Creato vaccino contro la sindrome respiratoria mediorientale (MERS)

La sindrome respiratoria mediorientale o MERS è una malattia causata da un virus della famiglia del coronavirus identificato per la prima volta nel 2012.
Questa malattia può causare gravi infezioni respiratorie, polmonite e insufficienza renale e il nome è dovuto al fatto che la maggior parte delle infezioni ha avuto origine della penisola arabica, soprattutto in Arabia Saudita, perché, almeno inizialmente, si diffondeva dai cammelli agli esseri umani.

La MERS ha già causato più di 2250 infezioni confermate in 27 paesi con tasso di mortalità del 35%. Oggi si può diffondere da umano a umano e il pericolo di una pandemia globale è sempre dietro l’angolo.

Già dal 2012, quindi, scienziati in tutto il mondo si sono messi alla ricerca di un vaccino per contrastarla. Un nuovo annuncio a tal riguardo arriva dal The Journal of Infectious Diseases. Una squadra di ricercatori dell’Università del Texas a Galveston, insieme a colleghi sauditi e canadesi, ha sviluppato un nuovo potente vaccino che protegge proprio da questa sindrome.

L’autore della ricerca, Chien-Te K Tseng, ricercatore dell’Università del Texas, dichiara: “In passato, ci siamo concentrati principalmente sullo sviluppo di vaccini antinfluenzali universali indirizzando le proteine ​​virali su cellule specifiche che hanno una molecola chiamata CD40 sulle loro superfici. Abbiamo modificato e ottimizzato la nostra precedente piattaforma di vaccini per generare nuovi potenziali vaccini MERS.”

L’efficacia del vaccino è stata valutata su topi geneticamente modificati in modo da avere risposte immunitarie più simili a quelle umane. I topi sono prima stati vaccinati con due versioni diverse del nuovo vaccino e poi infettati con MERS-CoV.
Una delle due versioni non è stata in grado di impedire al virus di provocare danni ai polmoni mentre l’altra, che a differenza del primo agiva in maniera più selettiva sulle cellule CD40, non provocava effetti collaterali legati ai polmoni risultando dunque funzionale.

https://notiziescientifiche.it/creato-vaccino-contro-la-sindrome-respiratoria-mediorientale-mers/

L’Aifa allerta i medici su alcuni antibiotici per effetti collaterali

L’Agenzia del farmaco ha diffuso importanti informazioni di sicurezza su alcune molecole di uso comune per il rischio di reazioni avverse gravi e permanenti

L’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa) ha diffuso un’allerta che riguarda una serie di antibiotici di uso comune per i gravi effetti collaterali che sono stati segnalati. L’Ente ha diffuso una nota, rivolta ai medici. in cui vengono fornite nuove e importanti informazioni di sicurezza sui medicinali contenenti fluorochinoloni (ciprofloxacina - levofloxacina - moxifloxacina - pefloxacina - prulifloxacina - rufloxacina - norfloxacina - lomefloxacina) e chinoloni.
Quattro molecole saranno ritirate dal commercio

«Sono state segnalate on gli antibiotici chinolonici e fluorochinolonici reazioni avverse invalidanti, di lunga durata e potenzialmente permanenti, principalmente a carico del sistema muscoloscheletrico e del sistema nervoso. Di conseguenza, sono stati rivalutati i benefici ed i rischi di tutti gli antibiotici chinolonici e fluorochinolonici e le loro indicazioni nei paesi dell’UE. I medicinali contenenti cinoxacina, flumechina, acido nalidixico e acido pipemidico verranno ritirati dal commercio».

L’invito ai medici a non prescrivere i medicinali in alcuni casi

L’Aifa invita dunque i medici a non prescrivere questi medicinali « per il trattamento di infezioni non gravi o autolimitanti (quali faringite, tonsillite e bronchite acuta); per la prevenzione della diarrea del viaggiatore o delle infezioni ricorrenti delle vie urinarie inferiori; per infezioni non batteriche, per esempio la prostatite non batterica (cronica); per le infezioni da lievi a moderate (incluse la cistite non complicata, l’esacerbazione acuta della bronchite cronica e della broncopneumopatia cronica ostruttiva – BPCO, la rinosinusite batterica acuta e l’otite media acuta), a meno che altri antibiotici comunemente raccomandati per queste infezioni siano ritenuti inappropriati ; ai pazienti che in passato abbiano manifestato reazioni avverse gravi ad un antibiotico chinolonico o fluorochinolonico». In particolare viene suggerito ai medici di prescrivere con molta prudenza questi farmaci «agli anziani, ai pazienti con compromissione renale, ai pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido ed a quelli trattati contemporaneamente con corticosteroidi, poiché il rischio di tendinite e rottura di tendine indotte dai fluorochinoloni può essere maggiore in questi pazienti. Dev’essere evitato l’uso concomitante di corticosteroidi con fluorochinoloni».

Interrompere il trattamento

L’Aifa infine invita i medici a informare i propri pazienti di interrompere il trattamento ai primi segni di reazione avversa grave quale tendinite e rottura del tendine, dolore muscolare, debolezza muscolare, dolore articolare, gonfiore articolare, neuropatia periferica ed effetti a carico del sistema nervoso centrale, e di consultare il proprio medico per ulteriori consigli

Gli effetti avversi

L’EMA (Agenzia europea del farmaco) ha riesaminato nei mesi scorsi gli antibiotici chinolonici e fluorochinolonici per uso sistemico ed inalatorio per valutare il rischio di reazioni avverse gravi e persistenti (che durano mesi o anni), invalidanti e potenzialmente permanenti, principalmente a carico del sistema muscoloscheletrico e del sistema nervoso. Le reazioni avverse gravi a carico del sistema muscoloscheletrico includono tendinite, rottura del tendine, mialgia, debolezza muscolare, artralgia, gonfiore articolare e disturbi della deambulazione. Gli effetti gravi a carico del sistema nervoso periferico e centrale includono neuropatia periferica, insonnia, depressione, affaticamento e disturbi della memoria, oltre che compromissione della vista, dell’udito, dell’olfatto e del gusto. Sono stati segnalati soltanto pochi casi di queste reazioni avverse invalidanti e potenzialmente permanenti, ma è verosimile una sotto-segnalazione. A causa della gravità di tali reazioni in soggetti fino ad allora sani, la decisione di prescrivere chinoloni e fluorochinoloni dev’essere presa dopo un’attenta valutazione dei benefici e dei rischi in ogni singolo caso.

CORSO ECM MILANO 5 APRILE 2019 OBIETTIVO FORMATIVO N. 6 RESPONSABILITA' RISK MANAGEMENT E SICUREZZA DEL PAZIENTE

Si è concluso con grande successo il corso ECM ideato e progettato da SCUOLAMEDICI tenutosi a Milano lo scorso 5 aprile sul tema della sicurezza del paziente e  la gestione del rischio clinico. Particolarmente apprezzati gli interventi dei Dottori Tommaso Mannone e Giansaverio Friolo, entrambi Risk Manager,  sul concetto di rischio, su come prevenirlo e come gestirlo al fine di evitare l’errore nel percorso di cura del paziente  nonchè l’intervento dell’Avv. Annamaria Marra sulla responsabilità per l’errore commesso da altro professionista nell’ambito del lavoro multidisciplinare. Si ringraziano tutti i partecipanti 

ANNAMARIA TOMMASO GIANSAVERIO

RNA artificiali: nuove strategie per il trattamento di diverse malattie genetiche

Le mutazioni fanno parte dell’evoluzione del genoma umano e sono responsabili della cosiddetta variabilità genetica. Possono dipendere da vari fattori e colpire sia le cellule somatiche (le cellule che compongono il nostro organismo), che quelle della linea germinale (le cellule riproduttive), rendendo in questo caso la mutazione ereditabile. Variazioni nelle sequenze dei geni possono portare però a risultati molto diversi. Se la mutazione non cambia ciò che è codificato nella sequenza, viene definita silenziosa: questo accade quando uno stesso amminoacido può essere codificato da diverse sequenze di DNA. In altri casi invece, si può avere la produzione di una versione tronca della proteina o la mancata produzione della stessa. Se la sequenza codifica per un amminoacido diverso, si avrà una cosiddetta mutazione missenso, che può essere neutra o dare origine a patologie gravi. Le mutazioni nonsenso, invece, hanno come conseguenza la trasformazione di una sequenza codificante un amminoacido in una che codifica un segnale di stop, con conseguente produzione di una proteina tronca e non funzionale. Le sequenze più a rischio sono quelle in cui basta una singola mutazione per avere il segnale di stop. I codoni di terminazione prematura (Premature Termination Codon, PTC) sono associati a malattie gravi, tra cui la fibrosi cistica, la distrofia di Duchenne, l’atrofia muscolare spinale, la ceroidolipofuscinosi neuronale infantile, la beta-talessemia, la cistinosi, il diabete insipido nefrogenico legato all'X, la sindrome di Hurler, la sindrome di Usher e il rene policistico. Complessivamente, le malattie legate ai PTC sono il 10-15% di tutte le patologie genetiche e colpiscono oltre 30 milioni di persone in tutto il mondo. 

La tecnica studiata prevede di rilevare i codoni di terminazione prematura, che normalmente arrestano la traduzione da RNA a proteine, e di impedirne la lettura. Analisi di laboratorio specifiche hanno permesso di identificare le sequenze dei PTC e, sulla base di queste sequenze, sono stati progettati gli ACE-tRNA. Queste molecole di RNA vengono poi trasportate nelle cellule che contengono la mutazione e intervengono nel processo di traduzione: i risultati hanno dimostrato che gli ACE-tRNA sono buoni inibitori dei codoni di terminazione prematura e possono produrre proteine funzionali. In poche parole, i piccoli RNA artificiali trasformano un segnale di “stop” in un segnale di “via libera”, facendo proseguire il processo di traduzione e producendo una proteina di lunghezza normale. Questa tecnica ha dimostrato una buona efficacia in cellule di mammifero, negli oociti di Xenopus e in modelli murini, correggendo i PTC in più geni, incluse mutazioni legate al CFTR, il regolatore della conduttanza transmembrana della fibrosi cistica. Infatti, i ricercatori hanno utilizzato modelli cellulari di fibrosi cistica con diverse mutazioni associate alla patologia. I risultati della ricerca hanno dimostrato l’efficacia degli ACE-tRNA nella produzione di una versione normale della proteina CFTR nelle cellule in cui il difetto era causato da un PTC. Positivi anche i risultati nelle sperimentazioni sui topi: in questo caso gli RNA artificiali sono stati iniettati direttamente nel tessuto muscolare.

Proprio perché i PTC sono la causa di molte patologie e dato che non ci sono ad oggi terapie disponibili per il trattamento della maggior parte di queste, questo studio dimostra le potenzialità di questa nuova tecnologia per lo sviluppo di terapie avanzate dedicate alle malattie causate dalle mutazioni nonsenso. In alcuni casi, anche la correzione di una piccola quantità di proteina disponibile può essere sufficiente per migliorare le condizioni del paziente. I progressi recenti nell’editing genetico con CRISPR/Cas9 potrebbero portare a una soluzione permanente per le malattie causate da mutazioni nonsenso. Purtroppo, alcuni aspetti di questa tecnologia, tra i quali il raggiungimento delle cellule di interesse oppure la frequenza di inserimento di modifiche off target, non la rendono utilizzabile come terapia in tempi brevi. Per questo motivo, i ricercatori hanno cercato un approccio efficace nella correzione dei PTC coniugando la versatilità di una piccola molecola terapeutica e la precisione dell’editing genetico.

Immunoterapia: approvata negli USA per il cancro al seno

Atezolizumab (Tecentriq®), sviluppato dall’azienda farmaceutica Roche, somministrato assieme alla chemioterapia con nab-paclitaxel (Abraxane®), ha ricevuto dal FDA l’approvazione accelerata come terapia per il carcinoma mammario triplo negativo locale non resecabile o metastatico (TNBC) nelle persone in cui le cellule tumorali esprimono il recettore PD-L1.

Quest’ultimo è una proteina di superficie che consente alle cellule cancerose di disinnescare la risposta immunitaria e poter così proliferare in maniera incontrollata. Un intrigante meccanismo cellulare il cui studio, negli ultimi venti anni, ha posto le basi per lo sviluppo delle strategie più innovative nel campo dell’immunoterapia e ha portato all’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina nel 2018 .

L’espressione “triplo negativo” significa che le cellule tumorali non hanno recettori per gli estrogeni, per il progesterone o per il fattore di crescita HER2, tutti coinvolti nella proliferazione incontrollata delle cellule, ma che possono essere bloccati con altri farmaci. Secondo uno studio pubblicato nel 2016 , condotto presso la Harvard Medical School su 197 pazienti, PD-L1 viene espresso nel 26% dei casi. TNBC è una forma molto aggressiva che rappresenta il 15% dei casi di tumore al seno (300.000 casi su un totale di circa 2 milioni di diagnosi all’anno a livello globale) ed è più diffusa nelle donne di età inferiore ai 50 anni, se paragonato alle altre forme di cancro al seno. Partendo da questi dati sono stati avviati i primi studi clinici con atezolizumab - un anticorpo monoclonale contro PD-L1 già approvato per diversi tumori -  nel trattamento del tumore al seno triplo negativo. Di solito, la malattia, a decorso molto rapido, viene trattata con una combinazione di chirurgia, chemioterapia e radioterapia.

Atezolizumab è in grado di legarsi alla proteina PD-L1 e favorire così il riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario. In condizioni normali, le cellule tumorali vengono attaccate dai linfociti T – i soldati in prima linea del sistema immunitario - ma se la proteina PD-L1 viene espressa sulla superficie delle cellule tumorali, queste ultime riescono sfuggire all’attacco. Questo perché PD-L1 è in grado di legarsi al recettore PD-1 dei linfociti, impedendone l’attivazione e la proliferazione e, di conseguenza, la distruzione delle cellule cancerose. “Questa combinazione con Tecentriq® è la prima immunoterapia ad aver ricevuto l’approvazione per il cancro al seno, rappresentando un significativo passo avanti nella comprensione di questa malattia”, commenta Sandra Horning, Chief Medical Officer di Roche e Head of Global Product Development.

L’approvazione si basa sui risultati dello studio di Fase III “IMpassion130”  , condotto su 902 pazienti in oltre 300 centri clinici nel mondo,  che aveva lo scopo di valutare l’efficacia, la sicurezza e la farmacocinetica del farmaco per questa patologia. Il trial clinico ha dimostrato che la combinazione di chemioterapia e anticorpo monoclonale aumenta il tempo in cui le pazienti non evidenziano un peggioramento della malattia, arrivando a 7.4 mesi contro i 4.8 mesi che hanno con la sola chemioterapia.

Atezolizumab è già stato approvato in Europa, negli Stati Uniti e in oltre 85 Paesi per il trattamento del tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC), in fase metastatica e precedentemente trattato, e per alcuni tipi di carcinoma uroteliale, metastatico non trattato o precedentemente trattato. È stato anche approvato negli Stati Uniti per il trattamento iniziale delle persone con carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamose metastatico precedentemente trattato senza mutazioni del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) o della chinasi del linfoma anaplastico (ALK).

Di: Rachele Nazzaraccahttps://www.osservatorioterapieavanzate.it/terapie-avanzate/immunoterapia/immunoterapia-approvata-negli-usa-per-il-cancro-al-seno

Immunoterapia CAR-T. Arriva l’Ok di AIFA a un trial clinico contro leucemia mieloide acuta e mieloma multipl

Dopo anni di test in laboratorio e di studi preclinici su modelli animali, le cellule CAR-T stanno ormai diventando una realtà nel panorama delle terapie avanzate in via di sviluppo clinico. Soltanto pochi giorni fa, infatti, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha dato l’autorizzazione all’avvio di una sperimentazione clinica di Fase I/II per le cellule CAR-T CD44v6 nel trattamento di pazienti con Leucemia Mieloide Acuta (AML) e Mieloma Multiplo (MM).

La notizia – che segue la diffusione del parere tecnico positivo giunto dall’Istituto Superiore di Sanità nella prima metà di marzo – è stata accolta con grande entusiasmo all’interno di MolMed S.p.A , la biotech da anni impegnata sul fronte della ricerca, dello sviluppo, della produzione e della validazione clinica di terapie geniche e cellulari di alto profilo e massima innovazione. La sperimentazione clinica approvata dall’AIFA, infatti, verte sull’antigene CD44v6, mai ancora impiegato nel contesto delle CAR-T per le quali, fino ad oggi, è stato usato prevalentmente l’antigene CD19. Come aveva già spiegato il prof. Claudio Bordignon, fondatore e presidente dello Scientific Advisory Board di MolMed, in un’intervista all’Osservatorio Malattie Rare , le CAR-T CD44v6 avevano prodotto buoni riscontri nei modelli di trattamento di tumori del sangue, confermando il loro potenziale anche su tumori solidi, tra cui gli adenocarcinomi del pancreas, della testa e del collo. La loro efficacia era stata osservata proprio nel rallentare la crescita dei tumori e aumentare la sopravvivenza degli animali con carcinoma del polmone e melanoma, riducendone anche le metastasi. “Sulla base di questi promettenti dati pre-clinici MolMed ha in corso una richiesta alle autorità competenti per avviare la sperimentazione sull’uomo” – precisava Bordignon qualche mese fa.

Oggi quella richiesta è stata accolta. Oltre che per la molecola oggetto d’indagine e per le patologie che coinvolge, questa sperimentazione è importante perché rientra nel progetto europeo EURE-CART Horizon 2020di cui MolMed è coordinatore e sponsor. Questo progetto di ricerca punta sulle tecniche di ingegnerizzazione delle cellule CAR-T, a conferma dell’interesse e della fiducia suscitati da questo nuovo campo di ricerca. Il via libera alla conduzione dello studio clinico di Fase I/IIa sull’uomo con le CAR-T CD44v6 implica, infatti, la produzione delle cellule secondo le Good Manufacturing Practices (GMP), l'ottenimento dell'approvazione normativa e la progettazione e conduzione di una sperimentazione clinica multicentrica secondo le Good Clinical Practices (GCP) in diversi paesi membri dell'Unione Europea, la quale ha finanziato con 5 milioni di euro EURE-CART nell’ambito di Horizon 2020. Lo sforzo per la realizzazione del progetto – e per la sua successvia traduzione in clinica – ha richiesto l’istituzione di un consorzio di 9 partner provenienti da 5 diversi paesi dell’Unione Europea, il cui coordinamento è stato affidato a MolMed. Gli obiettivi del progetto vanno al di là dell’immunoterapia con le CAR-T, tecnica eletta "Breakthrough of the Year" dalla rivista Science nel 2013 e considerata una delle più concrete possibilità di trattamento del cancro del futuro oltre che un modello per la terapia personalizzata. Con EURE-CART si punta alla creazione di un ponte tra il mondo accademico, la grande industria e gli organsimi di regolamentazione. Guardare alle CAR-T come a un’archetipo significa credere in una ricerca traslazionale con un impatto scientifico e tecnologico di sommo livello e nel quale l’industria biotecnologica ha già investito e può ancora continuare a investire creando nuove importanti occasioni di lavoro.

“L’autorizzazione ad iniziare lo studio clinico sul CAR T CD44v6 rappresenta una milestone fondamentale per la nostra società e valorizza tutto il lavoro fatto in questi anni dai nostri ricercatori per sviluppare una pipeline innovativa nel promettente settore delle terapie CAR” – afferma Riccardo Palmisano, Amministratore Delegato di MolMed – “Come nella sua tradizione, MolMed anche in quest’area ha voluto confermare il proprio approccio pionieristico, sviluppando un CAR-T del tutto originale: mentre i due soli CAR-T ad oggi autorizzati al commercio in USA e in Europa, e la maggior parte di quelli attualmente oggetto di studi clinici in corso, utilizzano CAR specifici per l’antigene CD19, limitandone l’impiego in pazienti con malattie ematologiche della linea linfocitaria B, il CAR-T di MolMed ha un target completamente diverso, espresso sia in tumori ematologici che solidi, oltre che una promessa di sicurezza più elevata conferita dalla presenza del gene suicida”. Infatti, le cellule CAR-CD44v6 sono equipaggiate con un gene che, nel caso di eventi avversi gravi, può ‘spegnere’ l’attività del costrutto molecolare. Una sorta di freno di emergenza che contribuisce al buon mantenimento dell’elevato profilo di sicurezza del prodotto.

L’obiettivo dello studio clinico è di dimostrare la sicurezza e l’efficacia dell’immunoterapia a base di cellule CAR-T CD44v6. Nella prima fase di studio, ai pazienti adulti affetti da leucemia mieloide acuta e mieloma multiplo, sarà somministrato il trattamento nelle diverse dosi previste dal protocollo al fine di determinare la Dose Massima Tollerata (MTD), mentre nella seconda fase, che includerà anche pazienti pediatrici, l’obiettivo primario consisterà nella valutazione dell’attività terapeutica delle cellule CAR-T su un più ampio numero di pazienti per ciascuna patologia. Alla sperimentazione prenderanno parte 5 centri clinici, due dei quali in Italia (l’Ospedale San Raffaele di Milano, quale centro coordinatore dello studio clinico, e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma) e gli altri tre in Spagna, Germania e Repubblica Ceca.

