neuronali ripristinate a poche ore dalla morte
Immagine a immunofluorescenza di una sezione di cervello di maiale a 10 ore dalla morte in condizioni naturali (a sinistra) e in caso di perfusione con BrainEx (a destra) iniziata quattro ore dopo il decesso. I neuroni sono in verde, gli astrociti in rosso; i nuclei cellulari in blu. (Cortesia Stefano G. Daniele & Zvonimir Vrselja; Sestan Laboratory; Yale School of Medicine)
Sulla base di alcuni indizi - come il fatto che i mitocondri dei neuroni restano funzionali fino a 10 ore dal decesso - Nenad Sestan e colleghi hanno però ipotizzato che alcune attività cellulari avessero la capacità di resistere più a lungo ai processi di disgregazione post mortem. Hanno quindi sviluppato un sistema di perfusione cerebrale,chiamato BrainEx, che sostituisce il flusso 
sanguigno alla normale temperatura corporea, e hanno testato la loro idea su 32 cervelli di maiale provenienti da impianti di macellazione.

La perfusione dei cervelli - con una soluzione contenente agenti protettivi, stabilizzanti e di contrasto, che agiscono da sostituti del sangue - è iniziata a quattro ore di distanza dal decesso degli animali. Nelle sei ore successive, durante le quali la perfusione è continuata, i ricercatori hanno osservato una riduzione della morte cellulare e raccolto dati che provano il ripristino di alcune funzioni cellulari, fra cui l'attività sinaptica su scala localizzata. Ciò prova - osservano i ricercatori - che il cervello ha una capacità di ripristino cellulare superiore a quanto ritenuto, anche se non sono state trovate tracce di un'attività di reti neuronali su scala più ampia o addirittura estesa a tutto il cervello.

Per comprendere se esiste una possibilità di ripristino di una funzionalità cerebrale più ampia, proseguono gli autori, serviranno ulteriori esperimenti con periodi di perfusione più lunghi. I risultati ottenuti permetteranno però già di fare passi avanti negli studi sul metabolismo cellulare cerebrale in situazioni altamente critiche.

Tuttavia, i ricercatori non si nascondono che questo tipo di ricerche può sollevare "importanti considerazioni etiche", che "richiedono la definizione di procedure operative standard non ambigue per precludere la possibilità di riattivare e mantenere una residua consapevolezza o funzioni cerebrali che possono causare sofferenze involontarie." (red)

Candida auris: in un fungo la nuova faccia della resistenza antimicrobica

Un microrganismo resistente ai trattamenti antimicotici, che minaccia i pazienti immunodepressi, è salito agli onori della cronaca dopo un'inchiesta del New York Times: è letale e molto difficile da debellare, ma finora se ne è parlato pochissimo

La capacità dei batteri di sviluppare resistenza agli antibiotici è ben conosciuta: meno spesso si dice che anche i funghi hanno sviuppato questo super potere. È forse anche per questo che un fungo potenzialmente letale, perché resistente agli antimicrobici, la Candida auris, ha potuto silenziosamente diffondersi senza che nessuno ne parlasse, finché, a febbraio 2019, i Centres for Disease Control and Prevention (CDC) americani l'hanno classificato come "minaccia urgente".

MINACCIA GLOBALE. Ad alzare il velo su questo organismo è un lungo articolo pubblicato il 6 aprile sul New York Times. Il micete del genere Candida si chiama così ("auris") perché è stato isolato per la prima volta nel canale auricolare di una paziente giapponese. Era il 2009, e da allora il fungo ha fatto il giro del mondo, diffondendosi in India, Pakistan, USA, Australia, Francia, Spagna, Centro America, Sudafrica. A febbraio, si contavano 587 casi confermati soltanto negli Stati Uniti

KILLER INDISTURBATO. Tipicamente, la Candida auris infetta pazienti ospedalieri già immuno-compromessi, più spesso anziani, che si trovano in ospedale o sono in cura per malattie gravi. Quasi la metà delle persone che la contrae muore nel giro di 90 giorni, per l'assenza di trattamenti a disposizione: più del 90% delle infezioni da Candida auris risulta infatti resistente ad almeno un farmaco, e il 30% lo è a due o più antimicotici.