“Siamo fiduciosi che, grazie alla somma delle nostre competenze e dell’impegno in ricerca, sviluppo e produzione di terapie geniche e cellulari innovative, i risultati di questa prima fase dello studio clinico, possano confermare le attese nostre, dei clinici e dei pazienti, portando una soluzione sicura ed efficace a bisogni terapeutici ancora privi di cura” – conclude Palmisano. Il primo studio clinico sull’uomo con le CAR-T CD44v6 sta scaldando i motori e l’augurio è che presto se ne aggiungano altri.

Di: Enrico Orze
https://www.osservatorioterapieavanzate.it/terapie-avanzate/immunoterapia/car-t-arriva-l-ok-di-aifa-a-un-trial-clinico-contro-leucemia-mieloide-acuta-e-mieloma-multiplo

Editing del genoma umano: un registro internazionale per la ricerca clinica

La richiesta arriva dal comitato consultivo della World Health Organization sull’editing genomico, che si è riunito a Ginevra lo scorso 18 e 19 marzo.

“Rispettando il principio di trasparenza, una necessità urgente è quella di chiedere alla World Health Organization di creare un registro per la ricerca nel campo dell’editing del genoma umano, in modo tale che gli studi fatti utilizzando queste tecnologie vengano registrati in modo trasparente e accessibile da tutte le parti interessate.” Così ha commentato Margaret Hamburg, co-presidente del comitato consultivo (Expert Advisory Committee) della World Health Organization (WHO) sullo sviluppo di standard globali per la governance e la supervisione dei processi di editing del genoma umano. I 18 esperti internazionali - ricercatori e bioeticisti - che compongono il comitato consultivo, sono stati incaricati di esaminare questioni scientifiche, etiche, sociali e legali riguardanti l’editing sia germinale (di embrioni e gameti) che somatico (di cellule adulte), al fine di formulare raccomandazioni sui meccanismi di governance e supervisione a livello globale.

La WHO ha creato questo comitato in seguito alla nascita delle due gemelle cinesi modificate geneticamente con la tecnica CRISPR. La vicenda del biofisico cinese He Jiankui, che a novembre 2018 aveva rivelato al mondo di aver fatto editing su embrioni umani dai quali sono nate le bimbe, aveva suscitato le critiche dai ricercatori di tutto il mondo. I motivi sono molteplici e toccano sia tematiche scientifiche che etiche: aver manipolato geneticamente embrioni umani, non aver affrontato una necessità medica insoddisfatta, dato che l’infezione da HIV è prevenibile e trattabile con antiretrovirali, la mancata trasparenza della sperimentazione e non aver informato correttamente i partecipanti dei possibili rischi delle procedure. Alla luce di questo episodio, i membri del comitato sono anche d’accordo nell’affermare che sarebbe “irresponsabile per chiunque, in questo momento, procedere con la sperimentazione clinica delle tecniche di editing del genoma umano”.

La prima riunione dell’Expert Advisory Committee si colloca pochi giorni dopo la pubblicazione sulla rivista Nature, il 13 marzo, dell’appello da parte di alcuni ricercatori e bioeticisti per richiedere un periodo di sospensione, durante il quale non sia consentito l’uso clinico di editing genomico sulla linea germinale umana. Una “vaga moratoria”, però, non sembrerebbe essere la risposta adatta per affrontare la questione, sottolinea Margaret Hamburg. Ma tutti sono concordi nel sottolineare i rischi e le incognite che circondano l’applicazione clinica di queste tecnologie. Pur avendo come obiettivo la prevenzione di malattie potenzialmente letali, CRISPR potrebbe inserire modifiche al di fuori del DNA bersaglio (eventi off-target) e le modifiche, se fatte sulla linea germinale, verrebbero ereditate dalle generazioni future senza che la comunità scientifica sia ancora in grado di prevedere le conseguenze a lungo termine.

Oltre ad un registro centrale, ideato per creare una banca dati aperta e trasparente degli studi clinici in corso a livello internazionale, il comitato del WHO chiede anche che venga raccomandato agli editori di riviste scientifiche di non pubblicare studi in questo ambito se non registrati. E lo stesso vale per i finanziatori, i cui beneficiari dovranno provvedere a registrare le loro ricerche, se fatte in questo ambito. Non ci sono state raccomandazioni esplicite per una moratoria sull’editing della linea germinale e nemmeno spiegazioni su come qualcuno possa imporre l’obbligo di registrazione agli scienziati che non sono finanziati da fondi affidabili o che non hanno interessi a pubblicare il loro lavoro. Il settore privato è ovviamente il più difficile da regolamentare, come afferma il presidente della US National Academy of Medicine Victor Dzau, ma questo è un primo passo che va fatto per raggiungere una regolamentazione globalmente riconosciuta dell’editing genomico sull’essere umano.

Il comitato consultivo della WHO lavorerà durante i prossimi 18 mesi per trovare un quadro di governance globale che sia sostenibile e applicabile a livello locale e internazionale. “Riteniamo sia molto importante l’istituzione di questo registro per avere un miglior senso di consapevolezza della ricerca che sta avvenendo nel mondo, una maggior trasparenza e responsabilità in termini di garanzia che la sperimentazione clinica rispetti gli standard etici e scientifici.”, continua Margaret Hamburg. “Penso sia importante per tutti noi avere una migliore comprensione di come viene fatta la ricerca e penso che questo possa creare un senso di responsabilità su cosa viene fatto (e come viene fatto) dalla comunità scientifica.”

https://www.osservatorioterapieavanzate.it/terapie-avanzate/editing-genomico/editing-del-genoma-umano-un-registro-internazionale-per-la-ricerca-clinica

Obesità, attivare il sistema linfatico contro la sindrome metabolica

Letteratura scientifica internazionaleMedicina News 

Una nuova ricerca, pubblicata sull’American Journal of Pathology, suggerisce che l’attivazione del sistema linfatico potrebbe avere un ruolo positivo per combattere l’infiammazione del tessuto adiposo, tipica dell’obesità, associabile a resistenza all’insulina e quindi allo sviluppo della sindrome metabolica.

“Comprendere i meccanismi dell’infiammazione dell’adipe – spiega Joseph M. Rutkowski, del dipartimento di Fisiologia Medica del Texas A&M College of Medicine, College Station, Texas (USA) – ci porterebbe al cuore dei meccanismi biologici dell’obesità e delle sue complicanze. Abbiamo ipotizzato che l’aumento della linfangiogenesi (formazione di vasi linfatici) nel tessuto adiposo possa aiutare a ridurre l’infiammazione associata all’obesità. ”

Per questo esperimento i ricercatori hanno utilizzato un modello animale in cui è stato attivato un particolare recettore del fattore di crescita VEGFR-3 (vascular endothelial growth factor receptor-3). I topi con queste caratteristiche sono stati poi sottoposti a una dieta con alto contenuto di grassi e nonostante l’aumento di peso si conservava l’omeostasi del glucosio e dei lipidi.

“Abbiamo dimostrato – conclude  Rutkowski – che l’aumento del VEGF-D nel tessuto adiposo induce la linfangiogenesi e migliora l’omeostasi del glucosio e dei lipidi in soggetti obesi. ” I ricercatori sottolineano che questi risultati migliorano quelli di esperimenti precedenti in cui i tempi di reazione nel modello umano risultavano incompatibile con il metabolismo umano.

Per quanto si tratti solo di un primo approccio sperimentale, sembra interessante l’apertura di una nuova prospettiva per combattere l’obesità e le sue complicanze.

fonte rivista medico e paziente link https://medicoepaziente.it/2019/obesita-attivare-il-sistema-linfatico-contro-la-sindrome-metabolica/

Dispositivi Medici: la nuova governance e i registri protesici

Il ministro Grillo presenta il documento di Governance dei dispositivi medici

“La nostra proposta per una nuova governance prevede una nuova strategia per il governo dell’innovazione dei dispositivi medici. - dichiara il ministro della Salute, Giulia Grillo- I dispositivi medici hanno acquisito un ruolo centrale nella pratica clinica migliorando sia la salute che la qualità della vita dei pazienti. L'industria dei dispositivi medici, che conta 4mila imprese e circa 67mila addetti, è infatti considerevolmente cresciuta negli ultimi anni, di pari passo con l’espansione della sfera assistenziale che ricopre.

Il Documento in materia di Governance dei dispositivi medici - sottolinea il ministro - è stato presentato nei giorni scorsi alle Regioni, nel corso della riunione della Commissione salute ed è il risultato del lavoro del Tavolo tecnico di lavoro sui farmaci e i dispositivi medici istituito al ministero della Salute nell’agosto scorso.

Come già ribadito per la governance dei farmaci, il documento che presentiamo oggi al ministero, con le dottoresse Marcella Marletta, Luciana Ballini e Giovanna Scroccaro, evidenzia che la domanda di dispositivi medici, e in particolare per quelli in ingresso sul mercato considerati innovativi, dev’essere guidata dal criterio del valore clinico assistenziale aggiuntivo rispetto a quanto già disponibile" chiarisce.

"Il processo di valutazione può produrre diverse tipologie di raccomandazioni: non adozione, adozione o adozione solo in ricerca, tenendo quindi conto dei limiti del processo regolatorio e dando spazio alle potenzialità non pienamente dimostrate di un elevato valore aggiunto, attraverso l’impulso alla ricerca clinica” precisa Grillo.

“Sarà possibile realizzare gli obiettivi del documento grazie a quanto il nostro Paese ha fatto in questo settore negli ultimi anni e alla disponibilità nel nostro sistema di competenze professionali che non sono sicuramente seconde ad altre” conclude il ministro.

La proposta di governance vorrebbe affrontare le criticità derivate da:

  • un settore in forte espansione, ad alta intensità di rinnovamento e crescente complessità tecnologica, non sempre facilmente riconducibile a un reale impatto in termini di migliori risultati di cura per i pazienti.
  • Un regolamento Europeo che non vincola l’autorizzazione al mercato dei dispositivi medici alla presentazione di adeguate prove scientifiche di sicurezza ed efficacia clinica.
  • La responsabilità in capo agli Stati Membri di vigilare sulla sicurezza e di mettere in atto strumenti per la sostenibilità dell’innovazione.
  • Un sistema sanitario dove l’offerta di tecnologie domina i meccanismi di scelta, che dovrebbero invece partire dalla reale domanda di salute dei cittadini.

La strategia per la governance dell’innovazione più consolidata definisce processi decisionali informati dalle valutazioni tecnico scientifiche. La sezione del documento sul governo della domanda e dell’offerta è pertanto quasi interamente dedicata all’Health Technology Assessment (HTA), strumento che favorisce lo sviluppo e l’innovazione, salvaguardando la sostenibilità dei sistemi sanitari universalistici e qualificando i processi di cura.

Le finalità del documento sono:

  • fondare le decisioni sui bisogni dei pazienti e sul valore aggiunto di una tecnologia, dimostrato in termini di risultati;
  • assumere rischi calcolati e solamente in presenza di potenziali benefici altamente rilevanti;
  • rendere efficiente il monitoraggio dei rischi e dei benefici.
  • comunicare all’industria i requisiti di sicurezza ed efficacia comparativa necessari per proporre prodotti innovativi.

Dal punto di vista delle relazioni le finalità sono:

  • mettere a disposizione dei pazienti informazioni indipendenti e strumenti adeguati a supportarli nel comprendere i potenziali vantaggi e i potenziali rischi delle cure; di renderli partecipi ai processi decisionali affinché le valutazioni tengano conto delle loro prospettive e aspettative;
  • salvaguardare le relazioni qualificate tra produttori e professionisti, ponendo questi ultimi nella condizione di poter richiedere evidenze cliniche di efficacia e sicurezza e contribuire a generarle attraverso la ricerca;
  • migliorare le conoscenze dei produttori relative alle necessità del sistema sanitario; di incentivarli a condividere precocemente i piani di sviluppo delle proprie innovazioni per una migliore tempestività di risposta da parte del sistema. 



L'UE adotta la Classificazione italiana dei dispostivi medici

Il ministro Grillo ha dichiarato: “siamo orgogliosi che la Commissione europea ha deciso di adottare il nostro sistema di classificazione nazionale come nomenclatore per la banca dati a livello europeo”.
Il Gruppo di coordinamento Medical Device Coordination Group (MDCG) della Commissione europea ha infatti deciso, nella riunione del 14 febbraio 2019, di adottare la Classificazione Nazionale dei Dispositivi medici italiana (CND) a livello europeo come nomenclatore per la banca dati europea EUDAMED, grazie alle peculiarità di struttura, finalità, fruibilità e metodologia di aggiornamento della classificazionre italiana.

Lo sviluppo europeo della classificazione nazionale è stato possibile grazie anche alla professionalità e al costante supporto delle regioni e degli esperti del gruppo di lavoro della regione autonoma del Friuli Venezia Giulia.

Questo permetterà a tutti gli operatori italiani del settore dei dispositivi medici di risparmiare ingenti risorse economiche e strumentali per adattare la nomenclatura italiana a quella europea.



I Registri protesici, strumenti della Governance

Il Registro Italiano ArtroProtesi (RIAP) è stato avviato oltre 10 anni fa dall’Istituto Superiore di Sanità su richiesta del ministero della Salute. Il RIAP rappresenta oggi una estesa rete di stakeholder che collaborano per creare una raccolta dati nazionale efficiente e di qualità. Informazioni su oltre 67.000 interventi di anca, ginocchio e spalla sono state raccolte nel 2017 in nove Regioni.

L'obiettico del Registro è creare un sistema di monitoraggio che copra tutto il territorio italiano, in grado di tracciare puntualmente tutte le protesi impiantate, valutarne la loro efficacia, indirizzare il chirurgo a scegliere quelle con evidenze di una maggiore durata e ad adottare buone pratiche.

Il numero di interventi di impianto di protesi ortopediche effettuati ogni anno nel nostro Paese sfiora i 200.000.

Il Registro nazionale delle protesi mammarie


La dottoressa Marcella Marletta, Direttore generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico, ha annunciato l'attivazione a breve del Registro delle protesi mammarie. In questa fase pilota la partecipazione da parte dei chirurghi, che impiantano o espiantano protesi, è su base volontaria; seguirà la discussione in Conferenza Stato-Regioni del Regolamento del registro; successivamente il Registro, come previsto dalla Legge di bilancio, avrà carattere di obbligatorietà.

L'obbligatorietà e la trasparenza renderanno il registro italiano unico al mondo.

In Italia sono circa 51.000 le protesi mammarieimpiantate ogni anno. Il 63% ha finalità estetiche, il 37% finalità ricostruttive. Questi i dati che derivano dalle nostra attività di vigilanza, dati molto importanti che ci hanno dato la possibilità di stimare il numero di donne che ogni anno si sottopone ad impianto mammario: circa 35.000.

Il nuovo registro delle protesi mammarie permetterà:

  • il monitoraggio clinico del soggetto sottoposto a impianto, allo scopo di prevenire le complicanze e migliorare la gestione clinico-assistenziale degli eventuali effetti indesiderati ed esiti a distanza;
  • il monitoraggio epidemiologico, a scopo di studio e ricerca scientifica in campo clinico, biomedico e di programmazione, gestione, controllo e valutazione dell'assistenza sanitaria.

"Abbiamo utilizzato questi anni - ha dichiarato Marcella Marletta - per studiare meglio questa tipologia di dispositivi, ne abbiamo compreso meglio il mercato, abbiamo creato una solida rete con le regioni, le province Autonome, le società scientifiche ed i distributori di protesi mammarie sul territorio italiano ed oggi possiamo annunciare che già dalla prossima settimana si comincerà con la raccolta dei dati.

Il registro sarà così organizzato:

Ministero della Salute: Rapporto sui ricoveri ospedalieri 2017, quasi 59 milioni le giornate di degenza

Nel 2017 si osserva una generale diminuzione del volume di attività erogata dagli ospedali italiani: il numero complessivo di dimissioni per acuti, riabilitazione e lungodegenza e il corrispondente volume complessivo di giornate si riducono, entrambi, di circa il 2% rispetto al 2016. È quanto si legge nel Rapporto annuale sull'attività di ricovero ospedaliero (Dati SDO 2017), a cura della Direzione generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute.

La riduzione più consistente delle dimissioni si osserva (tabella 1) nell’attività per acuti in regime diurno (dimissioni -6,7%, giornate -13,1%); seguono la lungodegenza (dimissioni -5,4%, giornate -17,5%) e la riabilitazione in regime diurno (dimissioni -4,6%, giornate -3,1%).

Tabella 1 - Dimissioni e giornate per tipo attività e regime di ricovero, confronto anni 2016-2017

 
ATTIVITA'DIMISSIONIGIORNATE / ACCESSI
2017var % 2016-20172017var % 2016-2017
Acuti - Regime ordinario 6.255.055 -0,5 43.342.042 0,4
Acuti - Regime diurno 1.820.536 -6,7 4.647.249 -13,1
Riabilitazione - Regime ordinario 315.955 -0,8 8.057.699 -1,9
Riabilitazione - Regime diurno 30.450 -4,6 456.716 -3,1
Lungodegenza 99.118 -5,4 2.385.927 -17,5
TOTALE 8.521.114 -2,0 58.889.633 -2,0

Il tasso di ospedalizzazione standardizzato si riduce, con una discreta variabilità regionale

Rispetto al 2016, nel 2017 il tasso di ospedalizzazione per acuti, standardizzato per età e sesso, si riduce da 126 a 123,2 dimissioni per 1.000 abitanti, suddiviso in 94,2 dimissioni (per 1.000 abitanti) in regime ordinario e 29 in regime diurno (nell'anno precedente i valori erano, rispettivamente, 95 e 31 dimissioni per 1.000 abitanti); si rileva, inoltre, una discreta variabilità regionale (grafico 1).

Grafico 1 - Tasso di ospedalizzazione standardizzato (per età e genere) per 1.000 abitanti - Attività per acuti in regime ordinario e diurno, anno 2017

Tasso di ospedalizzazione standardizzato per età e genere. Attività per Acuti in Regime ordinario e diurno - Anno 2017

Il trend del tasso di ospedalizzazione, standardizzato per età e sesso, mostra un andamento decrescente, che interessa sostanzialmente l’attività per acuti, sia in regime ordinario che diurno: si passa, rispettivamente, da 115,8 e 48,8 per 1.000 abitanti nel 2010 a 94 e 29 per 1.000 abitanti nel 2017. Il tasso di ospedalizzazione complessivo si riduce da 171,9 per 1.000 abitanti nel 2010 a 129,4 nel 2017.

L’appropriatezza organizzativa migliora

L’appropriatezza del setting assistenziale del ricovero ospedaliero migliora ulteriormente. In particolare, confrontando i dati dell'anno 2017 con quelli dell'anno precedente, si osserva un aumento della percentuale di regime diurno in 33 dei 108 DRG a rischio inappropriatezza; inoltre, fra i restanti 75, ulteriori 41 DRG, pur presentando una quota di regime diurno inferiore rispetto al 2016, sono caratterizzati da una riduzione del volume di ricoveri ordinari: in media la riduzione è pari a 6,8%. Infine, 80 DRG mostrano una riduzione del numero totale di ricoveri erogati rispetto al 2016. Presumibilmente, ciò sta ad indicare il trasferimento della casistica dal setting ospedaliero al setting ambulatoriale: il numero totale di ricoveri afferenti ai 108 DRG a rischio inappropriatezza si riduce di circa il 6,3%, passando da 2.314.129 unità a 2.167.274 unità.

Complessivamente, quindi, per i 108 DRG LEA si osserva una significativa deospedalizzazione, con un miglioramento dell'appropriatezza organizzativa e dell'efficienza nell'uso delle risorse ospedaliere.

La mobilità interregionale resta sostanzialmente costante

La percentuale di ricoveri in mobilità per ciascun tipo di attività e regime di ricovero, pur con qualche leggera variazione, si mantiene sostanzialmente costante: essa è pari a circa l'8% per l’attività per acuti in regime ordinario e diurno, il 15% per l’attività di riabilitazione in regime ordinario, il 10% per l’attività di riabilitazione in regime diurno e il 5% per l’attività di lungodegenza.

Più in dettaglio, si osserva che dal 2010 al 2017 la mobilità per acuti in regime ordinario passa dal 7,4% all'8,3%, mentre in regime diurno passa dal 7,4% al 9,3%, la mobilità per riabilitazione in regime ordinario passa dal 14,7% al 16,4%, quella in regime diurno è pari al 9,2% nel 2010, tocca un massimo di 11,8% nel 2012 e si attesta al 9,8% nel 2017. Infine, la mobilità per lungodegenza è pari al 4,7% nel 2010 e, con piccole oscillazioni, si attesta al 5,2% nel 2017.

La remunerazione teorica è in graduale diminuzione tra il 2010 e il 2017

Analizzando il trend della remunerazione teorica delle prestazioni di ricovero ospedaliero a carico del SSN negli anni 2010-2017, si registra una graduale riduzione: si passa da 30,9 miliardi di euro nel 2010 a 28,2 miliardi nel 2017.

In particolare, si osserva una diminuzione della remunerazione totale di circa l'1,3% fra il 2016 ed il 2017, la cui remunerazione teorica complessiva è determinata per 25,8 miliardi di euro dall'attività per acuti (di cui 23,5 in regime ordinario e 2,3 in regime diurno), per circa 2 miliardi di euro dall'attività di riabilitazione (di cui 1,9 miliardi in regime ordinario e 88,8 milioni in regime diurno) e per circa 354,3 milioni di euro dall'attività di lungodegenza, per un totale di circa 28,2 miliardi di euro.

Nella rilevazione 2017 vengono raccolte numerose nuove informazioni

Il Decreto ministeriale 7 dicembre 2016, n. 261 ha notevolmente ampliato il contenuto informativo del flusso SDO, con l’introduzione di numerose nuove variabili a partire dall’anno 2017.

Le nuove variabili raccolgono importanti informazioni sia di carattere amministrativo/organizzativo, sia di carattere clinico; in particolare:

  • unità operativa di ammissione, unità operative di trasferimento interno/esterno e data/ora trasferimento;
  • rilevazione della presenza di una diagnosi già al momento dell’ammissione del paziente;
  • ora di ricovero e ora di dimissione;
  • ora inizio intervento principale, data e ora inizio interventi secondari;
  • identificativi dei chirurghi e degli anestesisti che hanno effettuato le procedure chirurgiche;
  • ampliamento del numero di interventi secondari rilevati nella scheda di dimissione ospedaliera;
  • interventi in service;
  • rilevazione del dolore, stadiazione condensata, pressione arteriosa sistolica, creatinina serica, frazione di eiezione, lateralità.

Le nuove informazioni rilevate consentiranno di effettuare analisi più dettagliate sull’appropriatezza organizzativa e clinica dell’assistenza sanitaria erogata nel setting ospedaliero, di definire con maggior precisione i percorsi diagnostico/terapeutici nel corso degli episodi di ricovero, nonché di valutare meglio la complessità della casistica, effettuare analisi di risk adjustment per le valutazioni di efficacia e di esito e valutare la correlazione fra esiti e volume di procedure per singolo operatore (chirurgo/anestesista).

fonte del 25 marzo 2019 http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3682

Registri AIFA: l’Agenzia fornisce informazioni sui dati dei trattamenti con i nuovi farmaci per la cura dell’epatite C


L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) fornisce in maniera sistematica, tramite aggiornamenti settimanali, dati pubblici circa i trattamenti con i nuovi farmaci ad azione antivirale diretta di seconda generazione (DAAs) per la cura dell’epatite C cronica raccolti dai Registri di monitoraggio AIFA.

Nell’ambito del Piano di eradicazione dell’infezione da HCV in Italia, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha ridefinito i criteri di trattamento per l’Epatite C cronica.

Gli 11 criteri, scaturiti dal dialogo con le Società scientifiche e condivisi con la Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’Agenzia, consentiranno di trattare tutti i pazienti per i quali è indicata e appropriata la terapia.

Inoltre, sarà possibile inserire nei Registri anche i pazienti che, in seguito al fallimento di regimi di trattamento senza interferone, abbiano necessità di essere ritrattati con un’associazione di almeno 2 farmaci antivirali ad azione diretta di seconda generazione (DAAs).

Di seguito gli 11 nuovi criteri di trattamento.

Criterio 1: Pazienti con cirrosi in classe di Child A o B e/o con HCC con risposta completa a terapie resettive chirurgiche o loco-regionali non candidabili a trapianto epatico nei quali la malattia epatica sia determinante per la prognosi.

Criterio 2: Epatite ricorrente HCV-RNA positiva del fegato trapiantato in paziente stabile clinicamente e con livelli ottimali di immunosoppressione.

Criterio 3: Epatite cronica con gravi manifestazioni extra-epatiche HCV-correlate (sindrome crioglobulinemica con danno d'organo, sindromi linfoproliferative a cellule B, insufficienza renale).

Criterio 4: Epatite cronica con fibrosi METAVIR F3 (o corrispondente Ishak).

Criterio 5: In lista per trapianto di fegato con cirrosi MELD <25 e/o con HCC all'interno dei criteri di Milano con la possibilità di una attesa in lista di almeno 2 mesi.

Criterio 6: Epatite cronica dopo trapianto di organo solido (non fegato) o di midollo in paziente stabile clinicamente e con livelli ottimali di immunosoppressione.

Criterio 7: Epatite cronica con fibrosi METAVIR F2 (o corrispondente Ishak) e/o comorbilità a rischio di progressione del danno epatico [coinfezione HBV, coinfezione HIV, malattie croniche di fegato non virali, diabete mellito in trattamento farmacologico, obesità (body mass index ≥30 kg/m2), emoglobinopatie e coagulopatie congenite].

Criterio 8: Epatite cronica con fibrosi METAVIR F0-F1 (o corrispondente Ishak) e/o comorbilità a rischio di progressione del danno epatico [coinfezione HBV, coinfezione HIV, malattie croniche di fegato non virali, diabete mellito in trattamento farmacologico, obesità (body mass index ≥30 kg/m2), emoglobinopatie e coagulopatie congenite].

Criterio 9: Operatori sanitari infetti.

Criterio 10: Epatite cronica o cirrosi epatica in paziente con insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico.

Criterio 11: Epatite cronica nel paziente in lista d'attesa per trapianto di organo solido (non fegato) o di midollo.

L’aggiornamento fornisce le seguenti informazioni:

Trend cumulativo dei trattamenti avviati
Trattamenti avviati per criterio
Mosaico regionale: frequenza dei trattamenti per regione per criterio

18/03/2019
http://www.aifa.gov.it/content/registri-aifa-l%E2%80%99agenzia-fornisce-informazioni-sui-dati-dei-trattamenti-con-i-nuovi-farma-310

Oncologia, riconosciuta l’invalidità per le mutazioni Brca

Attualmente nel nostro Paese si contano tra i 75 e i 150mila donne portatrici delle mutazioni genetiche Brca1 e Brca2, che predispongono a sviluppare, anche in giovane età, tumori del seno, dell’ovaio e dell’endometrio, oltre ad altre neoplasie. D’ora in poi, a tutte le pazienti che sceglieranno di sottoporsi a un intervento chirurgico preventivo di asportazione della mammella o delle ovaie sarà riconosciuta una corretta percentuale d’invalidità. È questo si evince da una comunicazione tecnico-scientifica firmata dal coordinatore generale medico legale dell’Inps, Massimo Piccioni, e dal vicecoordinatore Onofrio De Lucia, inviata nel febbraio a tutte le commissioni medico-legali. Il documento sottolinea il disagio funzionale e psicologico che deriva dall’avere la mutazione e dal conseguente intervento, tanto da far considerare i sui effetti come invalidanti.

Grande soddisfazione per la decisione dell’INPS è stata espressa dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), che ha promosso questa svolta normativa insieme con l’associazione aBRCAdaBRA, nata per rappresentare i bisogni delle persone portatrici della mutazione Brca.

«La comunicazione dell’Inps segna un’importante innovazione nel sistema di welfare che tiene il passo con le più recenti innovazioni in campo medico e, specialmente, genetico”, ha sottolineato Elisabetta Iannelli, segretario generale della FAVO. “Ora che la via tracciata dal progresso scientifico ci porta nella direzione della medicina di precisione, i cui necessari presupposti risiedono nei test biomolecolari e genetici, le indicazioni date dall’Inps per una corretta valutazione della disabilità anche per le persone sane portatrici di un rischio genetico, ma che affrontano interventi terapeutici preventivi di non poco rilievo, costituisce una vera e propria apertura di orizzonti, che in futuro riguarderanno anche altri rischi di malattia diagnosticati prima dell’insorgenza della stessa”.

E si può prevedere una ricaduta positiva anche per le donne in cui la malattia è già insorta.

«Questa novità, assoluta sulle donne sane comporterà un innalzamento della percentuale d’invalidità anche per le donne malate e Brca positive”, ha concluso Iannelli.

https://medicoepaziente.it/2019/oncologia-riconosciuta-linvalidita-per-le-mutazioni-brca/

Linee di indirizzo sull’attività fisica per le differenti fasce d’età e con riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione

Ruolo e responsabilità degli attori coinvolti, benefici per fasce di età e gruppi di popolazione e livelli raccomandati.

È quanto delineano le Linee di indirizzo sull’attività fisica per le differenti fasce d’età e con riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione, redatte da un Tavolo di lavoro istituito presso la Direzione generale della Prevenzione sanitaria e approvate in Conferenza Stato-Regioni il 7 marzo 2019.

Interagire con il proprio ambiente attraverso le varie forme di movimento, a tutte le età, contribuisce in modo significativo a preservare lo stato di salute inteso, nell’accezione dell’Organizzazione mondiale della sanità - OMS, come stato di benessere fisico, psichico e sociale. Esiste un legame diretto tra la quantità di attività fisica e la speranza di vita, ragione per cui le popolazioni fisicamente più attive tendono a essere più longeve di quelle inattive.

Le linee di indirizzo sottolineano la rilevanza dell’attività fisica per la popolazione generale e la necessità che tutti pratichino attività fisica, soprattutto integrata nella vita quotidiana.

Alcuni dati

Nel mondo, 1 adulto su 4 e 3 adolescenti su 4 (di età compresa tra 11 e 17 anni), non svolgono attività fisica secondo le raccomandazioni dell’OMS.

In Italia

  • Bambini: solo il 18% pratica sport per non più di un’ora a settimana (OKkio alla salute 2016)
  • Adulti: il 33,6% delle persone con età compresa tra 18 e 69 anni è classificato come sedentario, cioè non fa un lavoro pesante e non pratica attività fisica nel tempo libero (PASSI 2014-2017) 
  • Over 65: l’attività maggiormente praticata è camminare fuori casa, le attività domestiche rappresentano l’interesse principale, troppo poco tempo dedicato ad allenare la forza muscolare (PASSI d'argento 2016-2017).

Nella Regione europea dell’OMS l’inattività fisica è responsabile ogni anno di un milione di decessi (il 10% circa del totale) e di 8,3 milioni di anni persi al netto della disabilità (Disabilityadjusted life years, DALY).
Si stima che siano imputabili all’inattività fisica il 5% delle affezioni coronariche, il 7% dei casi di diabete di tipo 2, il 9% dei tumori al seno e il 10% dei tumori del colon. Inoltre, molti paesi della Regione hanno visto aumentare, negli ultimi decenni, le percentuali relative al numero di persone sovrappeso e obese. In 46 paesi (l’87% della Regione), oltre la metà degli adulti sono sovrappeso od obesi.

Le linee di indirizzo

Le linee di indirizzo forniscono elementi di policy di sistema e di orientamento sulle azioni necessarie per incentivare l’attività fisica, puntando all’equità e all’inclusione dei soggetti vulnerabili, con l’obiettivo di superare il carattere settoriale e frammentario, che hanno avuto molte delle azioni di prevenzione e promozione della salute sinora intraprese, mirando anche a favorire una maggiore omogeneità di intervento a livello nazionale.

Il documento, coerentemente con gli obiettivi Il Piano d’azione globale sull'attività fisica per gli anni 2018-2030 di recente approvato dall’OMS per ridurre del 15% la prevalenza globale dell’inattività fisica negli adulti e negli adolescenti entro il 2030, riconosce la validità dell’approccio strategico del nostro Paese, che tiene in considerazione tutti i determinanti che influenzano lo stile di vita e mira a realizzare azioni efficaci di promozione della salute in un’ottica intersettoriale e di approccio integrato.

La promozione dell’attività fisica come sostenuto dal programma Guadagnare salute e recepito dal Piano Nazionale della Prevenzione, richiede un approccio intersettoriale, con forte leadership del settore sanitario, ma con grande interazione con altri settori, come l’istruzione, lo sport e la cultura, i trasporti, l’urbanistica e l’economia.

Il documento, pertanto, definisce in dettaglio il ruolo e le diverse responsabilità dei vari settori coinvolti, con particolare riferimento alla sanità pubblica e al servizio sanitario in generale, al settore educativo, al sistema sportivo, al settore dell’ambiente e delle infrastrutture, ai luoghi di lavoro, tutti ambiti nei quali è possibile sviluppare interventi tra loro coerenti per facilitare uno stile di vita attivo.

Le linee di indirizzo descrivono, inoltre, i benefici dell’attività fisica per ciascuna fascia d’età e in riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione, andando quindi a illustrare, partendo dalle raccomandazioni dell’OMS, i livelli raccomandati di attività fisica e i sistemi e le modalità per raggiungerli.

Data di pubblicazione: 15 marzo 2019

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3668

Calendario delle prove di ammissione relative ai corsi di laurea e di laurea magistrale ad accesso programmato nazionale per l’anno accademico 2019/2020

Al fine di offrire adeguata informativa agli studenti interessati e di permettere agli Atenei di procedere alla predisposizione delle opportune misure organizzative legate allo svolgimento delle prove, si comunicano le date di effettuazione delle prove di ammissione relative ai seguenti corsi di laurea e di laurea magistrale ad accesso programmato nazionale per l’anno accademico 2019/2020:

Corso di studio

Data svolgimento prova

Corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria erogati in lingua italiana

martedì 3 settembre 2019

Corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina Veterinaria

mercoledì 4 settembre 2019

Corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico direttamente finalizzati alla formazione di Architetto

giovedì 5 settembre 2019

Corsi di laurea delle professioni sanitarie

mercoledì 11 settembre 2019

Corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria erogati in lingua inglese

giovedì 12 settembre 2019

Corsi di laurea magistrale a ciclo unico in scienze della formazione primaria

venerdì 13 settembre 2019

Corsi di laurea magistrale delle professioni sanitarie

venerdì 25 ottobre 2019


Le modalità e i contenuti della prova e il numero di posti disponibili per le immatricolazioni saranno definiti con successivo decreto.
Roma, li 24 gennaio 2019

Il direttore generale
Dott.ssa Maria Letizia Melina

https://www.miur.gov.it/web/guest/normativa/-/asset_publisher/l5McTyTJNEft/content/calendario-delle-prove-relative-ai-corsi-di-laurea-e-di-laurea-magistrale-ad-accesso-programmato-nazionale-per-l-anno-accademico-2019-2020

PADOVA ECCEZIONALE INTERVENTO CHIRURGICO SU 47ENNE AFFETTO DA METASTASI EPATICHE INOPERABILI

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

COMUNICATO STAMPA, 5 marzo 2019

ECCEZIONALE INTERVENTO CHIRURGICO SU 47ENNE AFFETTO DA METASTASI EPATICHE INOPERABILI. UNA PORZIONE DI FEGATO DA DONATORE VIVENTE, RIGENERA IN SOLI 17 GG, DOPO ESSERE STATA TRAPIANTATA A FIANCO DEL FEGATO MALATO POI RIMOSSO IN VIDEOLAPAROSCOPIA. E’ LA PRIMA VOLTA AL MONDO.

Il paziente di 47 anni, in questi giorni è ritornato a casa e ha ripreso la sua attività ordinaria.

Era affetto da multiple metastasi epatiche da tumore del colon e giudicato inoperabile per il numero di metastasi che interessavano tutti i segmenti del fegato.

Il Prof. Umberto Cillo Direttore della Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici dell’Azienda Ospedaliera/Università di Padova con il suo staff di professionisti altamente qualificati ha optato per un innovativo intervento che nasce dalla lunga esperienza nell’ambito della trapiantologia oncologica della Clinica di Chirurgia Epatobiliare.

L’INTERVENTO CHIRURGICO

L’intervento chirurgico si è svolto in due tempi: nel primo intervento un piccolo frammento di fegato donato da un familiare è stato trapiantato a fianco del fegato malato. Dopo la crescita del frammento donato che in 17 giorni ha raggiunto un volume tale da sostenere la vita, nel secondo intervento il fegato metastatico del paziente è stato rimosso per la prima volta al mondo a Padova con tecnica mini-invasiva in videolaparoscopia. Il folto team di esperti (chirurghi, anestesisti, tecnici della perfusione, strumentisti, infermieri e operatori di sala operatoria, oltre 20 persone specializzate) ha eseguito il delicatissimo intervento chirurgico combinando le 3 tecniche chirurgiche di alta specializzazione:

  1. L’asportazione di metà del fegato affetto da metastasi;
  1. Il trapianto in posizione ausiliaria della porzione di fegato donato (a fianco del fegato malato);
  1. L’asportazione in videolaparoscopia del fegato malato residuo dopo aver ottenuto una rigenerazione fino ad oltre il doppio del volume della porzione del fegato donato.

Step 1

L’intervento chirurgico è stato eseguito presso l’Azienda Ospedaliera/Università di Padova, ha avuto inizio alle 8:00 del mattino e si è concluso alle ore 02:00 di notte del giorno successivo.

Nella prima fase è stata condotta l’esplorazione addominale sul paziente che ha ricevuto il trapianto. Accertata l’assenza di malattia extraepatica, in una sala operatoria adiacente ha avuto inizio l’intervento chirurgico sul donatore che ha portato all’asportazione del lobo sinistro del fegato, circa il 20% della massa epatica.

Fino ad oggi il trapianto da vivente veniva eseguito utilizzando almeno il 60-65% della massa epatica del donatore con significativo aumento del rischio.

Nella sala operatoria vicina, è stata eseguita in contemporanea l’asportazione del lobo sinistro del fegato del ricevente. La porzione di fegato prelevata dal donatore è stata impiantata con tecniche di ricostruzione vascolare microchirurgica e con l’ausilio del microscopio operatorio.

E’ stato eseguito un trapianto di fegato ausiliario da donatore vivente con tecnica RAPID.

Il ramo destro della vena porta del ricevente è stato quindi interrotto per garantire tutto l’apporto ematico al lobo sinistro trapiantato stimolandone una rapida (RAPID) rigenerazione epatica. Questo primo intervento è durato 15 ore.

Step 2

A distanza di 15 giorni con un esame TAC è stato eseguito il calcolo volumetrico del fegato donato dopo rigenerazione. La TAC ha dimostrato che il fegato trapiantato dopo incubazione e rigenerazione ha raggiunto più del doppio del volume iniziale dimostrando di essere funzionalmente sufficiente a sostenere la vita del paziente.

Si è quindi eseguito il secondo intervento 17 giorni dopo. L’intervento è durato 6 ore e si è svolto interamente con tecnica mini-invasiva videolaparoscopica ed è consistito nell’asportazione del fegato malato residuo. Con tecnica mini-invasiva per via videolaparoscopica è stato rimosso il lobo destro malato lasciando in sede solo il lobo sinistro trapiantato da donatore vivente, incubato e rigenerato, per la prima volta al mondo.

È la sesta volta che sulla Terra viene eseguito questo complesso intervento, il secondo nel mondo da donatore vivente e Padova ha realizzato lo Step 2, per la prima volta al mondo, interamente con tecnica mini-invasiva in video laparoscopia.

L’EQUIPE

L’intervento è stato eseguito da tre equipes chirurgiche della Chirurgia Epatobiliare coordinate in contemporanea: Prof. Umberto Cillo, Prof. Enrico Gringeri, Dott. Riccardo Boetto, Dott. Domenico Bassi, Dott.ssa Marina Polacco, Dott.ssa Michela Di Giunta, Dott.ssa Alessandra Bertacco, Dott. Alessio Pasquale, Dott.ssa Federica Scolari.

L’equipe anestesiologica: Dott. Paolo Feltracco, Dott.ssa Stefania Barbieri, Dott. Helmut Galligioni, Dott. Stefano Veronese. Si sono alternati nell’arco della lunga maratona chirurgica oltre 20 tra strumentisti, infermieri e operatori di sala operatoria. Hanno contribuito i Radiologi dell’Azienda Ospedaliera diretti dal Dott. Camillo Aliberti.

Il paziente è stato seguito e selezionato per il trapianto dalla Dott.ssa Vittorina Zagonel dell’Istituto Oncologico Veneto e dalla sua equipe: Dott.ssa Sara Lonardi, Dott. Fotios Lupakis, Dott.ssa Francesca Bergamo, Dott. Vincenzo D’Adduzio.

LA TECNICA

La tecnica RAPID configura un tipo di trapianto di fegato parziale ausiliario in due Step. La procedura consiste in un primo tempo chirurgico con il prelievo di una piccola porzione di fegato (lobo sinistro) dal donatore (vivente o deceduto) attraverso un intervento chirurgico di resezione epatica. Nel ricevente viene asportata la stessa porzione di fegato (lobo sinistro) al posto della quale viene impiantata, nella stessa sede, la porzione di fegato sinistro del donatore. La porzione destra del fegato malato del ricevente (lobo destro) rimane ancora in sede a dare un aiuto temporaneo al lobo sinistro trapiantato nello svolgimento delle sue funzioni. La vena che garantisce il flusso di sangue al fegato destro - ramo destro della vena porta - viene occlusa e tutto il flusso di sangue attraverso il quale arrivano anche i fattori di rigenerazione, viene esclusivamente convogliato al lobo sinistro trapiantato.

2 settimane dopo vengono eseguiti il calcolo del volume della nuova porzione di fegato trapiantato (lobo sinistro) e un test di funzione mediante scintigrafia epatobiliare. Se il volume epatico risulta sufficiente a sostenere la vita del paziente, si procede al 2° Step chirurgico in cui il lobo destro malato viene definitivamente rimosso, mantenendo in sede solo il lobo sinistro trapiantato adeguatamente rigenerato e funzionante.

 

IL FUTURO

Se gli studi confermeranno le premesse, la tecnica RAPID rappresenterà una straordinaria fonte di donazione aggiuntiva a quella oggi disponibile, caratterizzata da un bassissimo rischio di complicanze per i donatori viventi, vista la bassa percentuale di fegato donata (solo 20%).

Questa tecnica inoltre rappresenta una possibilità concreta di trapianto di fegato per i numerosissimi pazienti con metastasi inoperabili da tumore del Colon-retto oggi affidati alla sola chemioterapia.