Anche la capacità di diffusione del fungo è allarmante: nel maggio 2018, dopo la morte di un paziente con Candida auris al Mount Sinai Hospital di Brooklyn, il fungo risultava presente in ogni angolo della stanza d'ospedale: sulle reti del letto, sull'intero soffitto, sulle persiane, sul telefono, nel lavello, nei bidoni. Per debellarlo ci sono voluti speciali operazioni di pulizia ed è stato necessario rimuovere alcuni rivestimenti.

COME CI SIAMO ARRIVATI?Per decenni, gli esperti di salute pubblica hanno messo in guardia sulle conseguenze dell'abuso di antibioticisulla resistenza batterica. Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito alla rapida diffusione di funghi resistenti agli antimicotici.

Ecco perché adesso si parla, più correttamente, di resistenza antimicrobica: nel 2050, se nulla verrà fatto per arginare il fenomeno, potrebbero morire per infezioni impossibili da debellare 10 milioni di persone all'anno, più degli 8 milioni che si stima che in quell'anno periranno di cancro.

LA MANO DELL'UOMO. Ancora non si conosce l'origine precisa del fungo, che è però presente in almeno quattro diversi ceppi profondamente diversi, che potrebbero aver sviluppato resistenza agli antimicotici in luoghi e momenti diversi. Sotto accusa c'è l'utilizzo indiscriminato di pesticidi e fungicidi sui raccolti: così come gli antibiotici sono ampiamente impiegati negli allevamenti, gli antimicotici contro i funghi parassiti lo sono in agricoltura.

L'uso intensivo di questi prodotti potrebbe aver causato l'insorgere di diversi ceppi del super fungo in varie località contemporaneamente. Nel 2013 un altro micete farmaco-resistente, l'Aspergillus, è stato isolato in luoghi in cui quello specifico fungo era stato bombardato di pesticidi. Anche questo fungo è originariamente presente nel suolo: le sue versioni "potenziate" sono state trovate sia nei terreni agricoli, sia nei dintorni e all'interno degli ospedali.

Morbillo: a New York vaccini obbligatori in quattro quartieri

In una città alle prese con la peggiore epidemia di morbillo degli ultimi 30 anni, le autorità sanitarie hanno optato per una misura legale criticata ma necessaria: immunizzazione obbligatoria per i distretti più colpiti dall'infezione.

 

Affinché il virus del morbillo non possa diffondersi occorre una soglia critica di copertura vaccinale pari almeno al 95%

La città di New York ha dichiarato uno stato di emergenza sanitariamartedì 9 aprile a causa dell'aggravarsi di un'epidemia di morbillo nei quartieri di Brooklyn e del Queens. Da ottobre 2018 all'8 aprile 2019 ci sono stati almeno 285 casi di contagio, 246 dei quali riguardanti bambini, con 21 ospedalizzazioni e 5 pazienti finiti in terapia intensiva.

Soltanto nell'ultima settimana, sono stati segnalate 60 nuove infezioni, un fatto che spinto il sindaco Bill de Blasio a imporre per legge la vaccinazione obbligatoria contro morbillo, parotite e rosolia in quattro zone specifiche della città, dove si trovano i focolai attivi. Ogni adulto e bambino dai sei mesi di età che viva o lavori nelle aree afferenti a quattro codici postali, e che non sia ancora stato immunizzato, deve sottoporsi alla vaccinazione, pena una multa di 1.000 dollari.

L'OMBRA NO-VAX. La città è alle prese con la peggiore epidemia di morbillo degli ultimi 30 anni, a causa della diffidenza sui vaccini scatenata dai movimenti no-vax soprattutto all'interno della comunità ebraica ultraortodossa di Williamsburg. La ragione dei pregiudizi sui vaccini di una ristretta parte della comunità religiosa ha più a che fare con l'isolamento dalla tecnologia e dai mezzi di informazione, nonché con i contatti frequenti con Israele, che sta a sua volta fronteggiando un'epidemia di morbillo, che con i precetti religiosi. Molti dei più autorevoli rabbini della città stanno infatti prendendo attivamente parte alla campagna di immunizzazione, ricordando ai fedeli non vaccinati di provvedere al più presto.