   DATI EPIDEMIOLOGICI SULLE METASTASI DA TUMORE DEL COLON-RETTO

Il tumore del colon è la seconda causa di morte per neoplasia nei paesi occidentali

Circa il 50% dei pazienti svilupperanno metastasi al fegato nel corso della malattia

Oltre il 65% delle morti è correlato alla insufficienza epatica secondaria alla presenza di metastasi epatiche

La chirurgia è l’unica opzione terapeutica valida in grado di offrire sopravvivenze del 50-60% a 5 anni

La chirurgia ad intento curativo è possibile solo nel 10-20% dei casi

La ricorrenza di malattia è del 70% a 3 anni

I pazienti non operabili sono candidati a cure palliative

La sopravvivenza mediana dopo la prima linea di chemioterapia è di 24 mesi ma si riduce a 10-12 mesi dopo la seconda linea di chemioterapia e a 5 mesi in pazienti in progressione di malattia

Il trapianto di fegato potrebbe garantire sopravvivenze superiori al 60% a 5 anni in casi strettamente selezionati

Fonte dati:

Lupakis F et al, NEJM 2014;371:1609-18.

Moris D et al, J Surg Oncol 2017; 116: 288-297

Hagness M, Ann Surg 2013; 257:800-806

Dueland S et al, Ann Surg Oncol 2014 Oct 9

 

 https://www.aopd.veneto.it/sez,108

Si autorizza la diffusione ai Media – il Capo Ufficio Stampa Dr.ssa Luisella Pierobon

 

Liste d'attesa: "Il nuovo Piano nazionale riporta il diritto alla salute dei cittadini al centro del Servizio sanitario nazionale"

Con l'approvazione, in conferenza Stato-Regioni, del nuovo Piano per il governo delle liste di attesa, prende il via un fondamentale percorso di avvicinamento della sanità pubblica verso i cittadini che si aspettava da lungo tempo.

"Il Piano mancava da 10 anni e non è stato mai monitorato e applicato. Questo ha compromesso l’intero sistema delle prestazioni e, nel tempo, consolidato le storture che sono sotto gli occhi di tutti. Ora è il momento di cambiare, creando un nuovo modello più efficiente e aggiornato finalmente avremo regole più semplici e tempi certi per le prestazioni che riportano il diritto alla Salute e quindi il cittadino al centro del sistema" dichiara il ministro della Salute, Giulia Grillo.

"Ho già dato mandato agli uffici del ministero per attivare al più presto l’Osservatorio Nazionale sulle Liste di Attesa che avrà un ruolo determinante. Infatti, oltre ad affiancare Regioni e Province Autonome nell'implementazione del Piano, provvederà a monitorare l'andamento degli interventi previsti dal presente atto, rilevare le criticità e fornire indicazioni per uniformare comportamenti, superare le disuguaglianze e rispondere in modo puntuale ai bisogni dei cittadini" precisa Grillo.

Molti gli aspetti che vanno sottolineati in questo nuovo Piano.

  • Le prestazioni successive al primo accesso saranno prescritte direttamente dal medico che ha preso in carico il paziente che non dovrà più tornare dal medico di famiglia per la prescrizione.
  • Spazio anche alla totale trasparenza poiché il nuovo PNGLA prevede l'accessibilità alle agende di prenotazione delle strutture pubbliche e private accreditate, nonché a quelle dell'attività istituzionale e della libera professione intramuraria, da parte dei sistemi informativi aziendali e regionali.
  • Ora spetta alle Regioni e alle Province Autonome di Trento e Bolzano adottare il proprio piano entro 60 giorni e far sì che non siano "libri dei sogni", ma realtà operative che migliorano l'accesso alle cure dei cittadini. Il ministero vigilerà sull’attuazione.
  • Nei Piani dovranno essere chiaramente garantiti e riportati i tempi massimi di attesa di tutte le prestazioni ambulatoriali e in regime di ricovero prevedendo, per esempio, l'utilizzo delle grandi apparecchiature di diagnostica per immagini per almeno l’80% della loro capacità produttiva. I direttori generali delle aziende sanitarie saranno valutati anche in base al raggiungimento degli obiettivi di salute connessi agli adempimenti dei Lea: questo significa che chi non mette l'efficienza delle liste d’attesa al primo posto del suo mandato, potrà essere rimosso dall’incarico.

"Sono certa - spiega il ministro - che tutti insieme potremo mettere a disposizione dei cittadini, a prescindere dalla loro residenza, la sanità che si meritano e che la Costituzione garantisce e tutela. Questo Governo già nella legge di bilancio per il triennio 2019-21 ha messo a disposizione delle regioni importanti risorse (350 milioni ad hoc, che mai prima ad ora erano stati previsti) per potenziare i servizi di prenotazione implementando i Cup digitali e tutte le misure per rendere più efficiente il sistema.

Sono fiduciosa che ci sarà una grande collaborazione da parte di tutti gli attori coinvolti nel nuovo Piano già a partire dalla prossima settimana. Mercoledì prossimo, infatti, ripartiranno i lavori con le Regioni relativi alla stesura del prossimo Patto della Salute per gli anni 2019-21".

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3651

Donazioni e trapianti, nel 2018 boom delle dichiarazioni di volontà e liste di attesa in calo

"Sono bellissime notizie di cui dobbiamo rendere merito a tutto il sistema trapianti, che ha reso e rende possibile ogni giorno questi miracoli della scienza e della solidarietà, anche se ci sono ancora notevoli margini di miglioramento, soprattutto in alcune regioni. Ringrazio tutti gli operatori del nostro Servizio sanitario nazionale impegnati in prima persona con i pazienti".

Così il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha commentato gli ottimi risultati ottenuti nel 2018 in tema di donazioni e trapianti. I dati sono stati illustrati dal direttore del Centro Nazionale Trapianti, dott. Nanni Costa, in una conferenza stampa che si è tenuta il 18 febbraio presso l'Auditorium di Lungotevere Ripa.

"Un pensiero va al piccolo Alex e alla sua vicenda, fortunatamente positiva, che ha unito l'Italia migliore e va alla grande professionalità dell'Ospedale Bambino Gesù", ha aggiunto il ministro. Un ringraziamento particolare è andato alla Polizia di Stato, che da sempre supporta l'attività del Centro, con particolare riferimento al trasporto degli organi in situazioni complesse.

dati 2018 registrano l’ottimo stato di salute della Rete nazionale trapianti, che a vent’anni dalla sua nascita (con la legge 91 del 1 aprile 1999) si conferma come una delle realtà più efficienti del Servizio sanitario nazionale. L’attività di donazione siconsolida, le liste d’attesa calano per il terzo anno consecutivo (in particolare quella per il trapianto di rene) mentre le dichiarazioni di volontà alla donazione degli organi sono quasi raddoppiate, grazie al possibilità di registrare la propria scelta al rinnovo della carta d’identità elettronica.

Donazioni e trapianti: secondo miglior anno di sempre

Il dato 2018 sull’attività complessiva di donazione è il secondo migliore di sempre: lo scorso anno ci sono stati 1.680 donatori(tra deceduti e viventi), con una flessione di 83 unità rispetto al 2017 ma ben al di sopra della media degli ultimi 5 anni. Il trend 2014-2018 è in decisa ascesa, con una crescita delle donazioni pari al 24,4%. Anche per quanto riguarda il numero dei donatori utilizzati il dato 2018 (1370) rappresenta la seconda miglior performance in assoluto. La percentuale di opposizioni alla donazione è stata del 29,9%: un dato in leggero aumento rispetto al 2017 (28,7%) ma ancora una volta molto inferiore al 32,8% registrato nel 2016.

Complessivamente i trapianti effettuati nel 2018 sono stati 3.718, di cui 3.407 da donatore deceduto e 311 da vivente. Anche in questo caso si tratta del secondo miglior risultato mai registrato, un dato in calo rispetto al 2017 ma che consolida il trend di crescita degli ultimi cinque anni (+20,4%). Nel dettaglio, sono stati effettuati 2.117 trapianti di rene (di cui 287 da vivente), 1.245 trapianti di fegato (86 da vivente), 233 trapianti di cuore, 143 di polmone e 41 di pancreas. È stato il Centro trapianti di Torino a realizzare il maggior numero di interventi complessivi (377) davanti a Padova, Pisa, Bologna, Verona e Milano Niguarda.

Analizzando i dati su base regionale, emerge ancora una volta il quadro di un’Italia a due velocità: i volumi di attività nelle regioni centro-settentrionali sono ancora molto superiori a quelli del Sud. Nel 2018 la Toscana si è confermata come la regione con il maggior numero di donatori utilizzati per milione di abitanti: 46,8, uno dei dati migliori tra tutte le regioni europee. C’è stata una crescita importante in Piemonte (i donatori utilizzati sono passati da 32 a 34,8 per milione di persone) e in Lombardia(da 24,8 a 26,4). Da segnalare il caso virtuoso della Sardegna, dove a livello locale i donatori utilizzati sono saliti in termini assoluti del 18,9% in un solo anno (da 37 a 44 ).

In crescita netta l’attività di donazione a cuore fermo, una delle sfide principali in cui è impegnata la Rete nazionale trapianti: gli accertamenti con criteri cardiaci eseguiti sono stati 73 (+32,7% rispetto al 2017) mentre i trapianti effettuati sono saliti da 32 a 47 (+46,9%).  

Per quanto riguarda i dati preliminari sui tessuti, il numero dei trapianti effettuati nel 2018 è stato di 16.468, in lieve calo rispetto al 2017 (-1,4%), a fronte di 13482 donazioni effettuate.

Continuano invece ad aumentare i trapianti di cellule staminali emopoietiche: lo scorso anno quelli da donatore non consanguineo sono stati 848, il numero più alto di sempre. Nell’ultimo anno i nuovi iscritti al Registro IBMDR sono stati 37.835contro i 25.010 del 2017: un aumento del 51,3% dovuto in buona parte alla grande risposta dei cittadini all’appello lanciato per il caso del piccolo Alessandro Maria Montresor. Ad oggi i donatori attivi iscritti al Registro IBMDR sono 421.441.

Liste d'attesa, continua la diminuzione

Il consolidamento dell’attività di donazione e trapianto è confermato dal calo delle liste d’attesa: i pazienti che al 31 dicembre scorso aspettavano un trapianto erano 8.713 contro gli 8.743 di 12 mesi prima. Si tratta della terza diminuzione consecutiva. A trainare il calo è soprattutto la lista d’attesa per il trapianto di rene, che nell’ultimo anno è scesa da 6.683 a 6.545 (-2,1%), con una diminuzione del 5,9% nell’ultimo triennio. Estremamente positivi anche gli indici di qualità dei trapianti: ad esempio la sopravvivenza dei trapiantati di rene a un anno dall’intervento è del 97,3% e il 93% dei pazienti torna al lavoro dopo il trapianto o è in condizione di farlo.

Dichiarazioni di volontà, è boom: +76,15%

Per quanto riguarda le dichiarazioni di volontà alla donazione di organi, la Rete nazionale trapianti non ne ha mai raccolte tante come nel 2018. Al 31 dicembre scorso le dichiarazioni registrate erano quasi 4 milioni e mezzo, ovvero oltre 1,9 milioni in piùrispetto al 2017: un aumento del 76,15%. Tra i cittadini che hanno comunicato la loro volontà, l’81,2% ha espresso il proprio consenso, mentre il 18,9% ha notificato un’opposizione. A trainare la crescita delle dichiarazioni è il raddoppio dei Comuni nei quali è possibile registrare la propria volontà in occasione del rilascio o del rinnovo della carta d’identità: ad oggi il servizio è attivo in 5.598 municipi italiani (il 69,9% del totale).

Il 14 aprile la Giornata nazionale per la donazione

La Giornata nazionale 2019 per la donazione degli organi si terrà domenica 14 aprile. L’iniziativa è il momento centrale della campagna nazionale “Diamo il meglio di noi” promossa dal Ministero della Salute, dal Centro nazionale trapianti e dalle associazioni di settore, che organizzeranno eventi di sensibilizzazione e informazione in centinaia di città italiane.

La promozione della cultura della donazione è al centro della legge 91 del 1 aprile 1999 che ha istituito la Rete nazionale trapianti, che oggi conta sul lavoro quotidiano di 15mila persone tra operatori sanitari, medici e infermieri, coordinatori, operatori dei trasporti uniformemente distribuiti sul territorio nazionale.

Sul territorio sono attivi 96 programmi di trapianto di organi e 98 programmi per le cellule staminali emopoietiche; il Centro Nazionale Trapianti Operativo, invece, gestisce 15 programmi nazionali, tra i quali quello per i pazienti pediatrici e quello per le urgenze.

Attualmente l’attività nazionale garantisce il diritto all’accesso alle cure per tutti i cittadini italiani: si è interrotto ormai da tempo il flusso di pazienti che erano costretti a curarsi all’estero. Oggi l’Italia dei trapianti è diventata un punto di riferimentoa livello internazionale tanto da accogliere pazienti che vengono da altri paesi europei e da esportare know how e tecnologia.

fonte http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3646

Ministero della Salute: presentata al Parlamento la Relazione annuale sull’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria

11.02.2019 Il Ministero della salute Sezione “Osservatorio nazionale sullo stato di attuazione dei programmi di adeguamento degli ospedali e sul funzionamento dei meccanismi di controllo a livello regionale e aziendale” del Comitato Tecnico sanitario di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.P.R. 28 marzo 2013, n. 44  ha trasmesso al Parlamento la Relazione annuale sull’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria  relativa all'anno 2016.

La Relazione dà conto del grado di implementazione dei principali adempimenti previsti in materia dal decreto legge 158/2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, dalla legge 3 agosto 2007, n. 120, nonché dall’Accordo Stato Regioni del 18 novembre 2010.

Ecco i principali risultati dell’analisi:

  • 17 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle D’Aosta e Veneto) hanno provveduto ad emanare/aggiornare le linee guida regionali, evidenziando un’invarianza rispetto ai risultati della rilevazione 2015
  • in 13 Regioni/Province Autonome (Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, P.A. Bolzano, P.A. Trento, Toscana, Umbria, Valle D’Aosta e Veneto) tutte le Aziende presenti hanno dichiarato di aver attivato l’infrastruttura di rete
  • in 6 Regioni/Province Autonome (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Veneto, P.A. Bolzano e P.A. Trento) tutte le Aziende garantiscono ai dirigenti medici spazi idonei e sufficienti per esercitare la libera professione, mentre negli altri contesti la maggior parte delle Aziende ha fatto ricorso all’attivazione del programma sperimentale
  • 10 Regioni (Basilicata,Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Puglia, Piemonte, Sardegna, Sicilia) hanno autorizzato l’attivazione del programma sperimentale con una diminuzione del numero delle Regioni da 12 nel 2015 a 10 nel 2016.

L’indagine ha inoltre evidenziato che il numero di medici che esercitano ALPI - attività libero professionale intramuraria - è diminuito passando da 59.000 unità relative all’anno 2012, pari al 48% del totale dei medici a 51.430unità nel 2016, pari al 43,3% del totale dei Dirigenti medici del SSN.

In media, nel SSN il 47,3% dei dirigenti medici, operanti nel SSN a tempo determinato e a tempo indeterminato con rapporto esclusivo, esercita la libera professione intramuraria.

La rilevazione, anche quest’anno, evidenzia un’estrema variabilità del fenomeno tra le Regioni, sia in termini generali di esercizio dell’attività libero professionale intramoenia, sia in termini specifici di tipologia di svolgimento della stessa con punte che superano quota 56% nelle seguenti Regioni:

  • Marche (63%)
  • Liguria (59%)
  • Lazio (57%)
  • Provincia Autonoma di Trento (60%)

Viceversa, il rapporto tra medici che esercitano l’ALPI sul totale dei medici in esclusività, tocca valori minimi in Regioni come:

  • Sardegna (28%)
  • Sicilia (34%)
  • Calabria (35%)
  • Umbria (36%)
  • Provincia Autonoma di Bolzano (16%).

In generale l’analisi del contesto nazionale mostra nel complesso esperienze avanzate e altre in fase di allineamento e consolidamento.

fonte

ww.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsplingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3634

Cure palliative e terapia del dolore: rapporto al Parlamento sui dati 2015-2017

Il Ministro della Salute ha inviato al Parlamento il Rapporto sullo stato di attuazione della legge n. 38 del 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” – 2015-2017. A otto anni dalla pubblicazione della legge 38/2010, il Rapporto descrive lo stato di attuazione della legge, i traguardi raggiunti e le criticità ancora presenti.

Il quadro che ne scaturisce è caratterizzato da luci e ombre: difatti, di fronte ad un miglioramento della qualità e dell’offerta assistenziale per le cure palliative in regime residenziale e domiciliare e allo sviluppo delle reti regionali e locali di cure palliative e di terapia del dolore, persistono forti disomogeneità regionali sulle caratteristiche e sulla tipologia dell’assistenza offerta nei vari setting assistenziali.

In cifre
Nel triennio dal 2015 al 2017, il numero di hospice sul territorio nazionale ha raggiunto il totale di 240 strutture (erano 231 nel 2014) mentre il numero dei posti letto risulta di 2.777 (226 posti letto in più rispetto al 2014).
A livello nazionale, nell’anno 2017, risulta una carenza di 244 posti letto in hospice ma, come sempre, la situazione appare fortemente disomogenea, con Regioni in surplus (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio) e Regioni in grave deficit (Piemonte, Toscana, Campania, Sicilia).
A distanza di circa 20 anni dalla legge n. 39/1999, che ha stanziato 206 milioni di euro per la costruzione degli hospice e l’organizzazione delle reti assistenziali, risulta utilizzato dalle Regioni il 94 per cento delle risorse.
Nel triennio dal 2015 al 2017, l’andamento percentuale della durata dei tempi di attesa tra la ricezione della ricetta del medico curante e la presa in carico del paziente in hospice conferma percentuali elevate di ricoveri con tempi di attesa inferiori ai 2 giorni, seguite da quelle dei ricoveri con tempi di attesa da 4 a 7 giorni.
Nel 2017, il numero totale di pazienti assistiti a domicilio ha raggiunto le 40.849 unità. Rispetto all’anno 2014 si registra un aumento del numero totale di pazienti assistiti pari al 32,19% per un totale di 326 mila giornate di cure palliative erogate a domicilio. Nonostante l’incremento rilevante, il numero di giornate di cure palliative erogate a domicilio resta assai distante dallo standard individuato dal DM n. 43 del 2007.
Ad oggi, l’unica informazione significativa sulla terapia del dolore attiene al consumo territoriale di farmaci oppioidi, che ammonta nel 2017 a più di 16 miliardi di dosi, 1,6% in più rispetto al 2016.
Traguardi
I principali traguardi raggiunti in questi anni sono:

la definizione degli adempimenti regionali per l’accreditamento delle strutture sanitarie di cure palliative (Intesa Stato-Regioni del 15 febbraio 2015);
il riconoscimento dell’esperienza triennale in cure palliative per i medici non in possesso di specializzazione, ai fini della certificazione professionale (decreto ministeriale del 4 giugno 2015), e l’aggiornamento dei LEA per quanto concerne le cure palliative, descritte nei diversi setting assistenziali (domicilio, hospice, ospedale) in cinque diversi articoli del DPCM 12 gennaio 2017 di aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Criticità
Le criticità evidenziate nel rapporto riguardano lo sviluppo ancora molto disomogeneo delle reti locali di cure palliative e l’adozione di modelli organizzativi e percorsi assistenziali di presa in carico del paziente difformi tra le diverse Regioni; anche l’offerta formativa in cure palliative per gli operatori sanitari è ancora insufficiente e particolarmente critica risulta la situazione delle Reti di cure palliative e terapia del dolore pediatriche.

Flussi informativi
Il rapporto descrive l’attività svolta dal SSN negli anni 2015-2017, rilevata attraverso i flussi informativi nazionali (assistenza domiciliare – SIAD; assistenza residenziale – hospice; assistenza ospedaliera – SDO), e in particolare:

l’andamento dei decessi in ospedale, a domicilio e in hospice;
l’offerta di assistenza in hospice (numero di strutture e posti letto, n. pazienti ricoverati);
la durata dei ricoveri in hospice;
la provenienza dei pazienti ricoverati in hospice e i tempi di attesa;
le principali prestazioni erogate in hospice;
l’offerta di cure palliative domiciliari;
la durata delle cure domiciliari;
gli accessi di operatori al domicilio.
Sintesi dei lavori del Comitato tecnico sanitario
Gli ultimi capitoli offrono un resoconto del lavoro svolto dalla Sezione O del Comitato tecnico sanitario e illustrano, in particolare, i documenti elaborati dalla Sezione in tema di accreditamento delle Reti di cure palliative e terapia del dolore e di proposta di modifica degli ordinamenti didattici universitari per i medici, gli psicologi e le altre professionalità sanitarie coinvolte.
fonte http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3622
Consulta: Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010

LEGGE DI BILANCIO 2019 FINANZIAMENTI NEL SETTORE SANITARIO

Pubblicata lo scorso 31 dicembre in Gazzetta ufficiale la Legge 30 dicembre 2018, n. 145, Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 (Supplemento ordinario n. 62).

Soddisfazione del ministro Grillo

Il ministro Grillo in un post subito dopo l’approvazione definitiva del Parlamento ha espresso la propria soddisfazione perché la manovra “contiene molte novità importanti per la sanità, che porteranno servizi migliori per i cittadini” a cominciare “dall’impegno per trovare adeguate risorse per affrontare con decisione il difficile tema delle liste d'attesa. Ma non solo. Il fabbisogno sanitario nazionale crescerà nei prossimi tre anni di 4,5 miliardi e abbiamo previsto la definizione di nuovo e pragmatico Patto della Salute in collaborazione con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Voglio sottolineare anche i 4 miliardi di euro in più per attuare un vero e proprio Piano Marshall per l'edilizia sanitaria. Infine, una considerazione per la farmaceutica e i dispositivi medici: rispetto a questi ultimi, abbiamo implementato alcuni provvedimenti per rendere effettivi e obbligatori i registri di sorveglianza sanitaria; sulla farmaceutica, grazie anche al lavoro del tavolo della Governance, sono presenti nella Legge di Bilancio norme per l'adeguamento del sistema di definizione dei prezzi - fermo al 2001 - nonché per l'aggiornamento dinamico del prontuario farmaceutico nazionale. Meritano infine una nota a parte i commi relativi alle disposizioni in materia di limiti per la spesa farmaceutica.”

I principali finanziamenti

  • 350 milioni in tre anni per la riduzione delle liste di attesa; 150 milioni di euro per l’anno 2019 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 (commi 510-511-512)
  • 4,5 miliardi per il fabbisogno sanitario nazionale in tre anni. Per l’anno 2019, il livello del finanziamento è determinato in 114 miliardi e 451 milioni di euro, incrementato di 2 miliardi per l’anno 2020 e di ulteriori 1,5 miliardi per l’anno 2021. Per gli anni 2020 e 2021, l’accesso delle regioni all’incremento del livello del finanziamento è subordinato alla stipula, entro il 31 marzo 2019, del nuovo Patto per la salute (commi 514-516)
  • 4 miliardi di euro in più per ammodernare e ristrutturare gli ospedali. Il fondo dedicato passa da 24 a 28 miliardi (comma 555)
  • 10 milioni  per incrementare le borse di studio in medicina generale (comma 518)
  • 22,5 milioni di euro per l’anno 2019 per i contratti di formazione specialistica dei medici, che aumentano a 45 milioni di euro per l’anno 2020, 68,4 milioni di euro per l’anno 2021, 91,8 milioni di euro per l’anno 2022 e 100 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023 (comma 521). Inoltre (commi 547-548) i medici in formazione specialistica iscritti all’ultimo anno del relativo corso sono ammessi ai concorsi per la dirigenza sanitaria (commi 547-548)
  • 5 milioni di euro per gli IRCCS della Rete oncologica impegnati nello sviluppo delle nuove tecnologie antitumorali CAR-T (comma 523)
  • 5 milioni di euro per gli IRCCS della Rete cardiovascolare impegnati nei programmi di prevenzione primaria cardiovascolare (comma 523)
  • 25 milioni di Euro in tre anni per l’adroterapia, terapia innovativa per la cura dei tumori, 5 mln per il 2019 e 10 mln per ciascuno degli anni 2020 e 2021 a favore del Centro nazionale di adroterapia oncologica - Cnao (comma 559).
  •  fonte Ministero della salute http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3584

06/12/2018 - Delibera di pubblicazione del "Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario"

La Commissione nazionale per la formazione continua, nel corso della riunione del 25 ottobre 2018, ha approvato il "Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario", disponendone la pubblicazione sul sito AGENAS e l'entrata in vigore a far data dal 1° gennaio 2019.

http://ape.agenas.it/comunicati/comunicati.aspx?ID=128

Infezioni causate da Mycobacterium Chimaera in pazienti sottoposti a interventi chirurgici a “cuore aperto” con sistemi di riscaldamento - raffreddamento, raccomandazioni per operatori

Di seguito dati e raccomandazioni della Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero della Salute sulle infezioni causate da Mycobacterium Chimaera in pazienti sottoposti a interventi chirurgici a “cuore aperto”.

I sistemi di riscaldamento/raffreddamento (HCU) 

Le unità di riscaldamento/raffreddamento (Heater Cooler Unit - HCU) sono dispositivi medici di classe IIb, utilizzati durante interventi di cardiochirurgia toracica in cui il riscaldamento/raffreddamento del paziente risulta parte della procedura chirurgica. Tali dispositivi sono composti da serbatoi che forniscono l'acqua a temperatura controllata a scambiatori di calore e a coperte di riscaldamento/raffreddamento, attraverso circuiti dell'acqua chiusi. Tali attrezzature si utilizzano in tutto il mondo da molti anni.

La situazione in Italia e nel mondo

  • Dal 2011 ad oggi sono stati rilevati diversi casi di infezioni cardiovascolari invasive da Mycobacterium Chimaera(MC) in pazienti sottoposti a intervento chirurgico a cuore aperto in diversi Paesi europei fra cui Francia, Germania, Irlanda, Olanda, Spagna, Regno Unito e Svizzera, nonchè negli Stati Uniti, Canada, Australia, Hong-Kong.
  • In Italia la prima segnalazione di paziente infettato da MC è pervenuta solo a fine giugno 2018.
  • Il numero di dispositivi HCU in uso nel mondo è stimato in 11.000 unità, in particolare 6.700 i dispositi della Livanova, di cui solo 218 in Italia.
  • Il numero di procedure di circolazione extra-corporea eseguite ogni anno nel mondo è di oltre 1.500.000 di cui 40.000 in Italia.
  • Il numero di eventi avversi, ad oggi notificati, è di 185 nel mondo, dei quali 10 in Italia.

Le misure di controllo

Si tratta di infezioni ospedaliere in pazienti che possono sviluppare sintomi o segni di infezione mesi o anni dopo la prima esposizione al micobatterio. E’ purtroppo noto che ogni anno in Italia si verificano 450.000/700.000 casi di infezioni in pazienti ricoverati in ospedale per molteplici cause ( non correlate al MC) e la decontaminazione non corretta è una tra le principali cause del fenomeno.

I dispositivi HCU non sono stati ritirati in nessun Paese del mondo perché il ritiro dei macchinari e la sostituzione degli stessi non risolverebbe il problema delle infezioni ospedaliere, che sono correlate alla criticità delle corrette procedure di decontaminazione da parte delle strutture sanitarie, poiché la contaminazione può verificarsi in qualunque momento (nel sito produttivo, in fase di preparazione della macchina prima di un intervento, durante il periodo di stazionamento della macchina in ospedale tra un intervento e l’altro ecc.). Pertanto, solo la procedura di decontaminazione correttamente eseguita in ambiente ospedaliero può ridurre al minimo il rischio di contaminazione.

Di conseguenza, solo la rigorosa adozione in ospedale delle istruzioni sulle procedure di decontaminazione emanate dal fabbricante e raccomandate dalla task force europea è in grado di minimizzare il rischio di infezioni ospedaliere.

Nel 2015, nell’ambito del gruppo di esperti di vigilanza delle autorità competenti, istituito presso la Commissione UE, si è costituita una apposita Task Force che ha approfondito la problematica e collaborato con gli altri stati membri al fine di individuare le azioni correttive più appropriate. L’Italia ha seguito ogni passo della Task Force ed in Italia sono state eseguite le stesse azioni correttive degli altri stati membri.

Il problema è legato al MC, microrganismo ubiquitario presente soprattutto nell’acqua potabile, generalmente non pericoloso per la salute umana ma presente ovunque e diffuso in natura.
Poiché il MC è stato isolato nei dispositivi di riscaldamento/raffreddamento (HCU), utilizzati negli interventi a cuore aperto per la gestione della circolazione sanguigna extracorporea, e anche nei campioni d’aria della sala operatoria dove questi dispositivi erano utilizzati, si ritiene che una delle principali fonti di contaminazione sia l’aerosol dell’acqua contenuta nei serbatoi dei dispositivi che fuoriesce dalle griglie di aereazione diffondendosi nella sala operatoria.

Infatti, qualora le procedure di disinfezione e di manutenzione dei dispositivi di riscaldamento/raffreddamento non siano eseguite ogni volta scrupolosamente è nota la possibilità che i batteri proliferino all’interno dei serbatoi dell’acqua creando un bio-film. Questo bio-film offre ai batteri, compresi i micobatteri, un ambiente idoneo per la colonizzazione con conseguente possibilità di diffusione sotto forma di aerosol quando il dispositivo è funzionante.

Nel 2017, comunque un cambio di design del dispositivo ha ulteriormente ridotto la possibilità di fuoriuscita di acqua sotto forma di aerosol.

Un altro potenziale rischio di contaminazione, è la trasmissione della contaminazione attraverso i membri dello staff clinico durante la gestione dell’assistenza circolatoria extracorporea.

Nel 2015 l'ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ha diffuso in tutta Europa un Rapid Risk Assessment a tutti gli specialisti e Medici di medicina generale sulle infezioni associate a questa tipologia di attrezzature.

L'ECDC ha diffuso proprio un protocollo specifico per la identificazione dei casi con test di laboratorio e test ambientali, indicando la metodologia del test ambientale. A fine 2016 un altro Rapid Risk Assessment dell’ECDC europeo è stato emanato con nuove misure preventive come la collocazione dei macchinari fuori dalla sala operatoria.

Infine l’Health Security Committee composto da esperti della Commissione Europea ha emanato un comunicato per favorire lo scambio di informazioni tra gli Stati Membri, per implementare le misure di controllo in tutta Europa e coordinare le autorità europee nell’eventualità d’identificazione di nuovi casi.

Avvisi di sicurezza

I fabbricanti di dispositivi di riscaldamento/raffreddamento Sorin Group Deutschland GMBH appartenente alla Holding Livanova, e Maquet Getinge Group, hanno emanato diversi avvisi di sicurezza riguardanti la modifica delle Informazioni di utilizzo (IFU) e raccomandazioni per la corretta gestione delle procedure di pulizia e disinfezione da parte degli operatori sanitari.

Il Ministero della salute vigila costantemente e armonizza le proprie azioni con quelle degli altri Stati membri e in linea con quanto definito anche dalla FDA americana, tramite teleconferenze di aggiornamento continue.

La tematica relativa al MC è stata anche portata all’attenzione del Comitato Tecnico Scientifico - Sezione dispositivi medici e gli avvisi di sicurezza sono stati regolarmente pubblicati sul sito del Ministero:

Il fabbricante, con l’Avviso di sicurezza dell’11 novembre 2016 (ricevuto il 1 dicembre 2016) ha inoltre raccomandato agli operatori sanitari:

  1. I dispositivi di riscaldamento/raffreddamento per i quali sussiste il sospetto o la certezza di contaminazione da MC a devono essere rimossi dalla sala operatoria o, se fattibile, dal servizio, non appena possibile.

  2. Per le strutture dotate di dispositivi per i quali non sono state accertate eventuali contaminazioni da MC:

    • Osservare le Istruzioni per l’uso dei dispositivi di riscaldamento/raffreddamento, in particolare quelle relative alla pulizia e alla disinfezione.
    • Se attuabile nella sala operatoria a propria disposizione, dirigere o incanalare lo scarico del dispositivo di riscaldamento/raffreddamento lontano dal paziente, ad es. verso la bocchetta di scarico della sala operatoria secondo l’Avviso di sicurezza sul campo “Rischi da micobatteri in cardiochirurgia”.
    • Eseguire un monitoraggio della qualità dell’acqua secondo l’Avviso di sicurezza sul campo “Rischi da micobatteri in cardiochirurgia”.
    • Utilizzare accessori, tubi e connettori  nuovi per evitare una ricontaminazione in caso di impiego di un dispositivo di riscaldamento/raffreddamento diverso.

Raccomandazioni per i centri utilizzatori dei dispositivi HCU

Il ministero della Salute sottolinea l’importanza per i centri utilizzatori dei dispositivi HCU di seguire rigorosamente le istruzioni per l’uso fornite dai fabbricanti e in particolare raccomanda di seguire le indicazioni relative alla pulizia e alla decontaminazione dei dispositivi in questione.

Inoltre, come misura precauzionale, i dispositivi HCU dovrebbero essere collocati lontano quanto più possibile dal campo operatorio o comunque, posizionati in modo da indirizzare il flusso di uscita delle ventole lontano dal campo chirurgico e vicino al sistema di aspirazione della sala operatoria. A tal proposito si invitano i centri utilizzatori a richiedere la collaborazione del fabbricante per il corretto posizionamento del dispositivo rispetto alle differenti caratteristiche delle sale operatorie.

Al fine di minimizzare il rischio di proliferazione batterica e la conseguente infezione del paziente, è indispensabile che le strutture sanitarie stabiliscano un programma di regolari procedure di pulizia e di mantenimento della disinfezione nonché di monitoraggio dell’acqua utilizzata e dell’aria della sala operatoria, in accordo alle indicazioni fornite dal fabbricante. Questo può includere anche procedure scritte per monitorare l’aderenza al programma in accordo con la versione aggiornata delle IFU (fogli di istruzione) documentando tutti i procedimenti previsti prima e dopo l’utilizzo del dispositivo.

Poiché sono state riviste le procedure di disinfezione e decontaminazione è necessario anche verificare con i fabbricanti la compatibilità degli accessori, in particolare gli ossigenatori, e del materiale consumabile utilizzati assieme al dispositivo.

Data la difficoltà di rilevazione dei casi di infezione da Mycobacterium Chimaera a causa della possibilità per i pazienti di non sviluppare sintomi o segni di infezione per mesi o anni successivamente alla prima esposizione al micobatterio, la Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del Ministero sta continuando ad analizzare assieme alle altre Autorità competenti europee, i diversi aspetti del rischio potenziale di tale infezione. In particolare il ministero intende dare risalto e promuovere l’adesione ad un protocollo elaborato dall’ECDC (Centro europeo per la prevenzione delle malattie): EU protocol for case detection, laboratory diagnosis and environmental testing ofMycobacterium chimaera infections potentially associated with heater-cooler units: case definition and environmental testingmethodology disponibile sul sito dell'ECDC.

Raccomandazione per i medici

I medici di medicina generale e gli specialisti cardiologi, pneumologi, reumatologi, infettivologi, oculisti, ematologi che hanno in carico pazienti nell’arco della cui storia clinica risultino interventi chirurgici a cuore aperto o di bypass cardiopolmonare, così come di trapianto di cuore o di polmoni, devono prestare particolare attenzione ai casi di endocarditi o di altre infezioni dall’origine non identificate perché queste ultime potrebbero  essere potenzialmente correlate al MC.

Qualora si sospetti una contaminazione dei dispositivi HTU da MC o eventuali infezioni di pazienti, si richiede di informare tempestivamente la Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico – Ufficio 5 secondo quanto previsto dall’ art. 9, D.Lgs.46/97 tramite la compilazione del modulo online disponibile alla pagina del sito Sistema di segnalazione per i dispositivi medici.

Infine, si invitano gli operatori sanitari interessati a visitare periodicamente il sito per successivi aggiornamenti.

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3556

Cina: "Creati primi esseri umani con Dna modificato"

Uno scienziato cinese sostiene di aver creato i primi esseri umani geneticamente modificati al mondo. Si tratterebbe di due gemelle nate lo scorso mese, il cui DNA sarebbe stato modificato con un 'nuovo potente strumento’ in grado di riscrivere il codice genetico. Un collega statunitense asserisce di aver preso parte al lavoro in Cina, dove ha utilizzato una tecnica di genoma-editing vietata negli Stati Uniti.

I cambiamenti del DNA possono passare alle generazioni future e rischiano di danneggiare altri geni.

 Se fosse vero, si tratterebbe di un profondo salto sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista etico. Molti scienziati pensano che sia troppo pericoloso tentare e alcuni hanno denunciato la relazione cinese come sperimentazione umana. Alterati gli embrioni di 7 coppie, una gravidanza a termine Il ricercatore He Jiankui, di Shenzhen, ha dichiarato di aver alterato gli embrioni di sette coppie durante i trattamenti di fertilità, con una gravidanza giunta a termine.

Il suo obiettivo, ha ammesso, non era quello di curare o prevenire una malattia ereditaria, ma di provare a conferire un tratto che poche persone hanno naturalmente – una capacità di resistere alle possibili future infezioni da HIV, il virus dell'AIDS. Ha detto che i genitori coinvolti hanno rifiutato di essere identificati o intervistati, e non ha voluto dire dove vivono o dove è stato svolto il lavoro. 

L'esperimento è descritto in un documento della Southern University of Science and Technology della città cinese di Shenzhen. Nel documento, reso noto dalla rivista del Massachusetts Institute of Tecnology (Mit),Technology Review, si legge che l'esperimento è stato condotto con il consenso del comitato etico.

Ricadute scientifiche dalla portata"incalcolabile" e degne del premio Nobel per la cura delle malattie ereditarie: così il gruppo di ricerca del laboratorio Southern University of Science and Technology di Shenzhen, diretto da Jiankui He, ha scritto in un secondo documento, nel quale chiede al comitato etico dell'università l'autorizzazione a condurre su embrioni umani l'esperimento nel quale si modifica il Dna con la tecnica della Crispr. 

Nel documento i ricercatori sottolineano che "alla luce della crescente competizione internazionale relativa alle applicazioni della tecnologia dell'editing del Dna", il loro risultato "andrà oltre rispetto a quello che nel 2010 ha portato al Nobel la tecnica della fecondazione in vitro". Nel documento si legge inoltre che la ricerca pionieristica nel campo della medicina "porterà all'alba di cure dal valore incalcolabile contro le più importanti malattie ereditarie". Church: modifica 

La modifica del Dna non era riuscita in uno degli embrioni ottenuti nella Southern University of Science and Technology di Shenzhen, ma i ricercatori hanno deciso comunque di impiantarlo. Sapevano già che non erano state alterate entrambe le copie del gene. "Almeno una delle gemelle sembra essere un patchwork di cellule", ha commentato il genetista americano George Church, dell'università di Harvard. - fonte See more at:

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/cina-creati-primi-esseri-umani-con-dna-modificato-4413fdc6-347f-4d0d-b53d-84fd8b36ab5b.html

ECM TEMATICHE SPECIALI DI INTERESSE NAZIONALE

06/11/2018 - Tematiche di interesse nazionaleLa Commissione nazionale per la formazione continua, nel corso della riunione del 27 settembre u.s. ha adottato una delibera  nella quale ha ritenuto, su specifica richiesta del Ministero della salute, di inserire tra le tematiche speciali di interesse nazionale la antimicrobico resistenza.fonte http://ape.agenas.it/comunicati/comunicati.aspx?ID=123

FORMAZIONE SPECIALISTICA DEI MEDICI

MINISTERO DELLA SALUTE  

DECRETO 9 agosto 2018  pubblicato nella G. U  Serie generale - n. 255 del 02-11-2018 avente ad oggetto Determinazione del numero globale dei medici specialisti da formare per il triennio 2017-2020 ed assegnazione dei contratti di formazione medica specialistica alle tipologie di specializzazioni per l’anno accademico 2017-2018. 

Il decreto stabilisce che per il triennio accademico 2017/2020, tenuto conto di quanto sancito nell’Accordo tra Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 21 giugno 2018,  il fabbisogno dei medici specialisti da formare è determinato in 8.569 unità per l’a.a. 2017/2018, in 8.523 unità per l’a.a. 2018/2019 e in 8.604 unità per l’a.a. 2019/2020, così come indicato nelle allegate tabelle 1, 2 e 3, parte integrante del decreto.  Per l’anno accademico 2017/2018, il numero dei contratti di formazione specialistica a carico dello Stato è fissato in 6.200 unità per il primo anno di corso, ed è determinato per ciascuna tipologia di specializzazione secondo quanto indicato nella allegata tabella 4, parte integrante del decreto

Protocollo operativo InfluNet

Lunedì 15 ottobre 2018 (42a settimana del 2018) parte la raccolta delle segnalazioni dei casi di sindrome simil influenzale –ILI-, che terminerà domenica 28 aprile 2019 (17asettimana del 2019), salvo ulteriori comunicazioni legate alla situazione epidemiologica nazionale.

Il protocollo InfluNet per la stagione 2018-2019 non prevede novità sostanziali rispetto alla precedente stagione influenzale.

Il sistema di sorveglianza InfluNet si basa su una rete di medici sentinella costituita da medici di Medicina Generale (MMG) e di Pediatri di Libera scelta (PLS), reclutati dalle Regioni, che segnalano i casi di sindrome simil influenzale (ILI) osservati tra i loro assistiti. I medici sentinella ed altri medici operanti nel territorio e negli ospedali collaborano inoltre alla raccolta di campioni biologici per l’identificazione di virus circolanti.

La raccolta e l’elaborazione delle segnalazioni di malattia è effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che provvede all’elaborazione a livello nazionale e produce un rapporto settimanale che viene pubblicato sul sito Internet del Ministero della Salute.

Le indagini virologiche sui campioni biologici raccolti vengono eseguite dai Laboratori facenti parte della Rete InfluNet e dal Centro Nazionale per l’Influenza (NIC) dell’ISS. Il NIC provvede all’elaborazione dei dati virologici a livello nazionale e produce un rapporto settimanale, che viene pubblicato sul sito internet del Ministero della Salute.

Il NIC fa parte della rete internazionale dei laboratori coordinati dall’OMS e della rete europea coordinata dal Centro Europeo di Prevenzione e Controllo delle Malattie (ECDC).

L’ISS e il NIC provvedono all’invio settimanale sia dei dati epidemiologici all’ECDC che dei dati virologici all’OMS e all’ECDC.