Quella di questi giorni è solo l'ultima misura legale intrapresa dall'amministrazione per la tutela della salute dei cittadini. A metà marzo, in seguito a un'epidemia di morbillo a Rockland County, fuori dalla città, le autorità avevano bandito dai luoghi pubblici tutti i bambini non vaccinati, un provvedimento che è stato poi sospeso in seguito all'ordinanza contraria di un tribunale.

https://www.focus.it/scienza/salute/morbillo-new-york-vaccini-obbligatori-in-quattro-quartieri

Si può potenziare l’immunoterapia? Forse sì, grazie alla “staminalità” delle cellule T. La scoperta pubblicata su Science.

L’immunoterapia si basa su un concetto elementare, cioè quello di sfruttare e potenziare il sistema immunitario umano affinché risponda in modo adeguato alla crescita di un tumore. Il nostro organismo riconosce le cellule cancerose come estranee e innesca una risposta immunitaria, ma purtroppo queste cellule possono sfuggire al controllo e prendere il sopravvento. Sebbene l’immunoterapia sia concettualmente semplice, il sistema immunitario è una realtà complessa non facile da regolare: da circa 20 anni vengono studiate delle strategie per potenziare i linfociti e aumentare la loro capacità di contrastare le cellule tumorali. Questa tecnica, applicata alla clinica oncologica, ha portato risultati notevoli per alcuni tumori, in alcuni casi arrivando alla completa remissione del 

Forse sì, grazie alla “staminalità” delle cellule T. La scoperta pubblicata su Science.

I risultati, ottenuti dai ricercatori del Center for Cancer Research (CCR) presso il National Cancer Institute (NCI), hanno messo in evidenza una delle strategie grazie alla quale le cellule tumorali possono continuare a moltiplicarsi anche in presenza di cellule immunitarie che dovrebbero contrastare la loro crescita. La scoperta fornisce interessanti spunti per riuscire ad aumentare l’efficacia dell’immunoterapia nel trattamento dei tumori.

L’immunoterapia si basa su un concetto elementare, cioè quello di sfruttare e potenziare il sistema immunitario umano affinché risponda in modo adeguato alla crescita di un tumore. Il nostro organismo riconosce le cellule cancerose come estranee e innesca una risposta immunitaria, ma purtroppo queste cellule possono sfuggire al controllo e prendere il sopravvento. Sebbene l’immunoterapia sia concettualmente semplice, il sistema immunitario è una realtà complessa non facile da regolare: da circa 20 anni vengono studiate delle strategie per potenziare i linfociti e aumentare la loro capacità di contrastare le cellule tumorali. Questa tecnica, applicata alla clinica oncologica, ha portato risultati notevoli per alcuni tumori, in alcuni casi arrivando alla completa remissione del tumore nel paziente. In molti casi, però, l’approccio immunoterapico non ha dato i risultati sperati e le cellule tumorali non hanno risposto al trattamento. I tumori, infatti, persistono e progrediscono anche in presenza dei cosiddetti linfociti infiltranti il tumore, per lo più linfociti T. Sebbene questi ultimi sembrino responsabili della distruzione del tumore nei trattamenti di immunoterapia, i meccanismi alla base del loro funzionamento non sono ancora chiari. I ricercatori di tutto il mondo stanno cercando di capire come funzionano, oltre a studiare soluzioni innovative per ottenere risultati sempre migliori.