Presso il Ministero della Salute è costituito il centro per il ritorno delle informazioni, sull’andamento nazionale dell’influenza, tramite stampa e mezzi informatici, dirette a: operatori, utenti e ai sistemi di sorveglianza europei ed internazionali.

La stretta collaborazione tra tutte le componenti citate, a partire dai medici sentinella, si è dimostrata essenziale nel passato per il monitoraggio stagionale delle ILI.( Fonte Ministero della salute) 

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3503

Ministero della Salute comunicato sul test per l’accesso al corso di formazione in Medicina generale

Ministero della Salute Comunicato n. 70 Data del comunicato 28 settembre 2018

Medicina Generale, Giulia Grillo: “Record 2.093 borse grazie al nostro impegno, test fissato al 17 dicembre. Così si aiutano i giovani medici, così si dà futuro alla sanità”

“Posso finalmente dirlo ufficialmente, il nuovo test per l’accesso al corso di formazione in Medicina generale si svolgerà il prossimo 17 dicembre. Ben 2.093 giovani medici avranno la possibilità di completare il proprio percorso formativo, un numero record di posti reso possibile grazie allo sblocco di 840 borse aggiuntive a quelle già previste. Per farlo il ministero della Salute, in accordo con le Regioni, ha materialmente allocato 40 milioni del Fondo sanitario per coprire questi posti aggiuntivi. Sono certa di poter affermare che queste risorse non rappresentino un costo per la sanità pubblica, ma un investimento sul futuro. La formazione post laurea dei medici è rimasta per troppo tempo ingabbiata. Il cosiddetto “imbuto formativo” per i medici specialisti e per i medici di famiglia deve finire. Questo è un primo passo concreto, stiamo finalizzando un provvedimento per dare fiato alle specializzazioni mediche. La sanità pubblica avrà un domani se i giovani saranno sostenuti nella loro volontà di fare i medici e di farlo in Italia. Tutto cambia, se si ha voglia di farlo”.

Giulia Grillo, ministro della Salute

http://www.salute.gov.it/portale/news/

p3_2_4_1_1.jsplingua=italiano&menu=salastampa&p

=comunicatistampa&id=5084

PREMIO NOBEL MEDICINA 2018

Il Premio Nobel per la Medicina 2018 è stato assegnato a James P. Allison e a Tasuku Honjo e sono stati premiati per le ricerche sul freno naturale che riesce a bloccare l'avanzata dei tumori, sulle quali si basa l'immunoterapia.

Stimolando la capacità del nostro sistema immunitario di attaccare le cellule tumorali, i vincitori del premio Nobel di quest'anno hanno stabilito un principio completamente nuovo per la terapia del cancro"

 In particolare due studiosi "hanno capito che si può stimolare il sistema immunitario per attaccare le cellule tumorali, un meccanismo di terapia assolutamente nuovo nella lotta a un tipo di malattia che uccide ogni anno milioni di persone e che costituisce una delle più gravi minacce alla salute dell'umanità"

Allison ha studiato una proteina che funziona come freno al sistema immunitario, ha capito il potenziale per liberare le cellule che attaccano i tumori.

Il giapponese Honjo ha lavorato alla stessa tecnica, ma con un differente sistema d'azione. Le terapie dei due studiosi hanno rivelato una sorprendente efficacia nella lotta al cancro.

PROTESI ROBOTICHE E REALTÀ VIRTUALE LO STUDIO CHE PERMETTE AL CERVELLO UMANO DI PERCEPIRE COME PROPRIA LA MANO ARTIFICIALE

Realtà virtuale e stimoli sensoriali insieme per dimostrare come un amputato possa finalmente percepire come sua una protesi di mano.

Sulla rivista Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry è stato pubblicato il paper “Multisensory bionic limb to achieve prosthesis embodiment and reduce distorted phantom limb perceptions,” frutto di un lavoro condotto da EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne) e che vede la collaborazione dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, con il gruppo di ricerca coordinato da Silvestro Micera.
Lo studio nasce dai test, effettuati su due pazienti presso il Policlinico Gemelli di Roma, che hanno verificato come, attraverso la combinazione di sensazioni tattili artificiali e realtà virtuale, il cervello umano sia in grado di sentire la protesi di mano come se appartenesse al proprio corpo. L'idea alla base dello studio parta da una constazione: molti pazienti amputati rifiutano l’uso prolungato di una protesi perché la percepiscono come qualcosa di estraneo al proprio corpo. Ciò è dovuto particolarmente al fatto che la protesi non restituisce feedback sensoriali, quindi manca del tutto la corrispondenza tra stimoli visivi (l’amputato che vede la protesi toccare un oggetto) e stimoli sensoriali. Da qui l'utilizzo in modo simultaneo di sensazioni indotte dalla vista e dal tatto quando si vede e si prende un oggetto, in modo che il cervello del paziente amputato finisca per sentire la protesi in modo del tutto naturale. I ricercatori hanno stimolato con il tatto un nervo periferico della parte amputata per trasmettere l’informazione tattile; nello stesso momento ai due pazienti coinvolti nei test sono stati fatti indossare degli occhiali da realtà virtuale, che mostravano il dito della mano della protesi che si illuminava quando c'era uno stimolo tattile.
“I due pazienti – spiega Silvestro Micera, docente di EPFL e dell’Istituto di BioRobotica - non solo hanno sentito la protesi proprio come se fosse la loro 'vecchia' mano, ma hanno percepito anche il loro braccio per intero, e non ristretto come accade di solito a chi viene amputata mano”.
Lo studio può avere un impatto clinico molto importante sulla riabilitazione e la terapia delle persone con amputazione di arti.
"Il cervello utilizza regolarmente i sensi per valutare ciò che appartiene al corpo e ciò che invece è esterno – commenta Giulio Rognini di EPFL, prima firma del paper – Abbiamo mostrato come vista e tatto possano essere combinati per ‘ingannare’ la sensazione di una persona: lo stimolo visivo combinato allo stimolo tattile supera il limite delle protesi tradizionali e apre nuovi scenari in cui i pazienti amputati, in un futuro, possono sentire in modo del tutto la naturale la protesi”.
fonte https://www.santannapisa.it/it/news/protesi-robotiche-e-realta-virtuale-dalla-collaborazione-tra-epfl-e-istituto-di-biorobotica

Vaccinazioni raccomandate per le donne in età fertile e in gravidanza. Circolare del ministero della Salute 7 agosto 2018.

Il ministero della Salute nel ribadire l’importanza delle vaccinazioni come strumento di prevenzione da gravi patologie infettive in ogni fase della vita, ha emanato la circolare 7 agosto 2018 per la promozione della salute femminile in età fertile, in previsione e durante la gravidanza con l'obiettivo di proteggere la donna e il nascituro da alcune malattie attraverso specifici vaccini. Per un’informazione più completa sono riportate anche le vaccinazioni che non possono essere fatte in gravidanza.

Ecco una sintesi delle indicazioni.

Vaccinazioni in età fertile
Alcune malattie possono incidere negativamente sulla fertilità o avere conseguenze sull’esito di una gravidanza. Di conseguenza, per le donne in età fertile sono indicate, se non già immuni, le vaccinazioni contro morbillo, parotite, rosolia, varicella e papilloma virus (HPV). Di grande importanza è anche il richiamo decennale della vaccinazione contro difterite, tetano e pertosse.

Vaccinazioni in previsione di una gravidanza
In previsione di una gravidanza, è necessario che le donne siano protette nei confronti di morbillo-parotite-rosolia (MPR) e della varicella, dato l’elevato rischio, per il nascituro, derivanti dall’infezioni materna durante la gravidanza, specie se si verifica nelle prime settimane di gestazione.
Per la varicella contratta nell’immediato periodo pre-parto, il rischio, oltre che per il nascituro, può essere molto grave anche per la madre.
Poiché sia il vaccino MPR che quello della varicella sono controindicati in gravidanza, è necessario che, al momento dell’inizio della gravidanza, la donna sia già vaccinata regolarmente (con due dosi) da almeno un mese.

Vaccinazioni in gravidanza
Nel corso della gravidanza sono raccomandate le vaccinazioni contro difterite, tetano, pertosse (dTpa) e influenza (se la gestazione si verifica nel corso di una stagione influenzale), che devono essere ripetute ad ogni gravidanza.
Di grande rilievo è la vaccinazione dTpa da effettuare ad ogni gravidanza, anche se la donna sia già stata vaccinata o sia in regola con i richiami decennali o abbia avuto la pertosse. Infatti, la pertosse contratta dal neonato nei primi mesi di vita può essere molto grave o persino mortale e la fonte di infezione è frequentemente la madre.Il periodo raccomandato per effettuare la vaccinazione è il terzo trimestre di gravidanza, idealmente intorno alla 28a settimana, al fine di consentire alla gestante la produzione di anticorpi sufficienti e il conseguente passaggio transplacentare. Il vaccino dTpa si è dimostrato sicuro sia per la donna in gravidanza sia per il feto.
La vaccinazione anti-influenzale è raccomandata e offerta gratuitamente alle donne che all’inizio della stagione epidemica dell’influenza si trovino nel secondo o terzo trimestre di gravidanza.

I vaccini controindicati in gravidanza
I vaccini contro MPR e varicella, contenendo vaccini a virus vivi attenuati, non possono essere somministrati in gravidanza, sebbene l’effettuazione accidentale della vaccinazione in donne che non sapevano di essere in gravidanza non ha mai fatto registrare un aumento di aborti o malformazioni. È, inoltre, opportuno che le donne che intendono programmare una gravidanza siano informate della necessità di posticiparla di un mese dopo la vaccinazione. Si sottolinea che l’esposizione accidentale della donna in gravidanza alla vaccinazione o l’inizio di una gravidanza entro le quattro settimane successive alla vaccinazione non rappresentano indicazioni all’interruzione volontaria di gravidanza. Nel caso una donna non risulti immune, è importante che sia vaccinata prima della dimissione dal reparto di maternità o, comunque, le sia fissato un appuntamento presso il servizio vaccinale nel periodo immediatamente successivo al parto.
Anche la vaccinazione anti-HPV non è attualmente consigliata durante la gravidanza, poiché non sono stati effettuati studi specifici sull’impiego del vaccino in donne gravide. L’eventuale somministrazione accidentale in gravidanza non comporta comunque l’indicazione all’interruzione volontaria della stessa, mentre la vaccinazione dovrà essere sospesa e le successive dosi rimandate sino al completamento della gravidanza.
http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3448

Il Ministro Grillo presenta le linee programmatiche del Ministero della Salute

Il ministro della Salute Giulia Grillo ha presentato oggi alle Commissioni riunite Affari sociali di Camera e Senato le linee programmatiche del ministero della Salute.

Di seguito il testo del discorso del ministro:

Colleghe e colleghi,

i cinque anni della passata Legislatura che ho affrontato dai banchi della commissione che si occupa di Sanità, come voi oggi, mi hanno insegnato tanto. Una cosa, forse, soprattutto: la centralità del Parlamento. Del raccordo saldo, costante e trasparente che deve esserci tra Esecutivo e Legislativo. Nei ruoli reciproci, naturalmente. Nel solco di quanto tracciato dalla Costituzione. Ecco, questi aspetti, questo modo di lavorare, di scambio continuo, di ascolto e di lavoro comune, pur nelle differenti posizioni politiche, sarà la “cifra” della mia attività governativa. Anche per evitare frettolose decisioni parlamentari, in passato non sempre dettate dall’urgenza, che hanno portato nel tempo a produrre una legislazione sanitaria a strati, costruendo una faticosa, e non raramente errata, produzione di leggi. La Sanità non ha bisogno di norme frettolose, che magari nel passato hanno nascosto tranelli, ed errori. Perché di interventi chiari e trasparenti, di aggiustamenti anche non piccoli, la Sanità pubblica ha bisogno. Avendo sempre la barra dritta verso un obiettivo: la centralità dei pazienti e i loro diritti costituzionalmente garantiti. Sempre e dappertutto.

Il 2018 è in un certo senso una data simbolica. Nell’anno in cui si celebrano i primi 40 anni dell’istituzione del nostro Servizio sanitario nazionale, non potevo certo iniziare questa mia relazione sulle linee programmatiche del Ministero, senza ricordare i principi che sin dal 1978 stanno alle fondamenta del sistema. Esempio e modello di civiltà da salvaguardare sempre e in ogni modo. Come dimenticare il Capo I della Legge 833 che, riprendendo la nostra Costituzione, sottolinea come sia compito della Repubblica tutelare la salute quale fondamentale diritto dell’individuo nell’interesse della collettività, indicando, già allora, come il nostro Servizio sanitario nazionale, nell'ambito delle sue competenze, debba perseguire il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese.

Ecco, proprio quest’ultimo si sta rivelando sempre più il problema di fondo che abbiamo da avanti che dobbiamo tutti insieme affrontare con energia e coraggio.

Oggi, a distanza di quattro decadi, purtroppo, non possiamo né dobbiamo nasconderci che chi si è alternato alla guida del Paese non è riuscito a tener fede alle norme che sovraintendono al nostro sistema. La situazione la conoscete anche meglio di me. Troppe le difformità tra una Regione e l’altra e tra una parte del Paese (il Nord) e l’altra (il Sud). Con il rischio, e tante volte la realtà, di avere da una parte una Sanità dei poveri, dall’altra dei ricchi. Oltre 5 milioni, ha appena stimato l’Istat, sono gli italiani in povertà assoluta, concentrati maggiormente nelle Regioni del Sud. Sono queste le fasce di popolazione che guardano con maggior speranza ad un reale e concreto universalismo perché loro, più di altri, rinviano o abbandonano le cure.

Ecco, la “questione Sud” purtroppo continua a restare attuale in tutta la sua gravità. Con le ricadute che tutti conosciamo per la popolazione in conseguenza della gestione e dell’organizzazione dei servizi. In territori, tra l’altro, in cui la malavita e le organizzazioni mafiose si infiltrano facilmente, lucrando sulla salute dei cittadini.

In queste prime settimane da ministro della Salute ho constatato di persona come troppo spesso le regole che il Parlamento approva, trovano, di fatto, una grande difficoltà nella loro reale applicazione. Gli esempi certo non mancano. Nel gennaio scorso, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono stati definiti e aggiornati i Livelli essenziali di assistenza: da allora, però, non sono state ancora definite le tariffe del nuovo Nomenclatore dell’assistenza specialistica ambulatoriale. Il problema è legato, poco banalmente, alle coperture finanziarie. E mentre, al momento, resta da definire una parte così importante per l’erogazione delle prestazioni a favore dei cittadini, la Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel SSN, ha già predisposto uno schema di decreto di aggiornamento la cui approvazione non comporterebbe maggiori oneri per il SSN. Insomma, occorre fare chiarezza.

Purtroppo quanto ho appena detto, non è un caso isolato. Il “Nuovo” Patto della salute 2014-2016 è scaduto da due anni; il Piano Nazionale di Governo delle liste di attesa è fermo al triennio 2010-2012 e situazioni analoghe le ho verificate anche in altri contesti. Nel caso dei vaccini, ad esempio, a distanza di un anno, non è stata creata l’Anagrafe Nazionale, fondamentale per un adeguato supporto alle famiglie e agli operatori del sistema. Riguardo i dispositivi medici per l’individuazione dei ripiani, in caso di sforamento dei tetti di spesa, come ricorda anche la Corte dei Conti nel suo Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica, risulta sempre meno comprensibile la mancata attuazione del decreto attuativo. Sempre in tema di sforamenti, ma questa volta per quanto riguarda la farmaceutica, c’è una partita aperta che si trascina da circa 5 anni e che potrebbe mettere a serio rischio i bilanci della sanità di non poche Regioni. Con gli effetti, in caso di disavanzi regionali, che tutti potete immaginare.

Sono tutte questioni urgenti. Tutti argomenti nella mia agenda come altri che andrò elencando a partire dalle liste d’attesa. Riguardo quest’ultime, tema molto sentito dai cittadini, mi preme fare una considerazione.

È mia ferma intenzione proseguire il lavoro iniziato con l’invio della circolare trasmessa alle Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano per conoscere la situazione reale delle cose. Da una prima valutazione dei dati a disposizione, ovviamente con i dovuti distinguo, si denota mediamente un forte sotto utilizzo dei processi di informatizzazione delle pronazioni. Tradotto, significa che ancora troppo spesso, ed in particolare per i ricoveri in fase di elezione, la gestione delle prestazioni avviene per via cartacea creando i presupposti e i rischi di forti distorsioni. Su questo aspetto l’impegno sarà massimo perché si tratta di una delle chiavi di volta per la corretta gestione delle liste d’attesa. Nei prossimi giorni, con tutti i numeri a disposizione, avremo la possibilità di fare una valutazione approfondita e implementare soluzioni per rendere più efficiente il sistema anche con il supporto di chi ha maturato buone pratiche in questi anni. Io su questo aspetto sarò al fianco dei cittadini, spesso proprio quelli più deboli, e posso già anticiparvi che al Ministero ci stiamo organizzando per creare un filo diretto di comunicazione con loro affinché tutti conoscano i loro diritti. Non sono temi che si risolvono solo a colpi di decreti, sono consapevole che occorre anche fare investimenti, ma capire come vengono utilizzate le risorse ha una fondamentale importanza.

Quanto riportato fino adesso, non vuol essere quello che si potrebbe definire un cahier de doléances, bensì una doverosa fotografia del contesto nel quale siano tutti noi chiamati ad operare perché è necessario conoscere per deliberare. Deliberare, aggiungo, per gli interessi di un buon SSN. Dunque dei cittadini e della garanzia di mettere a loro disposizione un servizio sempre più efficiente e solido.

Nei primi giorni del mio insediamento ho incontrato tutti gli assessori regionali alla sanità. Ricordo che compete allo Stato, alle Regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini, l'attuazione del Servizio sanitario nazionale. Da questo punto di vista intendo lavorare in stretta e piena collaborazione con i rappresentanti delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano. Per passare dalla teoria alla pratica, stiamo già lavorando di comune accordo per individuare, se possibile, una soluzione per il pay-back della farmaceutica per gli anni 2013/2015 e 2016, confronto che sta avvenendo già da un paio di settimane e che vede la collaborazione dei tecnici del Ministero della Salute, del MEF oltre che dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA). Contemporaneamente ho predisposto un tavolo per il governo della farmaceutica, altra disposizione di legge disattesa, e dei dispositivi medici. Anche in questo caso saranno protagoniste le Regioni e le Province autonome insieme ai Ministeri della Salute, dell’Economia e delle finanze e dello Sviluppo economico, oltre che alcuni esperti di chiara e comprovata capacità di livello internazionale. L’obiettivo è mettere ordine ad un sistema avendo come unico interesse quello dei cittadini.

Sempre in tema di ordine, nel settembre 2014 (Documento di sintesi del 25.9.2014) la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome aveva confermato la necessità di riordino delle Agenzie nazionali e dell'ISS. Lavoreremo anche in questa direzione per ridefinire le varie mission favorendo sinergie e collaborazioni a vario livello ma, soprattutto, evitando sovrapposizioni e ridondanze.

Il tema dei vaccini è uno dei punti del programma di Governo. Nel quale affermiamo che, pur con l’obiettivo di tutelare la salute individuale e collettiva, garantendo le necessarie coperture vaccinali, va affrontata la tematica del giusto equilibrio tra il diritto all’istruzione e il diritto alla salute, tutelando i bambini in età prescolare e scolare che potrebbero essere a rischio di esclusione sociale. In questa direzione sta lavorando la maggioranza con un disegno di legge parlamentare che supererà la “legge Lorenzin”. Nata, peraltro, come decreto legge e approvata di fretta e furia in due mesi la scorsa Legislatura. Intanto sto lavorando per la realizzazione dell’Anagrafe nazionale vaccini, il vero punto di svolta fin qui gravemente trascurato. E ho insediato un tavolo di esperti indipendenti a sostegno della pianificazione strategica in materia, per affrontare il fenomeno della diffidenza e del dissenso vaccinale, secondo le indicazioni internazionali a partire dall’Oms, e per aggiornare il Piano nazionale di prevenzione vaccinale. Voglio poi aggiungere, sempre in tema di vaccini, che altro pilastro decisivo sarà la comunicazione sulla necessità delle vaccinazioni. E sulla comunicazione il ministero si impegnerà con tutte le sue forze.

C’è poi un altro argomento che mi sta a cuore. Con il supporto delle Regioni, degli stakeholder del mondo della sanità ed il coinvolgimento dei cittadini, a partire dal mese di settembre, costituiremo gli Stati Generali per il benessere equo e sostenibile. Avrà il compito di elaborare un documento di programmazione, ma tengo a precisare che dovrà essere un provvedimento snello che tratterà molti dei diversi punti già toccati dal precedente Patto. Ma con una differenza: conterrà un cronoprogramma per la realizzazione di quanto previsto e una puntuale rappresentazione dello stato di avanzamento lavori attraverso il portale del Ministero della Salute. Spiegheremo agli italiani quanto sta avvenendo, in caso di errori, li correggeremo spiegandone le motivazioni. Come dice il detto: “chi fa può sbagliare, chi non fa non sbaglia mai”.

Quanto appena citato non può che collegarsi ad uno dei principi cardine dell’attività di un Ministero quale deve essere quello della Salute: la trasparenza. Nelle linee programmatiche del Ministro Lorenzin si faceva riferimento ad un Portale dedicato a ospitare, anche in lingua inglese, tutte le informazioni relative ai nostri servizi sanitari e agli ospedali e alle strutture di eccellenza presenti sul territorio nazionale. Sono trascorsi cinque anni invano, e adesso con gli uffici competenti del Ministero stiamo cercando di capire a che punto è il progetto, quanto finora è costato e quanto costerà.

La trasparenza, ho già accennato, dovrà guidare la mia azione di Governo. Nel frattempo, ho già dato mandato agli uffici di mettere a disposizione di tutti i cittadini i risultati dei monitoraggi dei LEA 2016 oltre che i verbali dei tavoli di monitoraggio e verifica riguardo i Livelli essenziali di assistenza e dei Piani di rientro per le Regioni ad essi sottoposti. Anche la mia agenda e quella dei sottosegretari saranno disponibili on line e visionabili da chiunque. In tema di trasparenza come non ricordare uno degli aspetti più rilevanti presenti nel contratto di governo: quello della dirigenza sanitaria. Al primo punto della sezione dedicata alla sanità, è previsto un intervento incisivo. Questo perché il provvedimento che ha portato alla formazione dell’elenco nazionale degli idonei all’incarico di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale - D.Lgs 4 agosto 2016, n. 171 “Attuazione della delega di cui all’art. 11, comma 1, lettera p) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria” - non è stato in grado di rispondere ai problemi di ingerenza della politica nelle scelte dei manager in sanità. A dimostrazione di ciò basti ricordare che in sede di lavori parlamentari venne presentata la relazione tecnica di accompagnamento al decreto. Ebbene, si stimava che i soggetti in possesso dei requisiti richiesti fossero in numero di poco superiore a 12.000 (875 organi di vertice degli enti pubblici del SSN a i quali si aggiungevano i direttori di struttura complessa 11.150). Dategli un'occhiata e capirete che, di fatto, nulla o poco è cambiato rispetto alla situazione precedente. Risolvere in tempi brevi un problema che si trascina da tanti anni non è cosa semplice, ma con gli uffici ed alcune persone tra le più competenti in materia stiamo al lavoro per adottare i giusti accorgimenti. Formazione e strumenti di valutazione omogenei e trasparenti sono in cima al nostro progetto di riforma senza mai dimenticare che dobbiamo concedere ai giovani di talento l'opportunità di contribuire al cambiamento. Anche in questo, la trasparenza sarà la migliore garanzia delle scelte e dell’individuazione di chi è realmente meritevole.

Giovani e cambiamento saranno motivi conduttori di questo mio mandato a partire dalla RIFORMA della formazione medica post laurea. In proposito dovremo individuare insieme a Regioni, Province autonome e MIUR nuovi percorsi omogenei, equi ed armonici per i nostri giovani.

Ovviamente non può esserci formazione senza personale. A tal proposito approfitto per ringraziare tutti coloro che a vario titolo lavorano all’interno del nostro Servizio sanitario Nazionale. Che, come gli assistiti, stanno scontando gli effetti del blocco del turn over, mentre l’età media del personale stesso sale e in prospettiva rischia di sguarnire sempre più le corsie. Spesso non vi sono le condizioni ottimali per operare con la giusta serenità, ne sono consapevole e garantisco tutto il mio impegno affinché si possano individuare le migliori soluzioni.

Lo scorso 3 luglio ho insediato il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Anche in questo caso sono perfettamente consapevole che non si risolve con un tavolo il fenomeno, ahimè crescente, delle aggressioni al personale sanitario negli ospedali, nei pronto soccorso, in tutte le strutture a rischio, tema che sarà presto oggetto di un disegno di legge che abbiamo allo studio col ministero della Giustizia. Intendo in ogni caso tenere alta la guardia e puntare i riflettori su tutte le forme vecchie e nuove di mancanza di sicurezza e di tutela della salute in ogni posto di lavoro. Tra le prime azioni da implementare c’è la necessità di dare finalmente attuazione a quanto previsto dal Decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007 n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Ancora in merito al personale, azioni di blocco orizzontali della spesa andavano bene 15 anni fa per arrestare gravissime dinamiche di deficit di bilancio; oggi che i conti sono pressoché in ordine in tutte le Regioni, occorre implementare nuovi strumenti perché “le persone e le idee sono la questione più delicata” (come è stato detto) del nostro sistema sanitario.

Con lo stesso sguardo rivolto verso il futuro, dobbiamo pensare all’attuazione su tutto il territorio nazionale sia del Decreto ministeriale 2 aprile 2015 n. 70, quello che definisce gli standard qualitativi, strutturali, quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, che del Piano nazionale della cronicità.

Rispetto al primo occorre far lavorare in parallelo all’azione di riforma delle Regioni il Programma nazionale esiti (PNE). Qualità, volumi ed esiti delle cure devono essere garantiti e resi omogenei su tutto il territorio nazionale. Una regola però dobbiamo darcela: la parola efficienza non deve nascondere chiusure di presidi senza aver attivato i necessari servizi di presa in carico sul territorio.

Naturalmente, occorre avere un orizzonte temporale che sappia andare ben al di là della quotidianità per effettuare tutti gli investimenti infrastrutturali necessari. Forse non tutti sanno che il fabbisogno finanziario nazionale relativo ad interventi di edilizia sanitaria ammonta a oltre 32 miliardi di euro, ripeto 32 miliardi di euro, di cui oltre 12 nelle sole zone sismiche I-II. Occorre dunque fare una riflessione circa l’esigenza di impostare programmi di investimento di medio-lungo periodo condividendo con molti dei miei colleghi ministri strategie e modalità di reperimento delle risorse anche in una cornice internazionale. Ad esempio, alcune iniziative di investimento e riqualificazione energetica si possono immaginare ampliando quanto già oggi previsto attraverso i piani triennali di investimento immobiliare dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). Sono scelte difficili, ma abbiamo davanti a noi anche una grande opportunità per attuare il rinnovo del patrimonio edilizio e tecnologico in ambito sanitario soprattutto in Regioni che più di altre soffrono l’assenza di risorse in cui il tessuto socio-economico non è il grado da solo di garantire uno sviluppo autonomo del sistema. E per questo è cruciale riaprire i rubinetti degli investimenti, chiusi ormai da troppo tempo. Ne va della qualità delle cure e della serenità di chi lavora negli ospedali e nelle varie strutture sanitarie del nostro sistema. Ne va della nostra salute.

Riguardo il Piano nazionale delle cronicità, non è mai abbastanza, tanto meno superfluo, sottolinearne l’importanza. In Italia sono quasi 24 milioni le persone che hanno una o più malattie croniche e sapere che non sono molte, anzi decisamente poche, le Regioni che lo hanno recepito formalmente non suona certo come qualcosa di positivo. In proposito, dalle associazioni dei cittadini sono arrivate richieste affinché nel nuovo sistema nazionale di garanzia dei LEA venga introdotto il monitoraggio rispetto al recepimento e all’attuazione del Piano. Mi sembra un aspetto ampiamente condivisibile. Esattamente com’è da condividere l’idea di elaborare un regolamento per individuare gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza territoriale. Un lavoro certamente complesso, ma necessario per realizzare in modo appropriato tutti gli investimenti utili ad una corretta presa in carico dei pazienti al di fuori degli ospedali in una logica di continuità assistenziale. Da questo punto di vista può essere certamente utile sia l’apporto del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), sia la realizzazione di un nuovo Piano nazionale della prevenzione, considerata l’ormai prossima scadenza dell’attuale. In tema di prevenzione troveranno la giusta attenzione, fra le altre, azioni mirate al contenimento del fenomeno del “binge drinking”, cioè l’assunzione di più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve, fenomeno purtroppo sempre più diffuso tra i giovani e anche giovanissimi. A tal proposito il Ministero sarà protagonista di campagne di comunicazione per promuovere corretti stili di vita oltre che per supportare famiglie e bambini/adolescenti a nutrirsi in modo sano ed equilibrato. Sempre in ambito di prevenzione si dovrà lavorare ad una revisione e aggiornamento della normativa per la valutazione dell’impatto sanitario (VIS) nelle procedure di autorizzazione ambientali.

Come avrete sicuramente notato, la parola “programmazione” ricorre più volte in questo mio intervento. E non potrebbe essere altrimenti. Si tratta di un elemento troppo spesso non preso in adeguata considerazione ma che sarà perno dell’attività di questo Governo. Per questo motivo ho deciso di far proseguire l’iter di approvazione del riparto del Fabbisogno sanitario nazionale per l’anno 2018. Ma in futuro dovremo lavorare per rendere il riparto più aderente alle necessità del Paese. In proposito sarà attivata un’analisi sulla possibilità di revisione dei criteri di riparto alla luce della variabilità a livello regionale pur sempre in un’ottica di sostenibilità del sistema. Per far questo occorre anche il supporto dei cittadini che devono essere partecipi e informati del cambiamento. Io e il mio Ministero lavoreremo certamente in questa direzione.

Quanto detto fino ad ora rende necessario anche invertire la tendenza che, come ha appena sottolineato la Corte dei conti, ha visto negli anni tra il 2009 e il 2016 la riduzione delle risorse destinate alla sanità di circa tre decimi di punto all’anno al contrario di altri Paesi europei, mi riferisco a Francia e Germania, che hanno, viceversa, ampliato i loro investimenti in sanità. Anche nel nostro Paese sarà necessario tornare ad effettuare investimenti in questo senso, garantendo una sostenibilità economica effettiva ai livelli essenziali di assistenza attraverso il rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato. Ci vorrà del tempo, nessuno ha la bacchetta magica, ma l'intento dell'Esecutivo è tracciato.

Naturalmente, il recupero delle risorse avverrà anche attraverso un’efficace lotta agli sprechi e alle inefficienze che ancora ci sono. Spazio dunque alla centralizzazione degli acquisti e all’allargamento della collaborazione tra i soggetti aggregatori (centrali di acquisto regionali) e CONSIP. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 dicembre 2015, quello che identifica le categorie di beni e servizi da acquistare in modo centralizzato dovrebbe rinnovarsi entro il 31 dicembre di ogni anno. Siamo nel luglio 2018 ma di Dpcm nuovi non se ne sono ancora visti. Mi impegnerò per una corretta programmazione anche in questa direzione, ottimista del fatto che in tempi brevi è possibile mettere in evidenza le buone pratiche che sono già presenti sul nostro territorio. Naturalmente non tutto è risolvibile in tempi brevi. Ad esempio, le dinamiche dei prezzi seguono anche logiche legate ai tempi di pagamento. Anche in questo caso, in Italia si viaggia a diverse velocità. Per questo occorre dare certezze alle imprese, soprattutto quelle “buone e sane”, in tutti i settori, che sono parte integrante, in quanto produttori di beni sanitari, del SSN.

I progressi della medicina e delle cure sono il frutto della ricerca, del ruolo portante che svolgono imprese e istituzioni. Quanto alle imprese, di qualsiasi settore, che esportano sempre di più, che creano occupazione, a volte investono in Italia, è indubbio che per il Paese tutto ciò rappresenta un valore. E per stare al punto cruciale della ricerca, non possiamo sottacere quanto, mai abbastanza, forse addirittura troppo poco, è stato investito e realizzato. Nel corretto rapporto tra istituzioni pubbliche e aziende private, nella ricerca indipendente, nel ruolo delle Università e degli Istituti pubblici di ricerca, nella necessità di investire senza indugi anche nel capitale umano, nei giovani. Ancora una volta, di investire nelle migliori capacità. Sempre seguendo il filo rosso della trasparenza.

Fino ad ora poco ho detto rispetto ai riflessi che innovazione e ricerca possono portare al nostro SSN. Il Patto per la sanità digitale era previsto nell’articolo dedicato alla sanità digitale e al piano di evoluzione dei flussi informativi del Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) del Patto per la Salute 2014-2016. Un primo risultato in questo ambito è rappresentato dal decreto di prossima emanazione rispetto all’Anagrafe nazionale vaccini, di cui già ho detto. Ma è necessario dare piena attuazione all’informatizzazione del SSN a partire dal Fascicolo Sanitario Elettronico. Anche in questo caso, come già segnalato, il Ministero lavorerà per la predisposizione dei decreti attuativi per la definizione di contenuti, formati e standard di documenti sanitari e servizi al fine di favorire la coerente alimentazione dei sistemi di Fascicolo Sanitario Elettronico realizzati dalle Regioni. Spazio anche alle attività finalizzate alla realizzazione del sistema di interconnessione dei sistemi informativi del SSN che consentirà di intercettare il percorso seguito dal paziente a fronte di un bisogno sanitario, attraverso le strutture sanitarie e i diversi livelli assistenziali su tutto il territorio. Non ultimo l’estensione del sistema informativo per la tracciabilità dei medicinali a uso umano anche, ai sensi del Decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, nel settore veterinario.

Non mi mancherà il lavoro, non vi mancherà l’attenzione. Sono sicura che l’impegno per un SSN di qualità a garanzia dei cittadini, sarà la bussola per tutti noi.

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3436
25 luglio 2018, ultimo aggiornamento 26 luglio 2018

Coinvolgimento dei pazienti: un’indagine europea per conoscere le loro aspettative

E’ aperta a tutti i cittadini UE e disponibile fino al 31 luglio 2018 la survey promossa dal progetto europeo PARADIGM (Patients Active in Research and Dialogues for an Improved Generation of Medicines), per raccogliere aspettative e preferenze dei principali stakeholders coinvolti in questa ambiziosa iniziativa di inclusione dei pazienti nel processo decisionale del ciclo di vita del farmaco.

La survey è tradotta in tutte le lingue dell’UE ed è compilabile accedendo al sito di PARADIGM.

La possibilità di creare un modello virtuoso di cooperazione a beneficio dei pazienti di tutta Europa non risiede solo nel suo acronimo: il progetto PARADIGM, infatti, si prefigge di creare una cornice di interazione unica per un coinvolgimento dei pazienti strutturato e significativo, nell’ottica dell’innovazione e della sostenibilità e che soprattutto dimostri ritorni misurabili ed evidenti verso tutti gli attori coinvolti. Si tratta di un’iniziativa pubblico/privata che raccoglie 34 partner tra associazioni dei pazienti, accademia, organizzazioni dell’industria farmaceutica e enti pubblici. Tra questi ultimi anche l’Agenzia Italiana del Farmaco, unica agenzia del farmaco nazionale, insieme all’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), chiamata a portare la propria competenza e il punto di vista regolatorio e in ambito di Health Technology Assessment (HTA).

Tre sono gli aspetti chiave su cui PARADIGM mira a includere attivamente la partecipazione dei pazienti, in un percorso iniziato a marzo 2018 e che terminerà ad agosto 2020:

la definizione delle priorità della ricerca clinica,
la progettazione degli studi clinici e
il dialogo precoce e anticipato con le agenzie regolatorie del farmaco e gli enti che si occupano di valutazioni di costo/efficacia (HTA).
Una delle prime attività della fitta roadmap di PARADIGM prevede la ricognizione delle preferenze e delle aspettative degli stakeholders principali, da raccogliere appunto tramite un questionario alla cui definizione anche l’AIFA ha dato il suo contributo.

PARADIGM andrà ad integrare quanto già svolto nell’ambito di altre iniziative sul tema e si svolgerà in coordinamento con queste. E’ è suddiviso in diversi work package (WP), ciascuno dei quali è dedicato a specifiche linee di azione. Ogni WP è a sua volta suddiviso in sotto-attività, per il raggiungimento dei macro obiettivi del relativo WP.

Il progetto si inserisce ed è finanziato nell’ambito della Call n. 10 dell’Innovative Medicines Initiative 2 (IMI2) Topic 7: Enhanced patient voice in medicines lifecycle. E’ previsto un contributo 50/50 di risorse dal pubblico e dal privato per un totale di 10 milioni Euro.

L’Innovative Medicines Initiative (IMI) è una partnership pubblico privata tra l’Unione Europea (rappresentata dalla Commissione Europea) e l’industria farmaceutica europea (rappresentata da EFPIA, la Federazione Europea dell’Industria e delle Associazioni Farmaceutiche). IMI supporta lo sviluppo e l’implementazione di azioni di ricerca e innovazione, di buone pratiche e di strumenti necessari per incrementare la salute e il benessere dei cittadini europei.

 http://www.aifa.gov.it/content/coinvolgimento-dei-pazienti-un%E2%80%99indagine-europea-conoscere-le-loro-aspettative

Per saperne di più su PARADIGM:

Sito web: http://imi-paradigm.eu/
Twitter: https://twitter.com/imi_paradigm

Docente di “Tor Vergata” scopre nuovo modo di contrastare il diabete di tipo 2

Il prof. Massimo Federici, direttore del Centro Aterosclerosi del Policnico Tor Vergata e docente presso il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, è parte del team internazionale coordinato dalla Dr.ssa Soraya Taleb dall’INSERM, che ha analizzato l’effetto di altri composti di derivazione microbica sulla intolleranza al glucosio, un importante componente del diabete di tipo 2.
L’articolo è stato pubblicato su Nature Medicine.

I ricercatori hanno osservato che il microbioma intestinale, attraverso lo stimolo alla produzione di Interleuchina 22, è in grado di coordinare un corretto assetto del metabolismo del Triptofano (TRP), un importante aminoacido costituente delle nostre proteine, ma anche base per la produzione di trasmettitori cellulari.


Si è visto come nei pazienti obesi il metabolismo del TRP è spostato verso la produzione di un metabolita tossico per la tolleranza al glucosio, la Kynurenina. La sperimentazione dimostra che bloccare la produzione di Kynurenina favorisce la conversione del TRP in una serie di composti che hanno effetti positivi sulla regolazione dell’infiammazione e del metabolismo.


Ciò passa attraverso l’enzima Indoleamine 2, 3-dioxygenase (IDO), prodotto in risposta a stimoli infiammatori e che catalizza la conversione del TRP. Il team ha quindi identificato una nuova funzione di IDO che può amministrare il metabolismo intestinale di TRP, con un impatto importante sulla capacità del microbioma intestinale di regolare la malattia metabolica, facendo di IDO un potenziale obiettivo terapeutico.

“Questi studi – ha spiegato il prof. Federici – confermano le ipotesi di lavoro sulle quali i ricercatori stanno lavorando da molti anni. Il microbioma intestinale è un centro di coordinamento tra i componenti della dieta, l’ambiente e il nostro organismo. Le alterazioni del microbioma si riflettono in cambiamenti dei prodotti microbici che il nostro organismo assorbe attraverso la parete intestinale con implicazioni importanti per la nostra salute metabolica e il rischio di sviluppare diabete di tipo 2, steatosi epatica e aterosclerosi.
Si apre un nuovo scenario per identificare nuovi obiettivi per interventi nutrizionali e farmacologici più adatti ad affrontare l'epidemia di malattie dismetaboliche non trasmissibili quali diabete, steatoepatite non alcolica e aterosclerosi.”
https://web.uniroma2.it/module/name/Content/newlang/italiano/navpath/HOM/action/showpage/content_id/58850

L'inquinamento atmosferico fa aumentare in modo importante i nuovi casi di diabete

La relazione tra polveri sottili e malattia è significativa, anche a livelli di smog accettati dalle istituzioni sanitarie: uno studio su milioni di persone quantifica per la prima volta l'entità del problema.


Respirare aria inquinata comporta un rischio significativo di sviluppare diabete, anche a livelli di smog oggi considerati "accettabili". Lo stabilisce uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Planetary Health, il primo a quantificare i danni delle polveri sottili sulla capacità dell'organismo umano di regolare gli zuccheri nel sangue.

Il diabete è una delle malattie croniche a più rapido aumento nel mondo: attualmente interessa oltre 420 milioni di persone, e le sue cause principali sono riconducibili a obesità, alimentazione insalubre, stili di vita troppo sedentari. Studi passati avevano suggerito, inoltre, una relazione tra diabete e inquinamento dell'aria: il particolato atmosferico più fine può raggiungere attraverso i bronchi la circolazione sanguigna, aumentare i livelli di infiammazione e ridurre la produzione di insulina.


LA CONTA DEI DANNI. Mancava però una stima di quanto lo smog potesse incidere sulle nuove diagnosi di diabete. I ricercatori della Scuola di Medicina dell'Università di Washington e del Veterans Affairs (VA) del St. Louis Health Care System hanno calcolato che globalmente, e soltanto nel 2016, l'inquinamento dell'aria ha contribuito ad almeno 3,2 milioni di nuovi casi di diabete, che rappresentano il 14% del totale delle nuove diagnosi per quell'anno.

Il diabete legato allo smog ha determinato la perdita, in totale, di 8,2 milioni di anni di vita sana nel mondo - il 14% di tutti gli anni di vita sana andati in fumo a causa di questa malattia. Negli USA sono stati 150.000, i nuovi casi di diabete attribuibili all'inquinamento atmosferico.


IL METODO. Il team ha analizzato la relazione tra particolato atmosferico e rischio di diabete in 1,7 milioni di persone, veterani dell'Esercito degli Stati Uniti, seguiti per un periodo di 8 anni e mezzo. Nessuno di loro presentava una storia personale di diabete (anamnesi). I ricercatori hanno analizzato la relazione tra rischio diabete e una serie di parametri di controllo palesemente non correlati tra loro, come la concentrazione di sodio nell'aria; o quella tra concentrazione di polveri sottili e malanni evidentemente scollegati, come le fratture degli arti inferiori. In questo modo sono riusciti a scartare ogni correlazione spuria, cioè da eliminare.