Il gruppo di ricerca di Nicholas Restifo ha rilevato che le cellule tumorali morenti rilasciano potassio, un elemento legato all’attività delle cellule T. L’aumento dei livelli di potassio blocca le cellule T in uno stato simile a quello di cellula staminale, preservando cioè la “stemness” o “staminalità”, che è strettamente legata alla loro capacità di contrastare le cellule cancerose durante i trattamenti di immunoterapia. Questo è dovuto al fatto che l’elevata quantità di potassio presente nello spazio extracellulare delle cellule cancerose induce una scarsità di fattori necessari al processo di differenziamento cellulare. Conservare la staminalità delle cellule T fa sì che queste abbiano la capacità di replicarsi, ma non possano maturare in cellule killer e quindi rispondere in modo adeguato al tumore, rimanendo in qualche modo “congelate”. Le cellule cancerose mantengono le cellule T in questo stato e, così facendo, possono continuare a crescere senza subire l’attacco del sistema immunitario. I ricercatori hanno poi osservato che quando le cellule T in “stato congelato” vengono prelevate dal tumore, cresciute in laboratorio e reinfuse nel paziente, possono maturare in cellule killer e attaccare le cellule cancerose in modo più efficace. È importante sottolineare che le cellule T sono specifiche per un determinato obiettivo, chiamato antigene. Purtroppo, le cellule immunitarie che riconoscono gli antigeni tumorali sono poche e spesso non bastano per contrastare la crescita tumorale. La staminalità delle cellule T potrebbe essere quindi la chiave per potenziare questa strategia immunoterapica, chiamata trasferimento cellulare adottivo, attraverso l’aumento del numero di cellule in grado di combattere contro il tumore. A conferma di ciò, numerosi set di dati preclinici e clinici indipendenti hanno identificato le caratteristiche legate alla staminalità come altamente favorevoli per l’immunoterapia del cancro.

Inoltre, quando esposte ad un’alta concentrazione di potassio, sia le cellule T isolate dai pazienti che le cellule T antitumorali modificate geneticamente hanno migliori risultati immunoterapici. Il trattamento delle cellule T antitumorali con potassio extracellulare elevato e con terapie farmacologiche o geniche che mimano gli stessi meccanismi di inattività funzionale hanno conferito alle cellule caratteristiche staminali, ad esempio auto-rinnovamento e multipotenza, consentendo così la distruzione potenziata di tumori di grandi dimensioni.

La ricerca, oltre a suggerire un collegamento tra la soppressione immunitaria indotta dal tumore e la staminalità delle cellule T, ha approfondito la comprensione di come il cancro possa progredire nonostante la presenza di cellule T potenzialmente in grado di attaccarlo, facendo luce su meccanismi fondamentali per l’immunoterapia.

https://www.osservatorioterapieavanzate.it/terapie-avanzate/immunoterapia/si-puo-potenziare-l-immunoterapia

Primo cuore stampato in 3D con cellule e materiali biologici del paziente

Il primo cuore ingegnerizzato e stampato in 3D utilizzando le cellule e i materiali biologici di un paziente è stato in creato dal gruppo di ricercatori dell’Università di Tel Aviv.
Lo studio apparso su Advanced Science mostra dunque che possibile stampare anche tessuti complessi con vasi sanguigni e non solo, come specifica Tal Dvir, uno degli autori dello studio: “Questa è la prima volta che qualcuno ha progettato e stampato con successo un intero cuore pieno di cellule, vasi sanguigni, ventricoli e camere”.

Tecniche del genere potrebbero sopperire alla mancanza di organi per quanto concerne il trapianto di cuore, attualmente l’unico trattamento disponibile per pazienti con determinate malattie, come ad esempio l’insufficienza cardiaca negli stadi avanzati.
Nuovi approcci come questo, che si aggiungono ad altri che vedono organi umani cresciuti nel corpo di animali, come ad esempio maiali, potrebbero diventare la soluzione migliore tra qualche decennio.

Come specifica Dvir il cuore ingegnerizzato in laboratorio è fatto da vere cellule umane e materiali biologici specifici: “Nel nostro processo questi materiali fungono da bioinchiostro, sostanze composte da zuccheri e proteine ​​che possono essere utilizzate per la stampa 3D di modelli di tessuti complessi”.
Cuori ingegnerizzati erano già stati stampati in 3D in passato ma non utilizzando vere cellule di un paziente e realizzando veri vasi sanguigni. Inoltre un approccio del genere permette progettazioni personalizzate a seconda delle specifiche patologie del paziente.

Attualmente è stato realizzato un cuore 3D di piccole dimensioni, delle dimensioni del cuore di un coniglio, come specifica lo stesso Dvir, ma la tecnica per creare un cuore di dimensioni uguali a quello umano è la stessa.
Le cellule sono state prelevate dal paziente eseguendo una biopsia del tessuto grasso. Alcune delle cellule sono state riprogrammare e trasformate in cellule staminali pluripotenti mentre altre venivano trasformate in un idrogel che serviva da “inchiostro” per la stampa.

Le due tipologie di cellule sono state poi miscelate e quindi differenziate efficientemente in cellule cardiache oppure endoteliali cosa che portava a tessuti non solo compatibili con il paziente ma anche immunocompatibile con i vasi sanguigni.
Proprio la biocompatibilità dei materiali ingegnerizzati è risultata fondamentale per l’intero progetto in quanto nei casi di organi ingegnerizzati il primo rischio è sempre il rigetto.

Fonti e approfondimenti

Malattia del sonno africana, scoperto gene chiave per la sua trasmissione

Un gruppo di ricercatori annuncia di aver identificato un gene chiave per quattro guarda la trasmissione della malattia del sonno africano (tripanosomiasi africana), una malattia tropicale causata da una sottospecie di Trypanosoma brucei e trasmessa di solito dalle mosche tsetse; proprio per questo è comune nell’Africa sub-sahariana.

Come si manifesta la malattia del sonno africano

Provoca febbre, brividi, edemi, gonfiore dei linfonodi, eruzioni cutanee e prurito. In una seconda fase causa poi disturbi nella coordinazione e nel sonno nonché in convulsioni mentre durante la fase finale l’infettato può cadere in uno stato di sonnolenza perpetua, caratteristica che poi ha dato anche il nome alla malattia.

Farmaci per la malattia del sonno africano

Attualmente sono disponibili diversi farmaci per il trattamento ma sono quasi tutti derivati dall’arsenico, risultano poco efficaci e sono caratterizzate da gravi effetti collaterali mentre non esiste ancora un vaccino.

Come contagia le persone

Il parassita, per diventare contagioso, deve essere “iniettato” dalle mosche attraverso i morsi nel corpo degli esseri umani. Proprio per questo va ad installarsi in particolari tessuti di questo insetto come quelli della ghiandola salivare. Attraverso i morsi dell’insetto sulla pelle, può essere poi facilmente trasmesso all’uomo e propagarsi.

Gene importante per questo parassita

I ricercatori Stephanie DeMarco, laureanda in biologia molecolare all’Università della California, Los Angeles, e Sebastian Shaw, studente presso l’Università Svizzera di Berna, hanno creato una mutazione in uno dei geni del parassita denominato fosfodiesterasi-B1 o PDEB1.
Hanno poi infettato 2000 mosche tse-tse con circa 20.000 parassiti ciascuna, metà delle quali con il T. brucei con gene mutato.

I ricercatori vedevano una notevole differenza tra i gruppi di mosche per quanto riguarda il viaggio del parassita attraverso il loro sangue, differenza che mostrava l’importanza della fosfodiesterasi-B1 per questo parassita.
Questo gene,infatti, consente al parassita di percepire dove si trova e di sopravvivere nel corso del viaggio nel sangue della mosca per arrivare alla ghiandola salivare, punto focale da dove può poi propagarsi, attraverso i morsi della mosca, il corpo degli esseri umani.

Speranza per eventuale vaccino

Questa scoperta potrebbe rivelarsi molto importante per la creazione di un nuovo vaccino per contrastare questa malattia di cui sono a rischio decine di milioni di persone in decine di paesi africani.

Fonti e approfondimenti

https://notiziescientifiche.it/malattia-del-sonno-africana-scoperto-gene-chiave-per-la-sua-trasmissione/