Quindi si sono concentrati sull'inquinamento atmosferico rilevato dai sistemi di monitoraggio di terra dell'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente americana e dai satelliti della NASA: queste osservazioni sono state integrate con quelle dedotte da tutta la precedente letteratura scientifica su diabete e inquinamento e con i dati del Global Burden of Disease, il termometro annuale della salute globale.


NON ESISTE UNA SOGLIA DI SICUREZZA. Il rischio è parso molto significativo anche a livelli di smog considerati accettabili: negli USA, per esempio, la soglia massima di sicurezza è per convenzione fissata a 12 microgrammi di polveri sottili per metro cubo di aria. Ma il rischio di diabete aumenta già a partire da 2,4 microgrammi; e il 21% dei veterani esposti a livelli di particolato compresi tra i 5 e i 10 microgrammi ha sviluppato diabete. La percentuale è salita al 24% quando l'esposizione è aumentata fino a 11,9-13,6 microgrammi per metro cubo. Il 3% di aumento non è poco: corrisponde a 5-6.000 nuovi casi di diabete l'anno ogni centomila persone.

Come spesso accade in questi casi, i Paesi emergenti, nei quali all'aumento dello smog non corrispondono politiche ambientali per contenerlo, sono destinati a pagare il conto più salato.

https://www.focus.it/scienza/salute/linquinamento-atmosferico-fa-crescere-in-modo-importante-i-nuovi-casi-di-diabete

Steatosi epatica, dal microbioma un biomarker della malattia

Una nuova ricerca ha identificato in un composto prodotto dai batteri dell’intestino un biomarker per la diagnosi precoce di steatosi epatica
Le modificazioni del microbioma intestinale si rivelano sempre di più un serbatoio di interessanti notizie sulla salute del nostro organismo e dei diversi organi. L’ultima scoperta arriva da uno studio condotto da FLORINASH, consorzio di ricerca internazionale formato da Imperial College di Londra, Università di Girona, Università degli Studi di Roma Tor Vergata e INSERM di Tolosa.

I ricercatori hanno identificato un composto chiamato acido fenilacetico (PAA), prodotto dai batteri nell’intestino che può essere considerato un biomarker della steatosi epatica, una malattia del fegato spesso associata all’obesità, al diabete e alla cardiopatia ischemica.

L’accumulo di lipidi nel fegato è una condizione che in fase iniziale non è sintomatologica ed è quindi importante poter disporre di un test che permetta di identificare precocemente la malattia.

Massimo Federici dell’Università di Roma Tor Vergata, Direttore del Centro Aterosclerosi del Policlinico Tor Vergata, che ha coordinato il lavoro con altri colleghi europei, ha commentato: “Questo è un nuovo passo verso la comprensione dei meccanismi molecolari che coordinano il progressivo sviluppo della steatosi epatica nei pazienti obesi e fornirà nuovi biomarcatori e bersagli terapeutici. Si aprono importanti prospettive per interventi nutrizionali e farmacologici per affrontare l’epidemia di malattie dismetaboliche non trasmissibili quali diabete, steatoepatite non alcolica e aterosclerosi.”

Per identificare il marcatore i ricercatori hanno esaminato i dati biologici raccolti da donne obese – inclusi campioni di sangue e urine, biopsie epatiche e campioni fecali – confrontando pazienti senza steatosi con pazienti affetti da steatosi epatica. Una delle principali differenze è stata la maggiore presenza di PAA, un composto prodotto dai batteri intestinali. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha mostrato anche un legame tra la steatosi epatica e cambiamenti nella composizione del microbioma.

Più la malattia era avanzata, più il numero totale di geni presenti nel genoma dei batteri intestinali cominciava a diminuire, una misura indiretta che il microbioma era meno complesso, cioè costituito da un minor numero di tipi diversi di batteri rispetto al microbioma di chi è in salute. Sono noti oltre 10 milioni di geni attivi legati ai microbi nel nostro intestino – 500 volte il numero di geni nel genoma umano – ma la loro funzione rimane in gran parte sconosciuta. Tuttavia, studi precedenti hanno dimostrato che il numero di geni microbici attivi diminuisce drasticamente con disturbi metabolici, come l’obesità.

Il Consorzio FLORINASH ha rivelato come un simile collasso nella diversità del microbioma sia associato ala steatosi epatica, alla ridotta tolleranza ai carboidrati e all’insulino resistenza, tutte caratteristiche presenti nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 e associate anche all’aterosclerosi
https://medicoepaziente.it/2018/steatosi-epatica-dal-microbioma-un-biomarker-della-malattia/

Individuate e studiate le alterazioni delle connessioni cerebrali tipiche dei disturbi dello spettro autistico


Indagare specifiche alterazioni del dna connesse ai Disturbi dello spettro autistico, per comprendere come queste influiscano sulla regolare funzione cerebrale, alterandola o compromettendola. È l’obiettivo di ricerca raggiunto con successo dal team di scienziati dell’Istituto italiano di Tecnologia di Rovereto e dell’Università di Pisa, e illustrato sulla rivista Brain.

“Un traguardo che apre nuove frontiere nelle comprensione dell’origine di tali disturbi e che vede nella genetica una vera e propria chiave interpretativa”, spiega Alessandro Gozzi dell’IIT di Rovereto, a capo del team di ricerca insieme a Massimo Pasqualetti, professore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. “Quando parliamo di disturbi dello spettro autistico ci riferiamo a una serie di disturbi di natura eterogenea che, tuttavia, come dimostrato da molti studi, hanno una base fortemente genetica. Con questa ricerca proponiamo un nuovo approccio che prevede di usare mutazioni genetiche singole associate ai disturbi come tessere di un puzzle: al momento sono alla rinfusa ma, comparandone gli effetti, ci auguriamo di poter capire quanti e quali tipi di autismo esistano”.

Lo studio, avviato quattro anni fa, è finanziato dalla fondazione statunitense Simons Foundation for Autism Research Initiative (www.sfari.org), che seleziona e premia le ricerche più innovative nel campo dell’autismo a livello mondiale.

In una prima fase di ricerca il team di scienziati ha misurato la funzione cerebrale di 30 bambini con disturbi dello spettro autistico, analizzando le scansioni cerebrali in 3D dei piccoli pazienti ottenute tramite risonanza magnetica funzionale. I bambini, già coinvolti in uno studio statunitense, sono tutti portatori della stessa mutazione genetica nota come delezione 16p11.2. Lo studio ha permesso ai ricercatori di identificare alterazioni cruciali presenti all’interno della corteccia prefrontale dei bambini, tali da impedire all’area di interagire in modo efficace con il resto del cervello generando sintomi tipici dell’autismo quali il ridotto interesse a instaurare relazioni sociali e problemi nella comunicazione.

In una seconda fase, continua Gozzi, “i ricercatori hanno traslato la ricerca su organismi modello – in questo caso, i topi – nei quali è stata riprodotta la mutazione 16p11.2”. Dopo aver individuato, sempre tramite tecniche di neuroimaging, gli stessi deficit della corteccia prefrontale presenti nei bambini, gli scienziati hanno potuto esaminare le connessioni neuronali dei topi a livello neuroanatomico fine, per cercare di individuare anomalie strutturali potenzialmente all’origine dei difetti di connettività cerebrale, riconducibili allo specifico disturbo dello spettro autistico riscontrato nei bambini portatori della delezione 16p11.2.

“Stiamo imparando a tramutare il dna e le sue alterazioni in eventi comprensibili che hanno uno specifico meccanismo molecolare e neurobiologico. È un grande passo avanti nella ricerca sui disturbi dello spettro autistico”, specifica lo scienziato. “Purtroppo siamo ancora lontani dal correggere queste alterazioni. In futuro si tenterà di individuare trattamenti farmacologici o riabilitativi in grado di ripristinare le specifiche aree disfunzionali ma ad oggi è prematuro pensare a un percorso terapeutico”. Intanto la ricerca non si ferma. “Ci siamo focalizzati sullo studio della delezione 16p11.2 anche perché è una delle alterazioni più associate all’autismo. Il nostro obiettivo futuro è studiare nuove mutazioni. Al momento stiamo analizzando il gene SHANK3, la cui delezione è legata alla Sindrome di Phelan-McDermid. Lo scopo finale è ricreare mutazione per mutazione l’eterogeneità dell’autismo, ovvero realizzare una mappatura genetica in termini, però, di funzione cerebrale”.

Oltre all’IIT e all’Università di Pisa hanno partecipato allo studio le Università di Torino e Verona, il Laboratorio europeo di biologia molecolare a Monterotondo, il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catanzaro e il S. Anna Institute and Research in Advanced Neuro-Rehabilitation a Crotone.
https://oggiscienza.it/2018/06/28/studiate-alterazioni-connessioni-cerebrali-spettro-autistico/

Pancreas ricreato nel fegato, salvo giovane motociclista

Un nuovo pancreas dentro al fegato, per scongiurare un destino segnato dal rischio di diabete.

Un'eccezionale staffetta Brescia-Milano ha permesso di salvare la funzione dell'organo produttore di insulina in un motociclista 19enne vittima di un incidente stradale, grazie a un autotrapianto di beta cellule pancreatiche (la fabbrica dell'ormone controlla-zuccheri) all'interno del tessuto epatico, che ha permesso di ricreare l'attività endocrina perduta.

I protagonisti dell'impresa record, definita "unica in Italia e per certi aspetti unica al mondo", sono i camici verdi della III Divisione di Chirurgia degli Spedali Civili di Brescia - che hanno rimosso in laparoscopia il corpo e la coda del pancreas del giovane centauro, lacerati irrimediabilmente - e i camici bianchi del Diabetes Research Institute-Dri San Raffaele di Milano, che hanno lavorato una notte intera per ricavare dal tessuto inviato dai colleghi bresciani le cellule da rispedire al mittente per essere reinfuse.
A distanza di 3 settimane dal grave incidente, "il paziente è stato dimesso in eccellenti condizioni generali", annunciano oggi i sanitari. "In particolare il profilo glicemico, alterato dopo la pancreatectomia - spiegano i medici - è andato progressivamente migliorando, fino a valori di assoluta normalità nell'arco delle 24 ore. Il giovane verrà seguito nei prossimi mesi per verificare la regolarità del decorso post-operatorio e l'efficienza del ricostituito patrimonio endocrino pancreatico".
Da un lato il team di Guido Alberto Massimo Tiberio, professore ordinario di Chirurgia generale all'università degli Studi di Brescia-Asst Spedali Civili, dall'altro l'équipe dell'Unità di processazione delle isole pancreatiche dell'Irccs ospedale San Raffaele di Milano, guidata da Lorenzo Piemonti, direttore del Dri.
In trincea ci sono Tiberio e i suoi, i primi a intervenire quando in ospedale arriva un ragazzo scampato a un incidente in moto. Il pancreas ha riportato danni irreparabili e i chirurghi procedono all'asportazione laparoscopica di corpo e coda, le parti dell'organo dove risiede il grosso delle cellule deputate alla produzione di insulina. "In un caso come questo - sottolineano gli esperti - il rischio di sviluppare il diabete poco tempo dopo l'intervento è pari al 10-20%. Nel lungo termine, però, la percentuale si alza fino al 50%, influenzando radicalmente la qualità di vita del paziente".

Per salvare il giovane da una vita di insulino-dipendenza, il medici bresciani contattano lo staff di Piemonti. Insieme decidono che non c'è un minuto da perdere e così in poche ore la parte di pancreas asportata a Brescia arriva a Milano in via Olgettina, dove nei laboratori del Dri inizia la lunga opera di isolamento e purificazione delle beta cellule. Serve una notte intera, ma al mattino le isole pancreatiche possono essere rimandate ai Civili e restituite al paziente, in collaborazione con Marco Di Terlizzi, radiologo interventista dell'Asst bresciana. Le beta cellule vengono immesse nel fegato attraverso la vena porta, nel giro di qualche settimana attecchiscono e riprendono a produrre insulina. Il pericolo di diabete è stato dribblato.

L'intervento, chiariscono all'AdnKronos Salute dal San Raffaele, è "il primo in Italia perché l'isolamento delle cellule beta 'in remoto' era già stato eseguito su un soldato statunitense ferito in guerra e operato al pancreas in Europa con cellule isolate a Miami". E' però "il primo al mondo considerando la combinazione fra tecnica mini-invasiva per l'asportazione del pancreas (laparoscopia fatta a Brescia) e isolamento delle cellule beta in remoto (San Raffaele Milano)".

"Fino ad ora - evidenzia Piemonti - sono stati descritti meno di 10 casi al mondo in cui è stato utilizzato questo approccio, che richiede competenze multidisciplinari ed expertise che solo in poche situazioni si riescono a coordinare in regime di urgenza. Inoltre, l'asportazione del pancreas con tecnica mini-invasiva e la preparazione dei tessuti per il trapianto in un luogo diverso rispetto a quello del ricovero costituiscono una combinazione unica, che non si è mai verificata in nessuno dei casi finora descritti".

"La collaborazione tra ospedale San Raffaele e Spedali Civili è un bell'esempio di sanità pubblica e privata votata all'eccellenza - osserva Tiberio - resa possibile dalla capacità di lavorare in rete e dall'abitudine a eseguire procedure complesse e a elevatissimo contenuto culturale e tecnologico anche in condizioni di emergenza, al di fuori dei canonici orari di lavoro, nel solo interesse del paziente. Sono bastate due telefonate per attivare una procedura che ha coinvolto, nella sola fase operativa, 16 specialisti tra medici, biologi, chimici e infermieri".
http://www.adnkronos.com/salute/medicina/2018/07/03/pancreas-ricreato-nel-fegato-salvo-giovane-motociclista_QkRIgd3dLu4qnKvfUReXPJ.html

Somministrazione di insulina ai diabetici per via orale, creata nuova pillola

Per milioni di persone affette da diabete di tipo 1, iniettarsi un ago nella pelle per distribuire l’insulina nel corpo resta al momento la soluzione più diffusa, anzi l’unica disponibile. Tutti i precedenti tentativi di somministrare l’insulina con metodi meno invasivi, ad esempio attraverso una semplice pillola, non hanno mai funzionato a dovere.

Una nuova ricerca svolta da un gruppo di scienziati della Harvard John A. Paulson School of Engineering e Applied Sciences (SEAS) si prefigge proprio di far sì che i pazienti affetti da diabete di tipo uno possano ricevere insulina per via orale piuttosto che tramite la dolorosa puntura di un ago.

Si tratterebbe di un passo avanti enorme non solo per la qualità della vita dei pazienti ma anche per evitare tutti gli effetti collaterali collegati al fatto che molte persone diabetiche non riescono a farsi le iniezioni necessarie, che devono essere effettuate più volte al giorno, da sole, con conseguenze anche letali.
Molte persone, infatti, non riesco a sopportare aghi nella pelle per il dolore che ne consegue ma anche per fobie o interferenze varie di tipo psicologico, come sottolineato da Samir Mitragotri, professore di bioingegneria ed autore principale della ricerca.

Il nuovo approccio vede l’insulina trasportata in un liquido ionico costituito da colina e acido geranico. Questo liquido viene inserito in una capsula con rivestimento enterico resistente agli acidi, una formulazione biocompatibile che permette alla stessa capsula di poter essere conservata fino a due mesi a temperatura ambiente.
Secondo Mitragotri, “Una volta ingerita, l’insulina deve percorrere un impegnativo percorso ad ostacoli prima che possa essere efficacemente assorbita nel flusso sanguigno. Il nostro approccio è come un coltellino svizzero, dove una pillola ha gli strumenti per affrontare ciascuno degli ostacoli che si incontrano”.

Ad esempio, grazie al rivestimento enterico, la capsula può resistere alla rottura causata dagli acidi gastrici nell’intestino. Inoltre la speciale formulazione di acido colino-geranico riesce a resistere anche allo strato di muco che riveste l’intestino e alle strette giunzioni cellulari delle pareti dello stesso intestino, barriere attraverso le quali farmaci costituiti da grandi molecole come l’insulina non riescono a passare di solito facilmente.


https://notiziescientifiche.it/somministrazione-di-insulina-ai-diabetici-per-via-orale-creata-nuova-pillola/

Nuovi potenziali biomarcatori per identificare le schizofrenia

Un gruppo di giovani ricercatori dell’Università Statale di Milano ha caratterizzato nuovi biomarcatori nel sonno di pazienti affetti da Schizofrenia.

Il lavoro è stato pubblicato su npj|Schizophrenia, rivista specializzata del gruppo editoriale Nature.

Lo studio dei giovani ricercatori dell’Università Statale di Milano si inserisce all’interno di un progetto più ampio che identifica nel sonno una finestra sulla patofisiologia dei disturbi psicotici. Il lavoro caratterizza l’attività oscillatoria del cervello in famigliari di primo grado di pazienti schizofrenici. L’attività elettrica definita sleep spindle e le onde lente tipiche del sonno non REM risultano alterate in modo significativo. La presenza di tali anomalie nei famigliari, i quali non presentano sintomi di malattia, suggerisce una suscettibilità genetica al disturbo.

La schizofrenia ed i numeri
In Europa, circa 5 milioni di persone hanno una diagnosi di Schizofrenia. In ciascuno di questi casi, l’unico strumento a disposizione dei medici per porre la diagnosi è stato il giudizio clinico.

Le considerazioni
“L’ambito traguardo dell’individuazione di un marcatore della malattia permetterebbe la conferma neurobiologica della diagnosi clinica di Schizofrenia” commenta Armando D’Agostino, primo autore dello studio.
Durante il sonno, alcune strutture del nostro cervello producono segnali che possono esser rilevati con strumenti privi d’invasività come l’elettroencefalogramma. Nei pazienti con diagnosi di Schizofrenia, alcuni di questi segnali, implicati nei processi di memoria ed attenzione, sono deboli o assenti.

I risultati
“Il nostro studio dimostra che questi stessi segnali sono alterati anche nei familiari di questi pazienti, rispetto a soggetti che non hanno familiarità per disturbo psichiatrico. Ciò significa che la disfunzione delle strutture cerebrali che li generano è sì geneticamente determinata, ma non è una causa sufficiente per lo sviluppo della malattia” conclude il Dott. D’Agostino.
Questo risultato è un importante passo verso la validazione di un biomarcatore in sonno della Schizofrenia ed apre ad una maggior comprensione delle sue basi biologiche.

Lo studio è frutto di una collaborazione tra il gruppo di ricerca di Armando D’Agostino, clinica psichiatrica del dipartimento di Scienze della Salute e di Simone Sarasso, dipartimento di Scienze Biomediche e cliniche ‘Luigi Sacco’ dell’Università degli Studi di Milano. La ricerca, svolta presso il Centro di Medicina del Sonno (diretto da Maria Paola Canevini) dell’ASST Santi Paolo e Carlo, ha coinvolto anche ricercatori italiani che lavorano nelle Università di Madison-Wisconsin e Pittsburgh negli Stati Uniti.

Fonte:
http://www.unimi.it/lastatalenews/nuovi-potenziali-biomarcatori-per-identificare-schizofrenia

Vaccini, semplificazioni burocratiche per l’anno scolastico 2018-2019

In attesa di un approfondimento parlamentare sul dibattito pubblico relativo all’obbligatorietà delle vaccinazioni, considerato che, con l’approssimarsi dell’avvio del nuovo anno scolastico 2018-2019, la mancata attuazione dell’Anagrafe nazionale vaccini potrebbe determinare un appesantimento delle procedure burocratiche a carico le famiglie e delle scuole, i ministri della Salute, Giulia Grillo, e dell’Istruzione, Università e Ricerca, Marco Bussetti, sono intervenuti con una circolare, in vista dell’imminente scadenza del noto termine del 10 luglio, per promuovere le seguenti semplificazioni:

per i minori da 6 a 16 anni, quando non si tratta di prima iscrizione, resta valida la documentazione già presentata per l’anno scolastico 2017-2018, se il minore non deve effettuare nuove vaccinazioni o richiami
per i minori da 0 a 6 anni e per la prima iscrizione alle scuole (minori 6 -16 anni) può essere presentata una dichiarazione sostitutiva di avvenuta vaccinazione
La principale novità sul tema è la costituzione dell’Anagrafe nazionale vaccini, indispensabile per semplificare la vita delle famiglie ed evitare inutili e onerose certificazioni anche nei casi di cambio di residenza. Il decreto ministeriale è pronto e seguirà al più presto il suo iter procedurale.

L’Anagrafe nazionale, strumento base per gestire le vaccinazioni, ancora non è stata attuata dopo ben 334 giorni dalla nuova legge del 2017. Consentirà di monitorare i programmi vaccinali, di conoscere le ragioni delle mancate vaccinazioni e di misurare progressi e criticità del sistema.

L’Anagrafe nazionale è la base per far decollare concretamente la vaccino-vigilanza, che potrà finalmente riferire puntualmente sugli eventi avversi riferiti ai vaccini impiegati e metterà a sistema i dati delle Regioni. Attraverso il sistema nazionale degli eventi avversi gestito da Aifa, le segnalazioni potranno essere comunicate dai professionisti sanitari e dai soggetti vaccinati o dai loro genitori.

Infine, prende avvio il Tavolo di esperti indipendenti guidato dal prof. Vittorio Demicheli, che consentirà di produrre le evidenze scientifiche a sostegno delle scelte dei decisori.

Obiettivi del tavolo:affrontare il fenomeno della diffidenza e del dissenso vaccinale (secondo indicazioni OMS-SAGE)aggiornare il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale.
http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3417